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Riccardo Aragno
(1915-2003)

L'amico italiano di Kubrick, curatore delle versioni dei suoi film per il nostro Paese. Dagli anni '60 un fedele amico e collaboratore. Di lato, una recente foto dello scrittore con il copione originale di Eyes Wide Shut, ultimo film da lui tradotto, e la lettera personale di Kubrick in cui il regista smentisce le critiche al doppiaggio italiano di Arancia Meccanica: "Caro Riccardo, la storia riguardante il doppiaggio di Arancia Meccanica non ha senso. Ho sempre menzionato il doppiaggio italiano come esempio di quanto può essere ben fatto un doppiaggio. I migliori saluti a te e a Mario. Stanley" (lettera autografa del 10 aprile 1996, pubblicata su Ciak, Luglio 1999).

 
L'amico italiano di Stanley Kubrick
 

"Un orco solitario? Un nevrotico lontano da tutti? Ma se era l'uomo più allegro che ho mai conosciuto! Nella vita privata, con lui, non si faceva che scherzare."

E' commosso Riccardo Aragno, l'amico italiano, giornalista, sceneggiatore, commediografo, che ha curato tutte le versioni italiane dei film di Kubrick. Aragno ha 84 anni. La sua amiciza con Kubrick risale al '61. "Ci siamo conosciuti a Londra, a casa di Peter Sellers, per cui avevo scritto La Miliardaria che poi, con Sofia Loren, fu diretto da Asquith. Il giorno dopo mi chiamò a casa: 'Sono Kubrick, abbiamo chiacchierato ieri a cena. Che cosa fa a colazione?' Così è iniziata la nostra amicizia. E per più di 30 anni siamo rimasti gli amici più fedeli. A Natale siamo stati insieme, mi ha promesso che avrei curato anche il suo ultimo film Eyes Wide Shut. Già voleva che studiassi un titolo.

Su cosa si basava la vostra amicizia?
La cucina. Voleva sempre che cucinassi per lui. E il fatto che siamo due evasi, lui dall'America e io dall'Italia. Lui mi chiamava "il filosofo di casa". Insieme abbiamo anche scritto un film, su Napoleone, che poi non si è fatto. Prima di 2001 abbiamo avuto l'idea di fare un film leggermente porno, ma poi il progetto è stato accantonato.

Perché era così solitario?
Diceva: "Non posso perdere tempo con gente che mi fa perdere tempo". Non si stancava mai di leggere, studiare. Era insaziabile, quasi maniacale. Sosteneva che non si mette mai abbastanza roba nel cervello. Però non era solo. Aveva una moglie, Christiane, conosciuta girando Orizzonti di gloria, nel '57. E' la ragazza che alla fine del film canta e commuove i soldati. Aveva tre figlie. E alcuni amici.

Che tipo di scherzi faceva?
Il suo sense of humour era graffiante, un po' crudele, come in Arancia meccanica. Ti portava via la pelle. Molti pensano che l'umorismo serva a divertire. Lui credeva che aiutasse a pensare, anche a costo di morsi e ferite. Ci voleva un pizzico di cattiveria, secondo lui, per raggiungere un livello alto di allegria.

Kubrick dopo tanti anni era diventato inglese? O rimaneva americano?
Ormai di americano conservava sì e no un 30%. Negli Stati Uniti era tornato l'ultima volta per sottoporre a una commissione di senatori il suo film più politico, Il dottor Stranamore. Terminò il montaggio sulla nave. Il fim si concludeva con l'ambasciatore russo che tira una torta in faccia al presidente Usa. Appena arrivato mi telefonò: "Hanno ucciso Kennedy, poche ore fa. Dobbiamo rifare il finale." Da allora non è mai tornato al suo Paese.

