Cosa voleva Stanley
di Michael Henry
Quando
ha sentito parlare per la prima volta di Eyes Wide Shut?
Ho sentito parlare per la prima volta del progetto nel 1990. Avevo
avuto con Stanley un'amicizia telefonica durata trent'anni, che era
iniziata quando stavo girando Corvo rosso non avrai il mio scalpo.
Il mio problema era rappresentato dal fatto che una parte dei dialoghi
del film era in inglese dell'epoca, quindi la traduzione richiedeva
una cura particolare. John Calley, che all'epoca dirigeva la Warner
Brothers ed era il migliore amico di Stanley, mi disse: "Parlane
a Stanley." Io risposi: "Non lo conosco." Così
egli mi mise in contatto telefonico con lui. Stanley mi aiutò
a trovare le persone di cui avevo bisogno per fare la traduzione e il
doppiaggio. A partire dal quell'episodio avemmo lunghe e numerose conversazioni
telefoniche. Poi, verso il 1990, Stanley mi chiamò a proposito
di un film sul quale aveva iniziato a lavorare e per il quale cercava
degli sceneggiatori. Egli mi chiese i nomi che io reputavo più
adatti allo scopo. Gliene diedi cinque, tra i quali Steve Kloves e Steven
Zaillian, ma lui finì per utilizzare Frederic Raphael, un americano
che viveva in Inghilterra. Nel 1993, quando iniziai Il Socio,
Kubrick mi chiamava regolarmente: voleva sapere come si lavorava con
Tom Cruise. Io insistetti molto in suo favore: "Non si tratta della
solita star hollywoodiana egocentrica, ma di un ragazzo meravigliosamente
curioso e dotato di molto talento." Dopo, andai da Tom e gli parlai
di Kubrick. Ma Stanley era piuttosto riluttante all'idea di avere un
primo contatto per telefono. Voleva piuttosto contattare Tom via fax.
Quindi gli diedi il suo numero di fax. Mi sentivo estremamente coinvolto,
anche se da lontano, principalmente a causa degli sceneggiatori e poi
perché Tom finì per essere scritturato con Nicole [Kidman].
Restammo in contatto durante le riprese: Tom prese l'abitudine di chiamarmi
e di raccontarmi del lavoro con Stanley, come d'altra parte Stanley
mi chiamava per dirmi quanto fosse piacevole lavorare con Tom e Nicole.
A
che punto della lavorazione Stanley le chiese di prendere parte al film?
Quando stavo lavorando a una produzione, andai in Inghilterra sul
set del film. Stanley, Tom, Nicole ed io dovevamo cenare insieme. Il
giorno stesso Stanley mi chiamò: "Ho una piccola crisi da
risolvere. Possiamo rinviare di un giorno la nostra cena? Ho bisogno
di parlarti più tardi in serata. In ogni caso ti chiamo quando
torno a casa questa sera." Mi richiamò quella sera: aveva
un problema di disponibilità con un attore [Harvey Keitel]. Voleva
sapere se mi sarebbe interessato interpretare il suo ruolo. Risposi:
"Sicuramente, ma quanto pensi che durerà il lavoro?" Fu lì
che iniziarono i miei problemi. Egli disse: "Due settimane, promesso."
Risposi: "D'accordo. Quando cominciamo?" "Il mese prossimo."
Più tardi Stanley mi richiamò: "Se ti invio la sceneggiatura
immediatamente, la puoi leggere entro questa sera?" Io avevo previsto
di trascorrere il weekend a Parigi, pensai che l'avrei letta sul treno
e che l'avrei rinviata arrivando all'albergo. La sceneggiatura arrivò
la sera stessa e la trovai estremamente intrigante. Non era per la storia,
ma era quello che si celava tra le righe che mi catturò immediatamente.
Lo chiamai da Parigi e discutemmo della sceneggiatura per due ore. Dissi:
"Non vado pazzo per il mio ruolo, che pure è molto importante
nella storia, ma lo farò." Egli mi indicò una data,
che però rinviò in quanto era in ritardo con la lavorazione.
