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Breve incontro con Christiane Kubrick e Jan Harlan
di Yann Tobin e Laurent Vachaud

Christiane Harlan ha incontrato Stanley Kubrick durante le riprese di Orizzonti di Gloria, dove l'attrice recitò il ruolo della giovane tedesca durante l'ultima sequenza. Poi l'ha sposato nel 1957. Fratello di Christiane, Jan Harlan ha lavorato alla produzione dei film di Kubrick dopo l'inizio degli anni settanta. E' il produttore esecutivo di Eyes Wide Shut.

Signora Kubrick, è stato detto che lei ha conosciuto suo marito durante un ballo mascherato...
Christiane Harlan: E'... quasi vero! Era il periodo di carnevale in Germania, nel febbraio del 1956. Stanley mi aveva visto in televisione e aveva chiamato il mio agente. Mi diede un appuntamento a Geiselgasteig, dove stava girando Orizzonti di Gloria e mi scritturò subito. Non avevo mai sentito parlare di lui prima di allora. Nello stesso periodo, avevo recitato in uno spettacolo di varietà, nel corso di una grande serata organizzata da tutti i teatri di Monaco, a favore della Croce Rossa. Mi venne cercare nei camerini. Fu il suo primo viaggio in Germania, trovò tutto straordinario; c'era un sacco di gente, tutti in costume tranne lui! Le riprese della scena che mi riguardava avrebbero avuto luogo molti mesi piĆ¹ tardi: noi vivevamo già insieme. Poi lui è partito per Vienna a fare il montaggio, dove io recitavo in un altro film. Quindi l'ho accompagnato quando è tornato in California.

Durante tutta la sua carriera subì in maniera incredibile il fascino della Germania.
Jan Harlan: Per la Germania nazista, la Seconda Guerra Mondiale, certamente. Era affascinato dall'Olocausto come tanti altri cineasti; come una tale follia aveva potuto realizzarsi, questo voleva capire.
C. K.: Ho parlato molto con lui, dei miei ricordi di quest'epoca. Avevo quattordici anni quando la guerra è finita, ero quindi in grado di avere una mia opinione. Jan, invece, era più giovane. Stanley era molto affascinato da Albert Speer, sul quale avrebbe voluto fare un film. Aveva letto molti libri su questo periodo.
J. H.: Era anche molto interessato a Leni Riefensthal, la quale al contrario di quello che si pensa era una cineasta di talento.

Qual era il suo stato d'animo durante le riprese di Spartacus. Vi sembrava in difficoltà?
C. K.: Piuttosto in difficoltà. Era molto giovane e il film era stato iniziato da Anthony Mann, che era stato allontanato. Le opinioni del cast erano contrastanti sulle circostanze di questo allontanamento. E all'inizio una parte degli attori inglesi guardava con arroganza a questo giovane regista americano. Adorava i grandi mezzi tecnici che aveva a disposizione e si capiva alla perfezione con Kirk Douglas. Ma aveva problemi con la sceneggiatura, della quale non poteva cambiare una riga. Fu l'ultima volta che girò un film senza poter dire la sua opinione sulla sceneggiatura.

Per quanto la riguarda, signor Harlan, lei non faceva parte del mondo del cinema prima di incontrare Kubrick.
J. H.: Assolutamente! E ho frequentato Stanley dieci anni prima di iniziare a collaborare con lui. Lavoravo a New York e in Europa; all'epoca ero nel mondo degli affari, mi occupavo di pianificazione, di rendimento e di organizzazione delle imprese: è senza dubbio per questa ragione che nel 1969 mi propose di aiutarlo ad organizzare il suo progetto sulla vita di Napoleone. La sceneggiatura era stata scritta e c'era un accordo con il governo rumeno per ingaggiare cinquemila cavalieri tra i quali anche degli ufficiali superiori. Dovevamo almeno girare la prima battaglia della campagna d'Italia. Ma quando il film Waterloo [Sergei Bondarcuck, 1970] uscì, con poco successo, MGM e UA ritirarono il loro finanziamento. Il progetto si arrestò di colpo. Durante quel periodo, avevo sviluppato dei rapporti di collaborazione professionale con Stanley e ci capivamo molto bene. Io e mia moglie adoravamo la Gran Bretagna. Decidemmo di restare e un nuovo progetto si mise in moto. In questo modo il destino fa cambiare la tua vita...