Perché non tornava?
A Hollywood non voleva subire i condizionamenti delle grandi compagnie di produzione. A tutti i costi, voleva difendere la sua indipendenza. C'è una sua frase che ricordo. Era appena uscito Arancia meccanica che aveva suscitato polemiche, ma fatto incassi record. Lui mi disse: "Riccardo, adesso il pericolo è di pensare che si ha bisogno di due paia di scarpe."

Corriere della Sera, 8 Marzo 1999

Riccardo Aragno
 
Kubrick visto da vicino
di Claudio Masenza

Il privato ed il lavoro di un genio, raccontati dall'amico e collaboratore italiano.
Gli spinelli di Peter Sellers a casa della Principessa Margaret, i neri di censura sulla copia-lavoro di Eyes Wide Shut, la morte in sala di montaggio. Riccardo Aragno, che ha curato la versione italiana degli ultimi film di Kubrick, racconta l'amico con sorprendenti foto private.

Stanley Kubrick e Riccardo Aragno si incontrarono la prima volta nel '61 all'inaugurazione della casa di Peter Sellers nella campagna londinese. Sellers girava con Kubrick Lolita ed era stato l'anno prima interprete a fianco di Sophia Loren di La miliardaria di Anthony Asquith, adattamento di Aragno di una commedia di George Bernard Shaw. Entrambi stranieri in Inghilterra, Aragno era da diversi anni critico cinematografico per la BBC e Kubrick si era fatto notare con Rapina a mano arnata e Orizzonti di gloria ma solo Spartacus, il meno personale dei suoi film, aveva incassato. Il regista del Bronx aveva 34 anni. L'intellettuale torinese che avrebbe curato la versione italiana dei suoi ultimi cinque film, quindici di più.

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Una festa in maschera a casa Kubrick alla fine degli anni '80, con palloncini: a sinistra vediamo Jan Harlan abbracciare sua moglie. Accanto a loro, Anja Kubrick e il suo fidanzato. Anja nata nel 1959, è la prima delle due figlie che il regista ha avuto dalla sua terza moglie Christiane. A seguire nella foto, Christiane, Stanley e Katharina K. Hobbs, la figlia nata dal primo matrimonio della donna con Werner Bruhns.

"Io ero nato con la radio e conoscevo Sellers da anni perché avevamo fatto insieme il mitico Goon Show che lo aveva lanciato", ricorda Aragno. "Stanley Kubrick era affascinato da lui perché, come ho poi scoperto, era attratto dai tipi bizzarri. Ma tutti amavano Peter. Anche la principessa Margaret, nonostante lui la mettesse spesso in imbarazzo. Una volta, a cena da lei, mi raccomandò di dirgli di non fumare marijuana: la casa era piena di poliziotti. Quella prima sera Kubrick era depresso e mi parlò del rischio di una imminente guerra atomica. Era sicuro che sarebbe cominciata per un qualche stupido errore. Ne parlammo a lungo. E mi confessò che voleva comprare un'isola nel Pacifico per salvarsi. Tre anni dopo uscì Il dottor Stranamore. Forse quella sera, mentre nasceva la nostra amicizia, decise di esorcizzare le sue paure girando una farsa. Il giorno successivo mi telefonò e mi propose di fare colazione assieme. Le nostre colazioni sono proseguite per circa trent'anni. Lui usciva regolarmente, non è mai stato un recluso, ma era sempre mal vestito e nessuno lo riconosceva."