Finalmente fui convocato e feci le prove dei costumi molto rapidamente.
La prima scena che mi riguardava era una nuova versione di quella con
Harvey Keitel. Egli me la mostrò: Harvey era molto bravo. La
facemmo piuttosto rapidamente. Pensai che tutto quello che si diceva
su Stanley era senza fondamento. Tom e Nicole erano sorpresi. Dissero
che portavo loro fortuna in quanto avevo lavorato solo per tre ore.
Era la scena del ricevimento, il momento durante il quale arrivavano
a casa mia, un piano sequenza girato con la steadicam. Mi sembrava tutto
sommato un tempo ragionevole per quel tipo di ripresa. Poi iniziammo
la scena del bagno. Inizio a pensare al tempo che ci sarebbe voluto
e alla precisione con la quale lavorava Stanley. Per questa scena sarebbe
stata necessaria una settimana. Dopo le riprese ritornai al mio lavoro
per circa sei-sette settimane. Intanto il piano di lavoro veniva costantemente
modificato e io iniziavo a preoccuparmi per il "mio" piano
di lavoro, comunque mi tenevo libero per ogni evenienza. Quando tornai,
le riprese per l'ultima scena che mi riguardava, quella nella sala del
biliardo, richiesero tre settimane. Non finivano mai.
Fino
a che punto Kubrick era fedele alla sceneggiatura?
In gran parte noi rielaboravamo lo script. Era il suo modo di lavorare.
Ad essere onesti la cosa non mi metteva a mio agio. Avevo la sensazione
che noi avessimo bisogno di un vero sceneggiatore. Ero disposto ad improvvisare,
ma scrivere dei dialoghi e recitarli... A volte era facile, come la
scena del bagno, ma la scena del biliardo presentava un altro tipo di
difficoltà. Ho conservato tutti i cambiamenti della sceneggiatura
che mi riguardavano, in quanto può risultare difficile farsi
un idea di tutte le volte che una scena può essere riscritta.
Ogni nuova versione aveva un diverso colore, e quando avevamo finito
i colori ricominciavamo da capo.
In altri termini gli attori contribuivano in maniera determinante
alla sceneggiatura.
Tom, Stanley ed io discutevamo un frammento di scena, poi Stanley
diceva: "Questo non mi sembra giusto, prova così! Cosa ne
diresti di fare in questo modo?" Poi si prendeva lo script e si
facevano le variazioni, così noi avevamo le nostre nuove pagine. Stanley
pretendeva un tipo di teatralità che mi risultava difficile.
Non ero a mio agio con il genere di recitazione che lui auspicava. Cercavo
di ricondurre il tutto a qualcosa che fosse più congeniale a
me e Tom. Anche se allo stesso tempo non intendevo discutere quello
che voleva Stanley: lui era Stanley Kubrick. Era necessario in ogni
caso molto tempo, in quanto Stanley improvvisava sovente e aveva un
gran bisogno di chiarezza: la ragazza dell'orgia, per esempio. Era la
stessa che avevamo visto prima e che avremmo visto in seguito? Passammo
ore a cercare di capire che cosa i personaggi sapevano o non sapevano,
cosa si doveva dire e cosa era sottinteso. Cercai in tutti i modi di
ridurre i miei dialoghi: "Stanley, questo sembra un maestoso effetto
al rallentatore alla fine del film. Non so come recitarlo." E lui
replicava: "Non preoccuparti, sei perfetto!" Era un grande
manipolatore.
Quante
riprese facevate?
Molte. E più ne facevamo più lui operava dei cambiamenti.
Noi giravamo 15-20 riprese e lui diceva: "Non mi piace", indicando
cosa secondo lui non andava. Ci pensava anche di notte. Avevo un telefono
cellulare e lui sovente mi chiamava durante la cena. "Domani proviamo
a fare così." Io avevo l'abitudine di arrivare sul set molto
presto, prima che Stanley arrivasse. Quando arrivava andavamo insieme
in ufficio e lui mi mostrava i risultati del suo lavoro notturno. Mentre
discutevamo una scena, iniziava ad improvvisare. Lui recitava il ruolo
di Tom, io il mio. Metà funzionava e metà non funzionava,
era una metamorfosi costante. Paragonando una scena del film con una
della sceneggiatura originale, potete vedere che mentre la scena è
differente l'intenzione è la stessa.
