Ciment: sogno contro sogno
di Luigi Sardiello
Michel Ciment, pensi che Eyes Wide Shut
sia stato davvero finito da Stanley Kubrick?
Sicuramente sì. Ho parlato personalmente con il montatore del film, lo stesso
che aveva lavorato in Full Metal Jacket, e mi ha confermato che,
quando Kubrick mandò il film a New York per la proiezione privata
con Robert Daly, Terry Semel, Nicole Kidman e Tom Cruise, gli disse che
considerava quello il suo final cut. D'altra parte non posso
immaginare, sapendo bene come ha lavorato Kubrick per 45 anni, che mostrasse
agli attori e ai produttori un montaggio che non fosse quello definitivo.
Niente di strano dunque.
Se devo essere preciso una stranezza c'è. Ho trovato anomalo
il fatto che il film mostrato a New York non fosse missato e sincronizzato
in versione definitiva. Di solito la prassi era mostrare il film ai produttori,
completo in ogni sua parte tre settimane prima della prima, quando nulla
si poteva più cambiare. Un motivo plausibile è che avesse
paura della censura e, mostrando il film per tempo ai produtori, questi
avrebbero potuto adottare una strategia nel caso in cui la Release Jury
avesse attribuito al film la X, che significa "vietato ai minori
di 16 anni"!. Kubrick questo non lo voleva assolutamente, perché
avrebbe impedito al film di circolare poi in televisione.
Kubrick però si riservava il diritto di intervenire in
qualsiasi momento, fino alla fine...
Sì, è vero. Se non fosse stato regista, avrebbe
fatto il pittore, proprio per questa sua mania di ritoccare continuamente
le cose. Ma anche questa non era una prassi costante. Per esempio, si
sa che in 2001, dopo aver visto le reazioni del pubblico nella
prima a Washington, tagliò 20 minuti; e che in Shining
ne tagliò altrettanti per la versione europea. Ma Barry
Lyndon durava 3 ore ed è rimasto di 3 ore, e Full Metal
Jacket durava un'ora e 55 minuti e nulla è cambiato. Insomma, è
impossibile sapere se il final cut sarebbe rimasto tale o no,
e per questo film non lo sapremo mai. Ma escludo che qualcun altro abbia messo le mani
al suo posto, dopo di lui, sulla pellicola.
Credi che il senso della morte abbia influito sul prodotto
finale?
Sicuramente Kubrick era esausto e se ne rendeva conto. Quest'ultimo
film è stato uno sforzo enorme: un anno di riprese, un anno di
montaggio, lavorando venti ore al giorno e dormendone quattro a notte.
Era sotto pressione ed è probabile che sia morto anche per questo.
E il mio parere è che, consciamente o inconsciamente, Eyes
Wide Shut sia il suo testamento, molto più di tutti gli altri
film. Ma non tanto per le autocitazioni. Ogni film di Kubrick era ricco
di riferimenti ai precedenti. Per esempio in Arancia Meccanica
c'è una scena in cui Malcolm Mc Dowell è nel drugstore con
due ragazze, vestito come Barry Lyndon. No, questo film ha molto a che
vedere con la vita privata.
Ma ogni film ha a che vedere con la vita privata di un
artista.
Sì. Ma questo film riguarda in maniera viscerale la sua
vita privata, che nel suo caso, significava anche vita professionale.
Per Kubrick erano cucite insieme. Viveva e lavorava nella stessa casa.
Non aveva la vita avventurosa di altri artisti, sentiva fortemente le
angosce e le problematiche di una qualunque coppia borghese del nostro
secolo. E dunque era molto coinvolto nei problemi personali e privati
della coppia del fim. Per dirne una, l'appartamento di West Central Park
a New York, dove vivono Bill e Alice, i protagonisti del film, è
lo stesso, con lo stesso arredamento, dove Kubrick e la seconda moglie
hanno vissuto nel 1965. Hai fatto caso che, se si esclude Full Metal
Jacket, i suoi ultimi quattro film sono riflessioni sui rapporti
umani, in particolare su quelli tra uomo e donna? Per questo penso proprio
che un film come Eyes Wide Shut, e non voglio fare del black humour, sia il film perfetto per finire una carriera e una vita.
Oltre che un film sulla coppia, mi sembra anche un film sul rapporto
tra sogno e realtà.