"Presto diventai il suo confidente. A tardo pomeriggio mi chiamava perché andassi a cena da lui, nel suo appartamento, e gli cucinassi la pasta. Amava molto gli spaghetti alla puttanesca. Poi, a partire da Arancia Meccanica, è stato proprietario al 50%, dei suoi film. E quando ha capito che sarebbe diventato molta ricco mi ha detto: Ora il pericolo è di volere due paia di scarpe. Non si curava del denaro, ma, per proteggere sé e la sua famiglia dalla curiosità dei giornalisti, comprò un grosso palazzo in campagna circondato da quattro reticolati. L'arredamento rispecchiava la sua passione per l'austerità, ma la casa era piena di equipaggiamenti cinematografici. C'era anche una sala di proiezione e il sabato, dopo il lunch, tornavamo a casa a vedere i nuovi film. Glieli mandavano i distributori per avere un suo parere. Spesso, a metà del primo rullo, mi proponeva di andare in cucina a farci un caffè. Ed erano sua moglie o la nostra amica Milena Canonero a richiamarci a volte gridando: "Tornate, non è male." Ma per vedere Petri e Fellini si correva al cinema. Lo annoiò invece Morte a Venezia di Visconti. Molti registi volevano conoscerlo e negli ultimi anni gli capitava di parlare a lungo al telefono con Pollack e con Spielberg. Ricordo però che una volta John Franhenheimer era di passaggio a Londra e chiese di incontrarlo. Ma no, Stanley non voleva perdere tempo con gente che considerava mediocre. Aveva fatto invece amicizia con Stanley Donen. Era all'epoca in cui facevamo assieme ricerche per un film su Napoleone e i due Stanley giocavano a Battles sfidandosi nella battaglia di Waterloo. E Kubrick vinceva. Sempre. Abbiamo lavorato due anni e mezzo su Napoleon. Poi la Metro ha letto il copione e ha detto no. Costava troppo ed erano certi che agli americani di Napoleone non importasse nulla."

foto

Ancora una bella immagine scattata da Aragno della festa in casa Kubrick: da sinistra, il fidanzato di Anya, la figlia del regista (che vediamo al suo fianco), Jan Harlan, Stanley, Christiane e Vivian, secondogenita del regista, nata nel 1960.

"Mi voleva spesso sui set dei suoi film. E a me interessava guardarlo lavorare. L'inizio di 2001: Odissea nello Spazio era realizzato in Front Projection. Erano foto scattate nel deserto e poi proiettate nel teatro di posa della MGM dietro alle scimmie che erano dei ballerini. E mi raccontava come la storia della civiltà fosse nata con la scoperta della guerra."

"Con Arancia Meccanica ho iniziato a tradurre in italiano le sue sceneggiature. Me la chiese lui, perché era difficile riportare in italiano il linguaggio che Anthony Burgess, un modesto imitatore di Joyce, aveva inventato per il romanzo dal quale era tratto il film. Lavoravo con Mario Maldesi, che era l'adattatore e direttore del doppiaggio, e Stanley, che non parlava italiano, si fidava completamente di noi."

"Arancia Meccanica fu invitato al Festival di Venezia e, per la sera della proiezione, Stanley mandò Milena Canonero, che aveva disegnato i costumi del film, a sostituire gli obiettivi dei proiettori con quelli della sua sala di proiezione: con lui nulla poteva essere lasciato al caso. Quando girava Barry Lyndon io raccolsi 50 opere liriche del Settecento per trovare un'aria da usare nel film. Lui decise che serviva una musica particolare, romantica. Proposi allora il mio amico Nino Rota. Subito si fecero i contratti e Rota arrivò. Lo accompagnai da Stanley e poi li lasciai soli. Un'ora dopo mi chiamò Rota in lacrime. Kubrick gli aveva fatto sentire un brano di Schumann e aveva detto: 'voglio questo.' Ogni mediazione fu inutile e sciolsero i contratti."

"Era avaro nel dire a un attore ciò che voleva. Una piccola spiegazione doveva bastare loro per trovare la giusta espressione. Era sicuro del proprio occhio ed era pronto a far ripetere una scena anche sessanta volte. E non gli importava di sprecare pellicola. Ne comprava in partenza moltissima e tutta rigorosamente dello stesso bagno. Non aveva scadenze visto che era padrone del proprio lavoro. Aspettava. Ma non tutti potevano essere all'attezza di James Mason a Peter Sellers. Lui che era sempre gentile, diventava molto nervoso con gli attori. Lo irritavano soprattutto quelli che si ritenevano bravi. Ma pensava che il cattivo umore sul set non conta, conta solo quel che finisce sul negativo."