Può dirci, per esempio nella scena del bagno, in che misura
questo avveniva?
I cambiamenti riguardano le mie reazioni verso Tom, il modo in
cui Tom reagisce vedendo la ragazza e la mia attitudine verso la ragazza.
Originariamente io ero furioso nei confronti della ragazza, ma poi ho
dovuto controllare questa mia furia. Stanley da parte sua lavorò
molto per spiegare il comportamento che avrebbe tenuto un medico in
questa occasione. Non le ha fatto una puntura, né le ha dato
una compressa, ha solo continuato a ripetere "Mandy, Mandy"
numerose volte. Dunque il problema era come gestire la situazione per
fare in modo di trovare una soluzione.
Il dipinto della donna nuda sul muro del bagno suggerisce l'idea
centrale della duplicità.
Stanley aveva un senso dell'immagine straordinario e ha sempre voluto
che il quadro di sua moglie Christiane fosse in questa scena. Lo inquadrava
costantemente.
Quali sono stati i cambiamenti nella scena del biliardo?
Molti cambiamenti nel comportamento degli interpreti. Io inizio
in modo molto riservato, ma lui mi voleva più esagerato. Come
avete notato, passo il tempo a prendere e posare il mio bicchiere. Oppure
chiamo il personaggio di Tom a più riprese con il suo nome: "Bill,
ascolta Bill..." Era molto manierato. Stanley lo voleva così,
ma ebbe molto a lavorare sul mio personaggio per ottenere questo genere
di risultato. Decise anche che io dovevo avere degli eccessi di volgarità,
per esempio quando definisco Nightingale in maniera piuttosto volgare.
Il mio personaggio era molto strano: poteva allo stesso tempo essere
definito un miserabile ed avere una certa autorità.
Victor
Ziegler è l'unico personaggio del film che non deriva dalla novella
di Schnitzler. Kubrick ne ha mai discusso con voi?
No, la cosa si è definita in fase di avanzamento del film.
Non avevo un'idea precisa sull'argomento, ho impostato il lavoro come
voleva Stanley, passo per passo. Non sapevo nemmeno cosa facesse il
personaggio di mestiere. Evidentemente egli vive in un'abitazione estremamente
lussuosa ed appartiene al mondo dell'alta finanza. Ma non abbiamo mai
discusso i dettagli. Non era necessario che io li conoscessi. La sola
cosa che Stanley mi disse fu: "Prendi come esempio il tenente Colombo
e pensa come è divertente vedere Peter Falk quando spiega le
cose. Noi dobbiamo fare in questo modo." L'idea era che la spiegazione
della sala del biliardo doveva essere molto divertente.
Frederic
Raphael dice che il nome di Ziegler proviene dal suo ex-agente californiano.
Everett Ziegler era stato anche il mio agente. Un buon agente.
Io non ho mai ne incontrato ne discusso con Frederic Raphael. Sul set
siamo stati noi, o più precisamente Stanley, che abbiamo modellato
il personaggio. Stanley scrisse la battuta di Ziegler: "Nick in
questo momento è probabilmente a casa a fare l'amore con la signora
Nightingale." Dovetti fargliela provare per capire cosa realmente
voleva che facessi e poterlo così imitare. Così egli si
mise a camminare in lungo e in largo per la sala del biliardo e a giocare
con i bicchieri. Mi sembro molto esagerato, ma era esattamente cosa
voleva che facessi.
Avete
mai discusso del momento durante il quale, durante l'orgia, il personaggio
mascherato sul mezzanino scambia uno sguardo con Tom Cruise? Si trattava
di Victor Ziegler?
Non lo so. Ma penso che in un certo modo Ziegler fosse responsabile
dell'orgia. Egli infatti è il più deciso a convincere
Tom a stare tranquillo: "E' tutto finito. La ragazza non era importante..."