Quando parlò per la prima volta di adattare Traumnovelle di Schnitzler?
C. K.: Nel 1968, eravamo a Long Island per la prima di 2001 e lui si interessava a due libri: questa novella di Schnitzler e Arancia Meccanica. Decise di fare il secondo, ma pensava sempre all'altro.
J. H.: Ebbe un opzione per i diritti sul libro intorno il 1970, quindi, alla fine dell'opzione li acquistò. Circa quindici anni or sono, una casa di produzione italiana mi contattò dicendo: "Kubrick non farà mai questo film, vendeteci i diritti." Ma Stanley fu irremovibile: "Non se ne parla! Un giorno farò il film!" Ogni tanto tornava sul progetto, riflettendo sul cast. In ogni caso la lunga attesa è stata produttiva, ci ha portato ad un film che mi sembra perfetto.
C. K.: lui stesso pensava fosse il suo miglior film.

Come avete reagito alla conclusione del film, la più ottimista che si possa trovare tra tutte le sue opere? Le altre coppie sposate dei suoi film, più precisamente, sono votate alla sofferenza (Shining, Barry Lyndon...).
C. K.: Mi parlano sovente del suo pessimismo... E' vero che questo aspetto è presente nel suo cinema. Ma lui era soprattutto interessato al tema delle copie sposate, e diceva da molto tempo: "Un giorno troverò il modo di trattare questo soggetto..." Ha scelto Tom e Nicole perché voleva mettere in scena una coppia senza problemi, a parte quelli che loro stessi si procurano. Sono giovani, belli, ricchi, hanno "tutto per essere felici", ma nonostante questo guardate che orrori possono infliggersi reciprocamente. Il loro problema si manifesta molto chiaramente.

Avrebbe potuto realizzare lo stesso film vent'anni prima?
C. K.: Certamente no. La storia maturava nella sua testa mentre invecchiavamo. Osservava la vita delle altre persone intorno a lui, gli amici che divorziavano... L'argomento ritornava periodicamente nelle conversazioni.
J. H.: La novella stessa è un'opera della maturità di Schnitzler.
C. K.: Ogni volta che riconsiderava il progetto lo sostituiva poi con altri lavori e lo accantonava.
J. H.: Sapete, negli ultimi trent'anni lui ha lavorato a tre altri importanti progetti. Il film su Napoleone, Intelligenza Artificiale, la cui sceneggiatura era pronta quasi nei minimi dettagli e per il quale seicento disegni preparatori erano stati realizzati, e Aryan Papers, tratto da Bugie di Guerra di Louis Begley. Per questo film, avevamo lavorato già per un anno e fatto una enorme opera di preparazione.

Pensate, come si è detto, che l'uscita di Schindler's List gli abbia fatto rinunciare ad Aryan Papers?
J. H.: Assolutamente. Già Full Metal Jacket aveva patito il fatto di essere preceduto da Platoon. Aveva avuto un notevole successo economico, ma è evidente che il suo impatto era stato attutito. Stanley e Terry Semel, della Warner, hanno fatto la stessa riflessione a proposito di Schindler's List e penso che sia stato molto saggio realizzare un altro film al posto di Aryan Papers. Stanley non si preoccupava di fare molti film, voleva fare dei buoni film. Solo questo lo interessava.