"Era un ebreo ateo che festeggiava il Natale. Ma al suo ultimo, non sono andato. Ero malato. Lui ha detto a Milena Canonero che voleva che Maldesi e io ci occupassimo della versione italiana di Eyes Wide Shut. E dopo Natale ho ricevuto il copione e un tape del film con delle sequenze oscurate, quelle che potevano creare problemi. Ora so che la questione censura è risolta ma non posso dire di più. Io traduco la sceneggiatura e Maldesi si occuperà di adattarla al doppiaggio. Come sempre abbiamo registrato provini per le voci principali perché Stanley le potesse provare e poi decidere. Anche per Nicole Kidman e Tom Cruise, che hanno doppiatori abituali, abbiamo ottenuto di poterci muovere in totale libertà ma questa volta lui non ha fatto in tempo a scegliere. Un amico romano mi ha telefonato verso le 17,30 del 7 marzo per dirmi che aveva saputo da un TG della sua morte. Non sono riuscito a parlare con nessuno fino a dopo le 21."

"Poi, nella confusione del momento, ho capito che la sera prima era andato nel garage dove era la sala montaggio e dove per anni ha lavorato, spesso da solo, ai suoi film. L'indomani lo hanno trovato lì, in terra. Solo ora comincio a capire cosa ho perduto. Anche se preferisco pensare a cosa ho avuto per tutti questi anni!"

Ciak, Luglio 1999

Riccardo Aragno

copertinaAragno ha scritto, poco dopo la morte di Stanley, il libro Kubrick: Storia di un'Amicizia (edito dalla Schena Editore nell'ottobre 1999) in cui racconta i trenta anni passati insieme al regista, tra colazioni, cene nella cucina invasa dai labrador di Stanley, discussioni sull'industria cinematografica, ecc. Nel retro di copertina scrive:
A Hollywood i film nascevano negli studios... L'idea di Stanley era diversa: simile a quella dei pittori, degli scultori, dei poeti, dei romanzieri, dei musicisti... Noi usavamo un termine inglese - un po' sul serio e un po' per scherzo - "a Cottage Industry"; artigianato, si direbbe in italiano.
Il libro, che contiene due foto scattate dallo stesso Aragno, è dedicato a Christiane.

 
Kubrick: Storia di un'Amicizia [estratti]
di Riccardo Aragno

Una sera, nel lungo prato della villa di Elstree, di proprietà dei Kubrick, Stanley puntava la macchina fotografica verso la coppia di labrador che erano i veri padroni della casa.
Vidi che la gioia dei cani lo interessava.
Si voltò e si avvicinò a me e a sua moglie Christiane, facendo alcuni passi indietro ma tenendo l'obiettivo puntato sui cani. Poi d'un tratto disse: "In fondo bastano cinque o sei inquadrature ben pensate in un film per dargli significato. Certo, ognuna deve essere ben calcolata. Bisogna che si pianti bene nella mente degli spettatori. E' importante che l'inquadratura faccia da punto fermo per la sequenza."
Il discorso cinematografico, insomma, era uguale al gioco delle parole nel linguaggio della logica, salvo il fatto che l'immagine è per sua natura immensamente più ricca della parola.

Dopo il lunch o dopo cena [a Elstree e poi a St. Albans] ci guardavamo dei film. Stanley ed io facevamo gli operatori.
Spesso, se all'inizio la qualità del film era scadente, Kubrick borbottava "Coffee?", che voleva dire "Adesso andiamo in cucina a farci un caffè e le donne restano a guardarsi la prima bobina e vedono se vale o no la pena di sprecare il tempo a vedere bambinate". Ogni tanto arrivava una voce urlante, rasserenante: "Tornate, cretini. E' bello!"