Il cinema somiglia molto ai sogni, perché in entrambi
le immagini sono più importanti delle parole. Kubrick amava molto
il tema del sogno e amava molto il cinema: in particolare adorava i film
muti, che sono il trionfo dell'immagine. Per cui, ponendo il sogno al
centro del suo film, si è tuffato in un meraviglioso viluppo in
cui non si distingue più alcun tipo di confine. Il principio di
Eyes Wide Shut si basa sul conflitto tra sogno e realtà,
e questa opposizione, nel film come nel libro, è simboleggiata
dall'opposizione tra uomo e donna. Lui vive nella realtà, lei nel
sogno. Ma attenzione, la realtà di lui è come un sogno,
un incubo a tratti, e il sogno di lei è più reale della
realtà. E già qui le cose si complicano. Poi c'è
il cinema, che a sua volta è sogno. E serve a far sognare gli spettatori,
come Kubrick sapeva bene. Dietro tutto questo, dentro tutto questo, c'è
l'eros, vale a dire Freud. Sogno ed eros rappresentano i due nodi centrali
della teoria freudiana, del nostro secolo.
Qual era il rapporto di Kubrick con la psicanalisi,
con la filosofia?
Molto stretto. Freud ha avuto una grande influenza su Kubrick.
Ma direi che tutta la cultura mitteleuropea ne ha avuta. Non a caso Eyes
Wide Shut nasce da un racconto in tedesco, che ha un preciso riferimento
alle origini ebraiche, mitteleuropee, di Kubrick. Chi afferma che fosse
attratto solo dal cinema dice uno sproposito. Era un uomo di grande cultura,
di grandi letture. E' sempre stato affascinato dalla musica, dalla filosofia
e dalla letteratura europea. Da Schnitzler in particolare. Quando era
giovane vide il film di Max Ophuls La Ronde, tratto appunto dallo
scrittore austriaco, e ne rimase affascinato. Il pessimismo e insieme
la lucidità di quella cultura, l'importanza della psicoanalisi,
la visione di un mondo che va distruggendosi, tutto ciò era molto
vicino alle sue corde. E quando si è dedicato a Doppio
Sogno, lo ha fatto con grande rispetto filologico per il racconto. Non è
come Leos Carax che prende Melville (Pierre or The Ambiguities,
il libro da cui è tratto Pola X) e lo butta dalla finestra.
Un'operazione del genere non ha senso. Se uno impiega così tanto
tempo a fare un film tratto da un libro, non può buttare via il
significato originale.
Però il film è ambientato a New York nei giorni
nostri, invece che nella Vienna alla fine dell'Ottocento...
Ma la bellezza del film sta proprio in questo! E' una trasposizione
che crea una sorta di straniamento. Un sogno, appunto. Un "non luogo",
come in Shining forse. E' questo che gran parte della critica
non ha compreso. Ma come fa la critica americana, ma anche quella italiana,
a dire che il film è "irreale", che è così
diverso dal libro, che Kubrick avrebbe dovuto viaggiare di più,
muoversi! Tutto questo è assurdo, un regista non ha bisogno di
viaggiare per conoscere il mondo! Un artista ha la sua personale visione
del mondo. Il problema è che la gente accetta un film di fantasia
da Spielberg o Lucas perché il contesto è chiaramente irreale,
ma quando si parla di sentimenti, di persone, pretende che tutto sia assolutamente
realistico. Ma cosa è realistico? E cosa è fantasia? La
storia migliore che conosco, a questo proposito, riguarda il grande filosofo
marxista, Louis Althusser. Quando uscì Shining, la gente
disse che era una storia incredibile, assolutamente irreale; due mesi
dopo Althusser uccise a coltellate la moglie e fu internato in un manicomio.
Lo raccontai a Kubrick e lui trovò la storia molto interessante.
C'è dunque uno strano dualismo nel film. Tra la compiutezza
formale di quello che si vede e l'irrealtà, la sospensione, di
quello di cui si parla?
E' la stessa storia di tutti i film di Kubrick: la vita ha un
significato, ma bisogna andare oltre. Tutto ciò ha a che fare con
la dualità dell'essere umano, che Kubrick cercava sempre di mostrare.
Ed ha a che fare anche con la sua dualità: lui era un "anarchico
conservatore". E' difficile da capire, ma era veramente entrambe
le cose: anarchico nel senso che detestava l'autorità, era contro
ogni forma di potere. Ma allo stesso tempo non credeva nel progresso degli
esseri umani, non credeva in nessun cambiamento, per lui gli esseri umani
sarebbero rimasti sempre gli stessi. Era spaventato dall'ordine, che tutto
paralizza, ma allo stesso tempo sapeva bene che il disordine è
incontrollabile. E questi due poli sono sempre presenti in ogni suo film.
Quando penso a Stanley Kubrick mi viene sempre in mente una frase di Paul
Valery: "Due pericoli attragono il mondo, l'ordine e il disordine."
FilMaker's Magazine, anno 2 N.9, Ottobre 1999