E' vero che l'appartamento dei coniugi Hartford in Eyes Wide Shut è stato copiato da quello nel quale avete vissuto a New York all'inizio degli anni sessanta?
C. K.: In effetti. Lui desiderava un appartamento confortevole e tipicamente newyorchese, quello che conosceva meglio era il nostro! Ci abbiamo messo dei mobili, tavoli... e quando gli accessoristi portavano oggetti, lui diceva: "portate via questo, ho cose migliori a casa mia!" Gli oggetti con i quali abbiamo vissuto per anni hanno un aspetto migliore di quello che si recupera in giro. Io non amavo particolarmente New York, è difficile abitarci quando hai dei bambini piccoli, come nel nostro caso. New York, è bella se siete giovani e vivete da soli, o quando siete vecchi e avete il tempo di approfittare di quello che questa città può offrirvi, ma nell'ottica di una vita familiare, Stanley e io preferivamo abitare in campagna. L'Inghilterra era un bellissimo paese a quell'epoca...
J. H.: E il governo inglese incoraggiava i cineasti stranieri a venirci per girare i loro film, offrendo loro molte facilitazioni. L'Inghilterra dispone di molti tecnici specializzati tra i migliori al mondo. Tutto questo era preso in considerazione da Stanley.

Perché ha scelto di ambientare Eyes Wide Shut a New York?
C. K.: Perché conosceva bene New York e voleva modernizzare la storia...
J. H.: E poi voleva una distribuzione americana. All'inizio, aveva pensato di farne un film d'epoca. Ambientandolo a Londra o Dublino. Ma, dopo una quindicina d'anni, aveva deciso di attualizzarlo e l'idea di New York si era imposta. Ad un certo punto, aveva anche pensato di proporre una parte a Woody Allen, nel ruolo "serio" di un medico ebreo newyorchese!

Signora Kubrick, quando ha iniziato la sua carriera di pittrice?
C. K.: Io ho sempre dipinto. Ma non mi dava certo da vivere. Poiché tutta la mia famiglia lavorava nel teatro sono diventata ballerina, poi attrice di teatro, guadagnandomi in questo modo da vivere. Ma mi ero ripromessa di riprendere a studiare la pittura dal momento in cui avrei avuto qualche soldo da parte. Ma, dopo il matrimonio con Stanley, ho completamente abbandonato il progetto e siamo andati a vivere in California immediatamente.

Si possono vedere alcune delle sue tele ai muri dell'appartamento degli Hartford, in Eyes Wide Shut. In precedenza, lei aveva allo stesso modo eseguito dei dipinti per Arancia Meccanica.
C. K.: Sì, ma anche altri pittori avevano lavorato per Arancia Meccanica, per i dipinti erotici, per i quadri del Korova MilkBar, le modelle nude...

Le donne che si vedono durante la scena dell'orgia in Eyes Wide Shut assomigliano molto a quelle modelle...
C.K.: E' vero. Rappresentano una sorta di ideale femminile, come le top model ai nostri giorni. Stanley aveva riflettuto molto sul modo di rappresentare l'orgia. Nella cultura occidentale, quando si pronuncia la parola "orgia", si pensa subito all'Impero romano, belle case, persone seducenti, maschere, grappoli d'uva, seni nudi, cibo, vino, sesso. E' come un immagine biblica, che può fare paura in quanto suscita un certo senso di colpa, ma Stanley voleva che tutto ciò, in questo caso, cessasse. In America il termine "orgia" fa pensare alla rivista Playboy, alla casa di Hugh Hefner. Stanley voleva che la sequenza riflettesse quello che poteva venire in mente ad un europeo quando si immagina un'orgia.

Lui aveva già filmato delle orge in Arancia Meccanica e Barry Lyndon.
C. K.: E' vero. Trovo questo genere di scena molto divertente da realizzare. E al pubblico piacciono. Ma, in Eyes Wide Shut, bisognava che l'orgia fosse anche impressionante.