Entusiasta per tutto ciò che al mondo vi è di scientifico, Kubrick pianifica i suoi film con strategia militare.
In questa fase preparatoria, lunghissima e densa di emozioni, e spesso scoperte e pentimenti, nulla può essere lasciato al caso. Tutto deve essere previsto e chi, tra i suoi collaboratori, in tutto non più di cinque o sei persone, si permette di sgarrare di qualche giorno, ora, minuto, secondo, è pronto alla fucilazione. La fucilazione non è altro che uno sguardo lanciato da Kubrick, uno sguardo che alcuni pittori e illustratori avrebbero attribuito a Giove in persona.
Nella perfetta, scientifica, militare organizzazione kubrickiana irrompe il caos. Sono momenti di grande tensione: elettricità allo stato puro. L'essenza del Cottage Industry [artigianato; termine usato da Aragno in contrapposizione al metodo di produzione di film a Hollywood, NdR] è di non avere le riserve che una catena di montaggio richiederebbe.

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Stanley fotografato dall'amico Riccardo nel parco della sua villa, alla fine degli anni '70.

I piani che il produttore Stanley Kubrick preparava per il regista Stanley Kubrick erano di una minuziosità, di una precisione incantevoli.
Erano fatti come se egli dovesse rendere conto di ogni momento e di ogni dollaro.
Un capo di uno studio di alta classe li potrebbe mettere in cornice per dare una lezione a quei direttori di produzione che si lanciano all'avventura senza alcun senso di responsabilità. [...]
Stanley Kubrick era inflessibile sui tempi e sui soldi. Non un giorno di più del necessario, non un dollaro di più del necessario. Alcune delle sue trovate mi ricordavano i finanziamenti delle prime produzioni neorealiste cui avevo preso parte o avevo assistito.
Una delle spese abituali all'inizio di ogni produzione consisteva sempre nell'affittare un certo numero di automobili con autista per il trasporto di interpreti o tecnici.
Nulla di simile se produceva Stanley. Avvisava tutta la troupe di usare la propria macchina. Per la troupe Stanley ordinò quattro furgoncini Volkswagen mini-van. Ne diede uno all'operatore con l'equipaggiamento, uno per i costumi, uno agli elettricisti, uno per mense e bibite. Alla fine del film i furgoni furono messi in vendita a chi li aveva utilizzati a metà prezzo e questo fu considerato un gentile bonus. Stanley si accorse così di aver risparmiato due terzi rispetto a quanto avrebbe speso una produzione media hollywoodiana.
Come produttore Stanley Kubrick prevedeva tutto e non dimenticava mai nulla. Le sue troupe erano spesso abbondanti (centodue persone, se non sbaglio, per Barry Lyndon). Questo perché due braccia in più spesso permettono di risparmiare un giorno di lavoro. Ma, mentre la macchina produttiva si metteva in movimento, la vita cominciava puntualmente a riprendersi le sue rivincite.
Non era soltanto la pioggia inglese a occuparsi di bagnare una strada che in montaggio doveva legare con una giornata asciutta; non erano solo le nuvole irlandesi che si rifiutavano, per tutto un mese, di illuminare un certo tronco che doveva servire da sfondo ad un duello militare. Spesso si trattava semplicemente di qualcosa di piu invisibile: un dubbio, un'incertezza, un ripensamento.
Il dubbio può riguardare una intonazione, un gesto, ad esempio quel braccio di Peter Sellers che voleva a tutti i costi scattare in un saluto nazista; gesti così valgono tutta una giornata di lavoro, in un film. Se improvvisamente viene un'idea così a Peter, vale la pena di spostare la macchina da presa, risistemare l'illuminazione, spostare un altro attore in una diversa posizione. Spesso il dubbio si rivela un'intuizione e un'intuizione si trasforma in ispirazione. Il cinema d'autore ha questo di importante: che non e fatto di inquadrature prefabbricate. E' tutto fatto di inquadrature intuite.
Il segreto dramma fra lo Stanley Kubrick produttore e il regista Stanley Kubrick è il duello fra il produttore conscio del valore di ogni dollaro e il regista del perfezionismo fino alla esasperazione.
Ma lo scontro abituale fra preventivo e nuove esigenze artistiche non ha mai finali imprevisti, vince sempre il perfezionismo: vince cioè il "negativo" che ha, per così dire, un diritto divino di ricevere soltanto il meglio di quel che è stato possibile mettere davanti alla macchina da presa. Il solo giudice di questo criterio è un terzo Stanley Kubrick: quello che dovrà prendere la responsabilita del film davanti al pubblico.
Alla fine della giornata è a quello Stanley Kubrick che si può chiedere un bilancio di come è andata la giornata e se quei tre o quattro minuti di girato potranno un giorno far parte del montato e resteranno nella copia finale o finiranno nel cesto dei rifiuti. Quando si gira un film la concentrazione sull'immagine da creare è una fatica che non dà pace: una fatica più grande di quella che deve superare uno scrittore, un pittore, un musicista; questo è anche uno dei motivi per cui Stanley Kubrick coltivava accuratamente la solitudine.