Il personaggio di Tom possiede una sua genuinità, a suo modo
è un po' innamorato della ragazza e pensa che essa possa in un
certo modo salvarlo.
Kubrick
era nervoso all'idea di mettere in scena l'orgia?
Gli fu necessario molto tempo per capire come fare. Infatti ritardava
continuamente l'inizio della scena. Chiamò dei coreografi per
impostare dei balli erotici, lavorando molto duro per trovare una soluzione.
Mi fece vedere i giornalieri un mattino. Non voleva solamente delle
persone che si stessero baciando, si dovette impegnare molto duramente
per concludere.
Nel
libro Eyes Wide Open, Raphael descrive Ziegler come un padre
castratore. Pensava che ci fosse una relazione padre-figlio tra Bill
e lui?
Ne ho solo letto alcuni estratti sul New Yorker. Ziegler
era come una figura paterna. Tratta Bill come un figlio che ha
fatto qualcosa di scorretto, ma allo stesso tempo non vuole essere troppo
duro con lui. Io volevo essere molto duro con Bill, ma Stanley mi trattenne
e disse: "Devi indurlo a fare quello che vuoi tu senza essere troppo
rigido."
Stanley
Kubrick le ha mai parlato del tema centrale del film?
Solo in termini molto generali. L'ossessione sessuale, per esempio.
Non ha mai parlato in profondità del tema. C'era sempre la contrapposizione
tra la morte e l'amore; il corpo del padre giacente mentre la figlia
dice: "Ti amo, ti amo." In un certo modo ciò era già
presente nell'opera di Kubrick. Per me, Eyes Wide Shut e Barry
Lyndon sono le opere più dolci e romantiche di Kubrick. Le
opinioni sono discordanti su questi film, ma quelli ai quali sono piaciuti
sono probabilmente sensibili a una certa dicotomia. Quando uno come
Kubrick fa un film appena romantico, vi è una tensione palpabile
in quanto non si tratta del tipo di film che lui è solito fare.
Ed è vero per Barry Lyndon che è il mio preferito.
Avete parlato di cinema sul set?
Abbiamo parlato di tante cose. Egli parlava di ogni regista vivente,
come potete immaginare, specialmente gli americani. Abbiamo discusso
per delle ore di Kieslovski. A Stanley piaceva come piaceva a me. Abbiamo
avuto anche delle lunghe discussioni sulle pubblicità del Nescafè
che si giravano a Londra in quel periodo: come poche parole potevano
narrare una storia. Rifaceva il montaggio degli spot e me li mandava
a casa su cassetta. Uno dei suoi film preferiti era La Bonne Année
di Claude Lelouch, che è anche uno dei miei. Stanley ne era cosi
impressionato che se ne procurò una copia e la fece vedere a
Tom.
Stanley fece vedere il Decalogo a Frederic Raphael. Fece
lo stesso con gli attori?
No, ma ne parlava molto. Facevamo commenti sull'impeccabile sceneggiatura
del Decalogo. Di come Kieslovski partendo da idee religiose astratte,
le aveva in seguito concretizzate ed aveva chiamato un avvocato per
scrivere la sceneggiatura: un avvocato che Kieslovski aveva incontrato
quando stava girando un documentario sulle purghe comuniste in Polonia.
Stanley notò che gli avvocati dovevano per forza essere dei buoni
sceneggiatori, in quanto, per vincere una causa dovevano argomentare
ed illustrare le loro tesi. Questo rappresentava un eccellente esercizio
di sceneggiatura.
Non
le ha mai inviato dei libri che riguardassero Schnitzler o Vienna?
No, però ad esempio era veramente un fanatico di Hemingway.
Sebbene Hemingway abbia giurato che non avrebbe mai scritto nulla sull'arte
dello scrivere, qualcuno si mise in testa di riunire in un libro tutto
quello che Hemingway aveva detto sull'argomento, Hemingway on Writing.
Stanley mi regalò questo libro e passammo delle ore a discuterne.