Cosa le è sembrato più sorprendente quando ha visto Eyes Wide Shut per la prima volta?
J. H.: Per quanto mi riguarda, nulla, visto che avevo seguito la lavorazione del film per due anni.
C. K.: Direi le prove di Tom e Nicole. Li trovo ambedue formidabili, hanno dimostrato di saper fornire una recitazione molto intensa. A Stanley piacque molto lavorare con loro. Non si stancava mai di vederli esplorare nuovi modi di rappresentare una scena, me lo disse un più occasioni. Si teneva da parte, sul set, osservandoli sul suo monitor, mettersi a nudo per lui. Sapeva che erano pronti a tutto per accontentarlo, per dargli soddisfazione. Il loro entusiasmo, la loro freschezza, il fatto che erano una coppia anche nelle vita reale, Stanley sapeva che erano straordinari ingredienti dai quali partire per ottenere un buon lavoro. E sicuramente ha ottenuto il meglio da tutto questo. Da parte loro, Tom e Nicole, sono andati il più lontano possibile, ottenendo un risultato allo stesso tempo intimo e molto intenso. Nicole ha avuto momenti incredibili. Ha saputo rendere in modo notevole il male che una donna può fare ad un uomo facendolo ingelosire. A tal proposito, Stanley aveva letto molti libri di etnologia sull'Africa e sull'origine dell'umanità; in essi si diceva che la più grande paura dell'uomo primitivo era di sapere che la sua progenitura in effetti non discendeva da lui. Era l'origine della gelosia. Nel regno animale, dal momento in cui il branco diventa poco numeroso, la femmina si allontana per farsi fecondare da altri maschi e apportare nuovi geni. I maschi del suo branco non devono mai saperlo, altrimenti la uccidono. Tutti questi elementi portano la femmina a fare ingelosire il maschio dicendo semplicemente: "Penso ad un altro uomo". E' la cosa peggiore che una donna può fare ad un uomo ma perché questo avvenga lei deve essere amata, altrimenti non funziona.

Secondo lei, come reagisce Bill al monologo di Alice sull'ufficiale di marina? Gli viene la voglia di vendicarsi, di incontrare altre donne?
C. K.: Lo fa soprattutto arrabbiare. Lei lo ha terribilmente ferito. Tutto quello che ha detto sotto l'effetto della droga è assolutamente idiota, si è comportata come un mostro e lo sa. Lui, da parte sua, è colpevole di avere reagito in maniera puerile: uscire di casa e cercare di vendicarsi. Non bisogna dimenticare che la sola cosa che impedisce a Bill di fare l'amore con altre donne e rappresentata da fattori contingenti: qualcuno che lo interrompe, la paura di contrarre l'AIDS... l'intenzione era quella di tradire. Alla fine della notte, sono tutti due colpevoli, si sono spogliati mostrando le loro fantasie ed ora quste stesse fantasie sono come delle croste di fango sul tappeto di casa. Devono convivere con le loro fantasie. Partendo da questi presupposti, la loro vita futura può solo essere molto difficile. Hanno distrutto i presupposti di fiducia sui quali si basava il loro matrimonio, adesso devono ricominciare tutto da capo. E' per questo che Alice pronuncia quest'ultima parola, "Fuck", è tutto quello che resta da fare perché le cose possano ricominciare.

Suo marito contava sul suo senso estetico di pittrice quando lavorava? Le chiedeva dei consigli?
C. K.: Piuttosto la mia opinione. Mi chiedeva: "Ti piace questo? Pensi che vada bene?" Rispondevo sì o no. Tutti lo fanno, uno pensa a voce alta e altri gli rispondono; ma non erano veri e propri consigli, piuttosto un dialogo.

La prima versione della sceneggiatura di Full Metal Jacket terminava con la morte del soldato Joker (Matthew Modine). La decisione di salvare il suo eroe alla fine di Eyes Wide Shut, sembra mostrare che, con il passare del tempo, Kubrick era diventato più ottimista...
C. K.: Stanley pensava anche che una fine triste potesse fare perdere di vista allo spettatore la vera tematica del film. Se quello che succede al personaggio è troppo brutto, per lui è finita, è distrutto. In compenso, se ha la fortuna di superare la sua prova, può riflettere sulla situazione e trarne degli insegnamenti. Sia che si tratti di problematiche belliche come in Full Metal Jacket, o di un modo positivo di convivere con i propri fantasmi erotici, in modo di non vedere distrutta la propria vita di copia.
J. H.: Aggiungerei che nel caso di Eyes Wide Shut, Stanley è rimasto soprattutto fedele alla novella, che finisce nel medesimo modo. Quando si dicono: "La realtà di una notte non è tutta la verità", oppure "Un sogno non è mai solo un sogno", Bill e Alice si esprimono totalmente con le parole di Schnitzler. Nella novella i due personaggi sono nella loro camera da letto, è la mattina di Natale e la loro figlioletta li raggiunge nel loro letto. Stanley voleva qualcosa con un po' più di mordente di questo, ma in sostanza non dice nulla di più di quanto non dica Schnitzler, gli rimane molto fedele. Il solo personaggio che aggiunge è quello di Ziegler, ne ha bisogno per dare un senso di maggiore realtà a tutta questa storia di complotti, di orge... la sparizione di Nightingale...