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Christiane, nel parco della villa inglese, anni '70.

Gli attori che lavorano con Kubrick e che spesso lo conoscono poco, rimangono spesso stupiti dall'essere tanto trascurati. Sono abituati a lavorare con registi che recitano per loro, che danno lunghe e complesse spiegazioni psicologiche dei personaggi, oppure da registi che si aspettano esibizioni retoriche o secondo il vecchio stile teatrale. Esistono ancora attori e attrici con esperienze teatrali che confondono uno studio con un palcoscenico. [...]
Io ho assistito a innumerevoll scene in cui, pazientemente, Stanley aspettava, secondo il metodo Stanislavskij (mai espressamente da lui citato), che l'attore o l'attrice "trovi la sua battuta". Non la vuole "dare", non la vuole insegnare agli attori, vuole che venga da loro.
In un attore divenuto regista, come Vittorio De Sica, c'era una tale conoscenza del palcoscenico, un istinto e un'esperienza come attore di cinema che era naturale, per chi lavorava con lui, accettare le sue imposizioni. Kubrick invece non aveva alcuna esperienza di recitazione, aveva una grande attenzione per il suono della voce, sapeva sia quel che l'attore poteva dare e cosa la battuta richiedeva. Mi accorsi di questa sua prodigiosa sensibilita durante il doppiaggio di A Clockwork Orange. Stanley mi telefonava spesso per ascoltare certe voci e certe battute che lo interessavano. Lui non ha mai saputo una parola di italiano, ma dal suono capiva il significato. Non dalle parole, ma dal suono.
In generale si pensa che la composizone di vocali e consonanti sia quel che dà un significato alla parola. Ma chi fa uso di tre o quattro lingue sa che oltre ad essere composta di varie parole e di lettere, ogni lingua ha dei suoni. Molto spesso ci accorgiamo di come parole di lingue diverse assolutamente equivalenti come significato, hanno, come suono, un senso notevolmente diverso.
Il cinema, che vive di doppiaggio, questo riesce a metterlo in evidenza se si ha la possibilità di "ascoltare" un film in varie lingue, specialmente se i doppiaggi sono fatti da gente in gamba.
Stanley ha detto varie volte che A Clockwork Orange suonava meglio in italiano che in inglese.
Dopo il doppiaggio in francese di Paths of Glory, Stanley si mise ad urlare: "Questo è il vero suono del film, non quello inglese che ho fatto io." Qualcuno ha tra l'altro scritto che il mio doppiaggio di Full Metal Jacket è migliore dell'originale.

