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James B. Harris
(1928)

Presentato a Kubrick dall'amico comune Alexander Singer, rimase favorevolmente colpito dalla bravura dimostrata dal giovane regista in Il Bacio dell'Assassino. In seguito, ha collaborato come produttore ai primi tre grandi film che hanno attirato l'attenzione sul giovane Kubrick. La Harris-Kubrick Production riuscì a mantenersi indipendente dalle major hollywoodiane del periodo e a creare capolavori quali Rapina a Mano Armata, Orizzonti di Gloria e Lolita.

Il debutto di James B. Harris come regista avvenne con Stato d'Allarme (The Bedford Incident, 1965), un film che curiosamente riprende il tema del Dottor Stanamore in chiave seria e drammatica. In seguito ha diretto ottimi attori in Qualcuno Lo Chiama Amore (Some call it loving, 1973), Fast-Walking (1982), Indagine ad Alto Rischio (Cop, 1987), Limite Estremo (Boiling Point, 1993). Degli ultimi titoli ha anche adattato la sceneggiatura da romanzi di Ernest Brawley, James Ellroy e Gerald Pitievich.

 
Mi ricordo quando...
di James B. Harris

Molti sentiranno la mancanza di Stanley, non io. La ragione e semplice. Lui è sempre con me. Lo è dopo quarantacinque anni, lo è dal 1955 quando sono diventato il suo socio e il suo amico più prossimo. Lo sarà fino la giorno della mia morte. E dopo, chi lo sa?

Parlo dello spirito, naturalmente. In effetti, la nostra società durò solo otto anni e tre film (Rapina a Mano Armata, Orizzonti di Gloria e Lolita). Dopo avere trovato i finanziamenti per quello che sarebbe dovuto essere il nostro quarto film insieme, Il Dottor Stranamore, io scelsi, con la benedizione di Stanley, di lanciarmi individualmente in una carriera di regista. Mi è stato chiesto più volte: "Perché quando lei e Kubrick avete raggiunto finalmente la notorietà che cercavate, lo ha lasciato?" Ed ogni volta io rispondevo: "Perché il nostro sodalizio professionale non mi offriva più il tipo di soddisfazioni che volevo." Forse quando abbiamo iniziato a realizzare Rapina a Mano Armata, essendo vicino a Stanley, oppure in seguito vedendolo dirigere con tanto virtuosismo i film che ha fatto in seguito, Spartacus incluso, ho realizzato che la grande soddisfazione che si cerca nel cinema può venire soltanto dalla regia. Stanley me lo aveva sempre detto, quindi, io credo, sulla base dei contributi artistici che abbiamo dato insieme, egli avvertì che dovevo iniziare a prepararmi a diventare regista.

Quindi, lui mi ha fatto conoscere le opere dei registi che ammirava, come Max Ophuls, Vittorio De Sica, Federico Fellini, Akira Kurosawa, Sergei Eisenstein e altri. Mi incoraggiò a collaborare alla stesura di tutte le nostre sceneggiature, cosa che mi indusse tra l'altro, a scambi di idee con artisti del calibro di Jim Thompson, Calder Willingham e Vladimir Nabokov.

Sul set, le nostre sedie erano a stretto contatto e lui provava un vero piacere a spiegarmi tutti i suoi segreti mentre girava. Questo includeva le ripetizioni con gli attori, le riprese delle scene, la scelta degli angoli di ripresa e anche i diversi obiettivi che utilizzava per ottenere le differenti profondità di campo che desiderava. Anche il montaggio era un discorso corale, preferiva che io fossi presente per vedere come faceva ad "assemblare i vari pezzi". Come se lavorasse per un unico spettatore. E credetemi, applaudivo tutti i suoi gesti. Adesso io sfido chiunque, anche con una conoscenza limitata del cinema, di non volersi cimentare nella regia dopo essere stato in contatto con un tale maestro.

Ma questa non è stata la sola ragione del mio cambiamento di direzione (il gioco di parole non è intenzionale). In gran parte, l'eccitazione di produrre un film aveva perso il suo fascino, sapevo quello di cui ero capace. Dopo avere terminato Lolita, Stanley aveva affermato la sua reputazione di uno dei registi più dotati al mondo, una cosa che avevo percepito e sulla quale avrei scommesso. Da un punto di vista finanziario nessuno di noi aveva problemi. Avevo preparato il finanziamento per il nostro prossimo film, Il Dottor Stranamore, non avendo in questo modo alcun senso di colpa per avere lasciato Stanley a sbrogliarsela da solo. Cosa mi restava dunque da fare? Passare alla regia. Ma se mai il luogo comune "più facile a dirsi che a farsi" ha avuto un senso, è stato in occasione del mio primo tentativo di regia, Stato d'allarme. Stanley stava al cinema come i grandi atleti stanno allo sport. Faceva sembrare facili le cose più difficili. Ma, se non avessi avuto Stanley con me, non sarei mai stato in grado di realizzare il mio primo film. Naturalmente, Stanley non era presente fisicamente, ma lo era spiritualmente. Sorvegliando da sopra le mie spalle, mormorandomi consigli all'orecchio, guidandomi attraverso il campo minato nel quale compiere un passo falso avrebbe avuto l'effetto di compromettere la realizzazione del film.