Mi diede molte cose, molti libri meravigliosi. Scriveva anche tonnellate
di fax e io adoravo rispondergli. Stanley possedeva una curiosità
insaziabile, si interessava a tutto. Sapeva che pilotavo il mio aereo.
Nonostante l'idea di volare lo terrorizzasse, ne era affascinato e ci
scambiammo numerosi fax sull'argomento.
Le è piaciuto passare tanto tempo sul set di un altro regista?
Preparavo la colazione per Stanley ogni giorno. Lui era molto impressionato
dalla mia cucina, visto che tra l'altro il cibo cucinato dal ristoratore
era pessimo. Stanley era un regista molto abile da un punto di vista
economico. Riusciva a fare un anno e mezzo di lavoro allo stesso prezzo
di cinque o sei mesi. Sul set non lavoravano mai più di sei o
sette persone. E' chiaro che sovente le sue équipe si mettevano
in sciopero, mai lui era abile a risolvere le controversie. Era un grande
uomo d'affari. Ne io ne Tom potevamo sopportare il cibo fornito dal
ristoratore e lui, mandava il suo autista da Harrod's a comperare del
pesce o un pollo che io preparavo; durante la scena del biliardo Stanley
chiese: "Quanto ci vuole prima che il pollo sia cotto? Perché
non facciamo una pausa?" Io guardavo il mio orologio e dicevo:
"Ancora una ripresa e sarà pronto." E mangiavamo nella roulotte
di Tom! Stanley era uno che amava prendere in giro, mentre ti guardava
al di sopra dei suoi occhiali con una luce diabolica nello sguardo.
Mi diceva: "Dovresti fare uno spettacolo sulla cucina, visto che
quando ne parli ti animi e diventi un'altra persona." Mi sono divertito
un mondo.
A
che punto controllava la fotografia e l'illuminazione?
Controllava tutto. Era molto preciso sull'illuminazione e sull'inquadratura.
Illuminava tutto con luci molto dolci e mandava la pellicola allo sviluppo.
Aveva un occhio straordinario per la luce. C'era poca luce nella sala
del biliardo e doveva ricorrere a notevoli accorgimenti tecnici per
risolvere il problema. Per esempio, appese una lampada ad un asta per
illuminare il viso di Tom. Un giorno tornando da colazione disse: "Larry,
qualcuno ha cambiato l'illuminazione?" Il tecnico rispose: "No
Stanley." Allora lui insistette: "Devono averlo fatto per
forza, visto che qui è un po' troppo buio." Quindi andò
verso gli elettricisti e disse: "Verificate i variatori d'intensità,
sono ben piazzati?" Tutti risposero in modo affermativo. Allora
lui disse: "Prendete gli esposimetri e controllate in questa direzione."
Era vero, seppure in maniera impercettibile era più scuro e lui
l'aveva notato. Faceva impazzire gli operatori, li pietrificava. Ma
adorava Liz Ziegler, l'operatrice alla steadicam. Lei era sorprendente:
a volte doveva ricomporre l'inquadratura se io non rispettavo la posizione.
Lei si fermava e ricomponeva tutto a occhio. Stanley era generalmente
d'accordo con le sue opinioni. Aveva fiducia nel suo lavoro, ma anche
per lei, dopo la sesta ripresa, diventava molto faticoso.
Per
quanto tempo giravate?
Molto. A volte filmava le riprese con una telecamera video, poi
ci faceva vedere il lavoro. Metteva la riproduzione in pausa e ci diceva
cosa era bene non fare. Per esempio, una volta io dicevo che Tom mi
aveva messo a posto una spalla e facevo una strana espressione con le
labbra. Stanley disse: "E' formidabile, ma non lo devi fare."
Tutte
le inquadrature era disegnate in precedenza?
No, lui prendeva il più vecchio puntatore che io avessi
mai visto, quello posizionato su una telecamera Mitchell BMC davanti
l'obiettivo. Preparava ogni inquadratura con questo puntatore, ci faceva
muovere all'interno dell'inquadratura e faceva mettere un segnale dove
ci trovavamo. Poi guardava nella telecamera e in seguito le registrazioni.