Una volta, chiacchierando di fotografia di fronte ad alcune novità che un rappresentante ci stava facendo vedere, Stanley mi fece osservare che la macchina da presa pone gli stessi problemi della comune macchina fotografica. Ci sono due possibilità: o fai l'istantanea o fai la posa. O si compongono accuratamente luogo, luci, effetti, o si coglie il momento che fugge, lasciando che sia il caso a fornirti una immagine che ti dà la sensazione che la vita è un qualcosa di eternamente in movimento.
In quest'ottica, pensai, da una parte sta A Clockwork Orange, dove la macchina da presa riesce a malapena a tener dietro a quel che avviene sul set, e dall'altra parte sta Barry Lyndon, dove tutto si trasforma in quadro.
Quel che determina lo stile fotografico del film e come si alternano istantanee e pose. Molte volte sono i personaggi che determinano la scelta: vi sono attori che - te ne rendi conto soltanto quando sei al montaggio - ti offrono espressioni che rivelano assai più di quanto avevi chiesto loro: vi sono dettagli che rivelano sottintesi ai quali non avevi nemmeno pensato.
Decidemmo di farci un caffè e Stanley, pensieroso, aggiunse: "Questo però vuol dire che conviene sempre girare ogni scena varie volte: più giri e piu ti accorgi che qualcuno potrebbe darti espressioni che non gli avevi nemmeno chiesto. La prossima volta invece di cercare di fare un film con 30 mila metri di pellicola ne voglio prendere 50 mila. Non sai mai cosa puoi trovare quando sei in montaggio."
Chi vive nel cinema è conscio della pazzesca velocità con cui una scena viene allestita, girata e, subito dopo, smontata ed eliminata. Si cambiano i costumi, si sostituiscono le scene; spesso non c'è modo di ripensare la scena che hai girato ieri, perché non c'è più. E' come se uno scrittore non potesse tornare sul testo scritto il giorno prima per cambiare una parola che non riflette perfettamente il proprio pensiero. L'attimo che fugge è un qualcosa che perseguita tutti coloro che fanno cinema. [...] Stanley sorbiva lentamente il caffè e borbottava: "Solo io voglio decidere quando la scena che abbiamo girato si può smontare."

Tutti e due eravamo appassionati di computer, apparecchi fotografici, radio, registratori, amplificatori, microfoni, ricevitori, cassette, dischi, macchine da scrivere, fotocopiatrici, telefono con registratori e possibilità di comunicare con tre o quattro persone. Inoltre bisognava aggiungere anche altri interessi: le ricette di piatti italiani, formaggi francesi, piatti americani, squisitezze cinesi ed indiane. [...] E poi c'era il jazz. [...]
Naturalmente il posto d'onore l'avevano la fotografia e il cinema. La varietà degli obiettivi ci appassionava, partendo dai "50" di assortita luminosità arrivando fino ai più azzardati grandangolari. Facevamo grande uso del "135" della Nikon per i ritratti e arrivammo con piacere fino al "180" della Angenleux sulla Leica e altre prezioserie.
Quanto al cinema lui aveva bisogno del professionale 35, mentre io mi servivo, per le cose che giravo, del mio amato 16 mm Beaulieu che portavo sempre con me. Una volta, quando stavo partendo per andare a fare un documentario per la televisione, Christiane mi prestò un "500" (di quelli con dentro un paio di specchi per mantenere ragionevolmente corto l'obiettivo). La notte prima della partenza verso le tre e mezza del mattino squillò il campanello della porta. Mi avevano portato un pacchetto da parte di Stanley. Dentro c'era una piccola 16 mm un po' vecchiotta, ma dotata dl un motore ricaricablie a mano. C'era anche un biglietto: "Nel caso in cui ti venissi a trovare con le pile scariche della tua Beaulieu in pieno deserto. O quando le botteghe fra le dune hanno finito le scorte di pile." Stanley amava fantasticare sugli incidenti di lavoro che potessero occorrere agli amici. Era un organizzatore con un grande senso dello humour.

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Lo studio di pittura di Christiane.