Io giravo a Londra, mentre Stanley era a New York a lavorare alla sceneggiatura di 2001 con Arthur C. Clarke. Dio benedica il telefono. Infatti, non era sempre facile affrontare i problemi e pensare come li avrebbe risolti Stanley, bisognava andare oltre, cioè fargli una telefonata. Alla fine la bolletta del telefono è stata piuttosto salata, ma non ho rimpianto un solo penny dei soldi spesi.

Dovevo ricordarmi quello che c'era scritto nei libri che lui mi aveva fatto leggere. Per esempio Stanislavski Directs, An Actor Prepares e Introduzione alla Psicoanalisi di Freud. Dovevo ricordarmi che: "Se una scena non funziona, assicurati che gli attori conoscano la loro parte; assicurati che abbiano capito completamente la scena. Se dopo tutti questi accorgimenti la scena non funziona ancora, potrebbe anche essere che non è scritta nel modo giusto. Sarebbe meglio riscriverla."

Un altro consiglio era: "Non lasciarti fuorviare dai direttori di produzione e dai direttori esecutivi, i quali pensano solo a rispettare il ruolino di marcia. Ti presseranno per indurti a svolgere i tuoi compiti e preparare i movimenti di camera presentandoti un apposita lista. Se tu accondiscendi e affronti ogni giornata con un idea preconcetta, ti priverai di tutto quello di magico che può avvenire quando, con spirito aperto, riunisci i tuoi attori e con loro prepari la scena. Più di una volta, l'istinto di un attore merita la tua attenzione. Quindi, quando cerchi di fotografare una scena che ti accingi a filmare, lascia la telecamera mettersi al servizio dell'attore (e non il contrario, che è in generale un modo di filmare meccanico, una benedizione per chi sviluppa il piano di produzione e il budget, ma non per il film).

Penso (e quello che dirò lo conferma), che le basi fondamentali del lavoro che ho imparato da Stanley, riguardavano la sceneggiatura e la ripartizione dei ruoli. L'adagio secondo il quale non si può fare una buona maionese con delle uova scadenti, non si è mai dimostrato mai tanto vero come quando si è cercato di trarre da una pessima sceneggiatura un buon film. E' impossibile. Non vi dovete sbagliare. I movimenti di camera originali o le piccole "malizie" cinematografiche non serviranno a niente. La sceneggiatura rimane la base e Stanley fece in modo che io non lo dimenticassi.

Ugualmente mi inculcò che la distribuzione dei ruoli è il fattore più importante per la riuscita nella realizzazione di un film. "La scelta degli attori che farai deciderà della tua vita e della tua morte. Essi possono essere brillanti e dare al tuo film una dimensione che tu non prevedevi nemmeno. Ma allo stesso tempo possono essere incompetenti, irresponsabili, inaffidabili, poco sicuri di loro stessi e recare con loro problemi personali incommensurabili che alla fine creeranno gravi problemi alla riuscita del film. Ricordati, a meno di avere grossi mezzi finanziari che ti permettono di sostituire un attore (il che significa rigirare tutte le scene che lui o lei hanno recitato), tu sei impegnato con lui o lei fino alla fine del film."

Dopo questi consigli, ho riunito per il mio primo film un cast assolutamente perfetto. Avevo Richard Widmark, Sidney Poitier (che aveva appena vinto un oscar con I Gigli del Campo), Martin Balsam, Eric Portman, James MacArthur, Wally Cox e Donald Sutherland in una piccola parte, tutti presenti par farmi sembrare un grande regista. Stanley aveva ragione, "il casting non è importante, è TUTTO."

Quando terminai Stato d'allarme, furono organizzate delle proiezioni a Londra, non solo per la Columbia che aveva finanziato il film, ma anche per i giornalisti che potevano mettere una buona parola per il film. Andò bene. Poi venne Los Angeles, dove i risultati furono altrettanto buoni. Ma da parte mia sapevo che fino a quando non avessi presentato il film a New York a Stanley non avrei avuto la sicurezza della bontà del mio lavoro.

E infine venne il momento. Per la prima volta capii cosa voleva dire rasserenarsi. Stanley disse che secondo lui mi accingevo a diventare un regista di cui sarebbe stato fiero. Adesso, sapevamo che il fatto di lavorare separatamente non sarebbe stato nocivo per nessuno di noi due.

Tutto ciò non significava che avevo intenzione di interrompere il mio legame spirituale con Stanley. Al contrario. Lui mi era vicino durante la realizzazione di tutti i miei film e lo sarebbe stato per tutti i film a venire. Come sempre, le nostre sedie sarebbero state vicinissime sul set e lo avrei sentito mormorare alle mie orecchie quei "Kubrickismi" che mi davano la forza e la confidenza di fare quello che sembra essere il mestiere più difficile del mondo.

Adesso, capirete perché, dopo la sua morte Stanley non mi manca. Come potrebbe essere altrimenti? Come ho già detto, sono quarantacinque anni che mi è vicino e lo sarà fino al giorno della mia morte. E dopo, chi lo sa? Ci ritroveremo forse nello stesso luogo. Forse saremo di nuovo soci. E forse, questa volta, lo resteremo un po' più a lungo.

Je me souviens du temps..., di James B. Harris
Positif, numero 464, Ottobre 1999
Traduzione dal francese per ArchivioKubrick di Rufus McCoy

James B. Harris
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