Aveva trovato un modo di attaccare una piccola telecamera video al monitor,
allo scopo di poter vedere le immagini a colori e non solo in bianco
e nero. Un ragazzo faceva solo questo, azionare questa piccola telecamera.
Questo permetteva a Stanley di concentrarsi sulle temperature e sulle
combinazioni di colore.
Come si regolava per il lavoro della seconda équipe, quella
che lavorava a New York?
Aveva mandato a New York un eccellente assistente scenografa. Liz
Ziegler fece una serie di riprese. Avevano parecchie istruzioni al riguardo.
Tutto era concepito, provato e girato in Inghilterra, poi lui correggeva
e diceva loro cosa fare. Era solo in seguito che si recavano a New York.
Aveva realizzato delle riproduzioni molto dettagliate delle strade di
New York, con dei lampioni della grandezza di uno spillo. Poi le rischiarava
e prendeva foto da tutte le angolature possibili, le sviluppava e le
studiava.
Qualche
volta perdeva la calma?
Sì, ma raramente. Io mi sono arrabbiato una volta e Tom anche.
Lui abbandonò il set ed io quasi lo feci, ma non ne avevamo realmente
l'intenzione. Era solo l'esasperazione. Stanley poteva essere molto
impaziente con i tecnici. Se pensava che qualcuno aveva mosso un microfono,
anche di poco, diceva all'ingegnere del suono: "Non cambi il suono?"
"No, Stanley." "Il suono deve essere lo stesso dell'ultima
ripresa?" "Sì, Stanley." "Allora perché
hai mosso il microfono?" "Perché faceva ombra."
"Allora io cambio l'illuminazione ma tu non cambi nulla. Non voglio
che il suono sia differente quando gira la testa." Era sempre molto
meticoloso. E barava in modo incredibile. Faceva sparire una lampada
o un telefono, anche nella scena della vasca da bagno. Era incredibile.
Io lo guardavo e brontolavo, lui rispondeva che nessuno se ne rendeva
conto. Toglieva delle sedie dall'arredamento dicendo: "Nell'insieme
sono orribili."
Il colore rosso gioca un ruolo subliminale ma cruciale durante tutto
il film. Ne avete per caso discusso insieme?
Lui non ne parlava mai, ma era con tutta evidenza ossessionato
dal colore rosso. Era sposato ad una pittrice ed aveva l'occhio di un
pittore. Era anche un grande fotografo. L'ultimo giorno di riprese,
mi regalò una fotocamera Nikon con una dotazione di accessori
molto costosa ed una pellicola da 1000 ASA. Mi scrisse anche una lunga
lettera, molto personale: "Non utilizzare mai il flash; questa
è la sola pellicola della quale tu avrai bisogno, in qualsiasi
circostanza. Qualsiasi cosa succeda, non utilizzare mai il flash. Ti
puoi spingere fino a due diaframmi di apertura." Amava la sgranatura
che si otteneva con la pellicola da 1000 ASA professionale. Un tempo
io scattavo molte fotografie. Quando Stanley mi regalò la macchina
fotografica, ricominciai utilizzando questa pellicola super-rapida.
Fu la prima volta nella mia vita che vidi una foto nella quale la luce
era più brillante che nella realtà. In genere succedeva il contrario,
ma Stanley amava molto queste tonalità di colore, queste luci
brillantissime.
Dopo avere recitato nel suo film, ha ancora incontrato Kubrick?
No. Ci siamo solo parlati al telefono. Durante la lavorazione di
Destini Incrociati, abbiamo parlato parecchio. Era molto interessato
dal fatto che il film parlasse di tradimento, un tema che lo affascinava.
Parlava molto anche del montaggio di Eyes Wide Shut, di quello
che funzionava e dell'opinione positiva che aveva di Tom e Nicole. Si
complimentava sovente e parlavamo dei possibili soggetti per un film.