Fino all'ultimo giorno Stanley e Christiane sono rimasti legati profondamente. La sintonia intellettuale e sentimentale di quella coppia era il grande segreto di Stanley di cui pochi si sono accorti. La loro era una combinazione di esistenze. I loro pensieri erano armonizzati come raramente succede in una coppia.
Christiane e Stanley hanno letteralmente passato la vita insieme. Lei partecipava al lavoro di lui con amore ed entusiasmo. Quando abitavano ad Elstree, non era raro che Christiane passasse la giornata sul set con Stanley. Vederli insieme era un'esperienza straordinaria. Si comprendevano con dei cenni. Bastava un gesto della mano per capire cosa l'altro pensasse in quel momento. Christiane non era certamente l'ombra sbiadita del celebre marito: è una persona notevolmente creativa e una bravissima pittrice.
Christiane lavorava con Stanley, ma i due hanno anche costruito e sviluppato una famiglia, hanno organizzato una casa, una cucina rigorosamente salutista (anche se una volta vidi Stanley prendere dal frigorifero un hamburger crudo e mangiarlo tranquillamente: al mio sguardo interrogativo, lui rispose: "Beh, le proteine ci sono sempre!"). Li univa la passione per la musica classica e Jazz, avevano una biblioteca di proporzioni universitarie veramente invidiabile e una comune passione per le immagini, sia cinematogratiche sia pittoriche.
Intendiamoci: tutto questo non era mai statico. Le due menti erano sempre in movimento.
Chi parlò per la prima volta dell'idea di un viaggio nello spazio?
Chi esibì il libretto di A Clockwork Orange dopo che il progetto su Napoleone fu seppellito da una telefonata?
Chi pensò che, tutto sommato, Thackeray era ancora leggibile?
Chi suggerì a Stanley che Milena Canonero avrebbe potuto fare i costumi di A Clockwork Orange?
Christiane, sempre. Ma tutto avveniva con una discrezione tale che le intuizioni sembravano frutto della sola genialità di Stanley.
In tutti questi decenni di amicizia con Stanley è sempre stato impossibile per me distinguere a chi dei due fosse venuta in mente prima un'idea. Questa comunanza, questa unione è uno degli aspetti segreti e fondamentali dell'uomo e dell'artista Stanley Kubrick, su cui nessuno si è mai preoccupato di investigare.
Io non posso immaginare l'opera, lo stile, la qualità della vita di Stanley, separato da Christiane. E' stato un vero modello di vita di coppia, più affascinante di qualsiasi altro.

Arrivare a casa Kubrick era, ogni giorno, uno spettacolo di vita familiare vissuta fino in fondo. Ricordo Christiane intenta a dipingere "il verde" dell'Inghilterra, una pittura dai colori accesi, essenziale, che fa emergere l'intimo e intenso rapporto uomo-natura. Ricordo Stanley consolare la figlia Vivian, triste per aver visto un canarino ucciso da un gatto. "This is nature, honey" diceva il papà alla bambina. "We'll have to get another bird, Vivian."
L'isolamento e la riservatezza di Kubrick hanno alimentato l'idea di un personaggio scontroso, asociale e pessimista. Ma non c'è nulla di più falso. Stanley, infatti, era un tipo generalmente allegro e pieno di humour. La verità è che aveva semplicemente scoperto il valore e l'utilità della privacy. Aveva compreso che soltanto tutelando la propria vita privata poteva mantenere integro il rapporto con la persona amata, nutrirsi veramente dell'affetto delle bambine e condividere in tutta tranquillità le cose essenziali con i parenti stretti e i pochi, selezionati amici.
Sempre controcorrente, Stanley, con la straordinaria complicità di sua moglie Christiane, ha saputo ricreare quello che la nostra società ha quasi completamente distrutto: un perfetto modello di vita coniugale. Il suo più grande e intenso capolavoro.

Kubrick: Storia di un'Amicizia, Schena Editore, 1999

Riccardo Aragno
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