E' un modo per lui, di razionalizzare?
J. H.: Non esattamente, in quanto tutto questo non rende la storia più razionale... tutto rimane molto ambiguo. E' realista? Certamente no! Giusto? Sì. Non si ha mai idea di quello che può succedere intorno a noi. E' come il venditore di costumi, Milich, che prostituisce la sua giovane figlia. Le cose succedono in modo molto vicino a noi, ma noi a volte non ce ne accorgiamo. Stanley voleva che un normale personaggio della vita di tutti i giorni entrasse in contatto con questa società segreta. All'inizio non lo si suppone, ma alla fine Ziegler lo dice a chiare lettere: "Ero là, ho visto tutto." E' una specie di semi-spiegazione.
C. K.: Ziegler simbolizza allo stesso modo l'uomo senza moralità, senza coscienza, si oppone alla grande maggioranza delle persone, che, religiose o no, possiedono in qualche modo il concetto di Bene e Male. Allo stesso modo degli agnostici. Colui che è veramente posseduto dal male, come Ziegler, non ha alcun problema, alcuno scrupolo. E' questo che lo rende così potente. Lui è molto disinvolto di fronte a tutto questo. Il fatto che questa ragazza sia morta non gli crea nessun problema, lui non si preoccupa di essere un personaggio orribile. Nel mondo che ci circonda si incontrano dei tipi come lui, addirittura alcuni sono dei capi di Stato.

Eyes Wide Shut possiede una sensibilità molto europea. Vi si trova un tono che evoca Bergman, Antonioni o Kieslowski.
J. H.: Stanley viveva in Europa da molto tempo, era un grande fan di Bergman. Amava anche Carlos Saura, ma questo non gli impediva di apprezzare allo stesso modo Spielberg.
C. K.: Era un vero patito di cinema. Amava ogni tipo di film. Li vedevamo a casa nella nostra sala di proiezione privata. Invecchiando, la pigrizia ci aveva presi e ci accontentavamo delle videocassette. Stanley a volte guardava solo poche scene di un film. Diceva: "Non è un buon film, ma questa scena è interessante." Era un appassionato.

Contrariamente ai suoi film precedenti, Eyes Wide Shut è una storia molto intima, che non necessita di grandi mezzi. Lui aveva preparato il film in maniera differente a causa di questo?
J. H.: Sì, all'inizio voleva girare interamente il film in esterni, nella zona est di Londra, di notte. Credeva che sistemando qualche cabina telefonica americana qua e là, dei taxi gialli... avrebbe funzionato. Ma si è reso subito conto che sarebbe stato molto difficile. Le condizioni di lavoro sarebbero state molto difficili: vi rendete conto, bloccare intere strade, gestire le proteste degli abitanti; sarebbero state grosse difficoltà. Si è dunque abbandonata l'idea di girare in esterni per costruire un set a Pinewood. Stanley desiderava che, visivamente, il film avesse una certa ampiezza. La storia doveva essere intima, voleva fare dello spettacolo. Ma per la scena dell'orgia, non ha mai pensato di girare in studio. Non si poteva trovare il denaro necessario per costruire delle scenografie così grandiose. Quindi abbiamo trovato questo palazzo indiano fatto interamente in marmo... non era in America, ma poco importa. Il realismo non era importante.
C. K.: La città che ha costruito in studio cattura perfettamente l'essenza di New York. Tutto è assolutamente newyorkese. Adorava mettere a punto tutto questo.

Brève rencontre - Christiane Kubrick et Jan Harlan, di Yann Tobin e Laurent Vachaud
Positif, Ottobre 1999
Traduzione dal francese per ArchivioKubrick di Rufus McCoy

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