Lo avevo interessato parecchio ad un vecchio romanzo di Boileau-Narcejac
che avevo scoperto negli anni sessanta, Morceaux choisis. Parla
di un prigioniero che viene giustiziato. Una sua amica, con l'aiuto
di un chirurgo, gli taglia le varie parti del corpo e le trapiante su
altre persone. In seguito, la donna, uccide tutte le persone che hanno
ricevuto i pezzi del suo amico e lo ricostruisce. Stanley mi chiese
di inviargli il libro, visto che si lamentava della difficoltà
di trovare del buon materiale. Voleva convincermi ad usare dei pessimi
romanzi, in quanto sono il miglior punto di partenza. Pensava che i
buoni scrittori non sono abbastanza concentrati sulla narrazione. E'
vero. Io mi sono scontrato con questo problema per tutta la vita. Amo
lavorare con dei buoni scrittori, ma è difficile trovare delle
buone storie. Uno dei miei maggiori successi, I Tre Giorni del Condor,
proveniva da un romanzo mediocre che però aveva un inizio magnifico.
Discutevamo sovente del mio desiderio di fare un film su Hollywood,
qualcosa di duro, cattivo, un noir reale, qualcosa che scriverebbe Mankiewicz
se fosse ancora in vita. Stanley mi diceva: "Leggi Jackie Collins,
leggi questo romanzo e ne puoi trarre qualcosa di buono. E' molto più
difficile lavorare partendo dalla vera letteratura."
Vi
sono delle voci secondo le quali lei avrebbe contribuito alla versione
finale di Eyes Wide Shut.
Non lo avrei mai toccato, nemmeno con una pertica lunga parecchi
metri. Tom e io abbiamo molto discusso con la produzione e loro hanno
discusso parecchio con noi. Ma era tutto nelle mani del fratello di
Christiane, Jan Harlan, del quale Stanley aveva la massima fiducia.
Stanley approvava le alterazioni digitali nella scena dell'orgia,
fatte allo scopo di evitare l'infamante divieto NC-17 negli Stati Uniti?
Jan Harlan afferma di sì. Se lui fosse stato solo un produttore,
senza alcun legame con la famiglia, non gli crederei. Ma Jan non mentirebbe
mai a questo proposito. So che questo problema creava molti problemi
a Stanley, che non voleva alterare il film. John Calley trascorreva
molto tempo al telefono con lui: "Stanley, prepara una versione
per il visto R e fai uscire la versione NC-17 come una director's cut."
Stanley voleva che il film fosse un successo. Sapeva che il divieto
NC-17 avrebbe precluso la possibilità di proiettare il film in
diverse sale e di ottenere recensioni da numerosi giornali. Non si sarebbe
nemmeno potuto fare pubblicità in televisione. Non lo so, ma
se Jan Harlan dice che Stanley avrebbe approvato, merita di essere creduto.
Qual
è stata la vostra reazione a film finito?
L'ho visto alla prima, ma è stata una visione troppo difficile.
Ho avuto modo di vederlo la settimana successiva a casa, con maggiore
calma. Onestamente non riuscivo ad abituarmi all'idea di recitare, in
quanto non lo faccio molto sovente. Ho avvertito una certa esagerazione,
una certa artificiosità, anche se ero molto cosciente del fatto
che era quello che voleva Stanley. Lui ha guidato l'interpretazione
verso un risultato di quel tipo, con quei gesti teatrali, quelle pause.
In effetti, sono stato male a vedere il mio personaggio muoversi in
quella maniera, pensavo che non fosse credibile.
Vi
sono molteplici livelli di realtà nel film.
Si va dalla commedia, come la scena con i giapponesi e la ragazza,
ad altri istanti con Nicole che sono veri la 100%, alla teatralità
del mio personaggio, che sembra un "deus ex machina".
Il
suo personaggio non le sembra un burattinaio, uno che muove i fili?
In un certo senso penso che lui sia il burattinaio. Ho parlato
a Stanley dopo la prima, e lui era molto contento del film. Era martedì.
E' morto la notte di domenica.
Conversazione
raccolta a Los Angeles il 23 luglio 1999, e tradotta dall'americano
da Christian Viviani.
Positif, numero 463, Settembre 1999
Traduzione dal francese di
Rufus McCoy