In questa intervista rarissima (come Kubrick stesso dice), il regista americano, trapiantato a Londra, in un dialogo serrato e intrigante racconta la storia del suo ultimo lavoro Full Metal Jacket che - come molti critici hanno rilevato - più che un film sulla guerra in Vietnam, è un film sulla guerra tout court, le sue mostruosità, i suoi simboli, i suoi miti. La guerra come "più potente fantasia maschile" (la definizione è del critico del settimanale Der Spiegel) come categoria universale anti-storica, anti-evolutiva, senza orientamento. Da qui affiora un Mister Kubrick distaccato dall'intervistatore e non disposto a "spiegarsi" a spiegarci il messaggio dei suoi film, un Kubrick alla ricerca di "buone storie" in cui per "buono" ci pare di capire, s'intende una dimensione in cui la contrapposizione manichea "uomo-strumento" della propria follia e uomo autonomo, vivente, completo viene descritta con una lucidità impareggiabile.
Signor Kubrick, il suo ultimo film uscito nel 1987 dal titolo Full Metal Jacket è un film pacifista, un film contro la guerra, un film sul Vietnam. Ci sono tanti film sul Vietnam, qual è stata la ragione che l'ha spinta a girare questo film, voleva contestare altre pellicole sul Vietnam?
Tutto ha avuto inizio quando ho letto il romanzo di Gustav Hasford dal titolo The Short-Timers. Hasford era corrispondente di guerra presso i Marines e trovai che si trattava di un romanzo straordinario, insolito. Impiego sempre molti anni prima di trovare una storia che mi induca a credere che se ne possa trarre un film.
Ma lei va alla ricerca di storie con un tema preciso, in questo caso che miravano al Vietnam?
A questo ho rinunciato da tempo, perché sono troppo rare le storie interessanti su questo soggetto. E' evidente che anche il tema Vietnam mi interessa. Ma il mio obiettivo non era cercare una storia specifica sul Vietnam.
Ci è parso, guardando il suo ultimo film, che esso abbia una visione della guerra costituita da due prospettive molto particolari. Da una parte c'è il tentativo di descrivere il fenomeno guerra cercando di arrivare fino alle radici del problema. Nella prima parte del film, infatti, lei descrive il carattere bestiale, meramente bestiale dell'addestramento di una compagnia di Marines. Nella seconda parte lei non ricorre alla descrizione di una guerra ambientata in una giungla "pittorica" con il fascino esotico che essa può esercitare, ma invece descrive la guerra nelle rovine di una città. Sono queste le motivazioni che l'hanno spinta a girare il suo ultimo film?
No. Molto semplicemente ho trovato che Hasford fosse un grande scrittore. E la forza della sua immaginazione e le sue immagini sono più coinvolgenti di quella di altri autori. Il suo senso della realtà è fuori dal comune. I suoi dialoghi sono più immediati. Nel fare film una delle maggiori difficoltà cui si va incontro è trovare delle buone storie. Ciò ha inizio già con il fatto che un romanzo non è una sceneggiatura. Pochissima gente scrive sceneggiature originali. Gli scrittori lo fanno raramente. E ci sono ancor meno registi che possono essere considerati dei buoni scrittori, a parte Woody Allen e Ingmar Bergman. E ci sarebbe Truffaut, se vivesse ancora. Sceneggiature originali buone sono capolavori che si trovano una volta sola nella vita. Per esempio, Citizen Kane. E infatti Orson Welles ha girato un solo Citizen Kane in tutta la sua vita.
Torniamo al suo ultimo film sulla guerra. Nella prima metà del lungometraggio lei descrive cosa accade in un campo di addestramento di Marines dal nome Parris Island. Un sergente istruisce una compagnia di reclute appartenenti alla fanteria di marina, esseri umani che vengono addestrati a diventare macchine da guerra e relegati dalla condizione di meri automi. Forse che lei ha intitolato il suo film Full Metal Jacket proprio per descrivere la paradossalità di simili addestramenti: l'obiettivo di trasformare fin da principio esseri umani in una sorta di munizione da guerra?
E' possibile trasformare esseri umani in armi. Oppure, ricorrendo alle parole del sergente nel mio film: "un'arma è solo un utensile, è il cuore duro che uccide".
Il signor Lee Ermey, che nel suo film è il sergente, è stato veramente un istruttore a Parris lsland presso i Marines. Lei originariamente aveva fatto ricorso a lui come consigliere militare.
Sì, Ermey interpreta se stesso. E' un colpo di fortuna, quasi un miracolo trovare qualcuno che sa recitare così bene e in più non recita che se stesso. Anche queste sono cose che succedono una volta sola nella vita.
Ma quando lui si è visto rappresentato nel film come un malfattore sadico, non ha avuto una cattiva reazione?
Si è piaciuto. Una cosa deve essere ben chiara: se una persona decide di diventare istruttore presso i Marines, non lo farà per motivi umanitari o perché si tratta di una persona particolarmente raffinata o sensibile. Una persona meschina non è certo animata da bonomia né tanto meno da interessi sociologici. Credo d'altra parte che al mondo ci siano pochissimi eserciti che formano le loro truppe diversamente, con particolare sensibilità.
E' una constatazione sicuramente giusta, ma in altri film sull'addestramento militare capita sempre di vedere che l'istruttore in fondo tortura i suoi uomini perché animato da buone intenzioni: mira ad aumentare la possibilità di sopravvivenza delle sue reclute in guerra.
La maggior parte dei film mirano al consenso del pubblico. Si tratta di razionalizzazioni fatte a posteriori dagli addestratori che sostengono di avere angariato le loro reclute per far loro un piacere. Le lacrime che si vedono alla fine di un addestramento negli occhi dell'istruttore come nel film Ufficiale e gentiluomo...
...o anche nel film di Coppola Giardini di Pietra...
...esatto, queste lacrime sono il prodotto del sentimentalismo puro. In ogni caso sono lacrime false. Qualora esse ci fossero veramente, sarebbero del tutto atipiche.
Si dice che il duro addestramento militare avvenga per distruggere la paura della morte. E per distruggere questa è necessario distruggere la personalità.
I giovani che fanno il servizio militare in realtà si credono ancora immortali. Non conoscono la paura della morte. Essa quindi non costituisce minimamente un problema. Di che cosa si tratti effettivamente lo dice il sergente nella parte conclusiva del film: "I soldati del corpo dei Marines muoiono, essi esistono per questo. Ma il corpo dei Marines vivrà per sempre". In questa maniera vende loro un'immortalità a basso prezzo.
L'ironia suggerita dal suo film non sta anche nel fatto che questo addestramento non ha senso e che se ha luogo veramente una guerra, esso non serve a nulla?
Ma ai soldati dà comunque la possibilità di sopravvivere.
Per quanto nel suo ultimo film la maggior parte dei soldati non sopravviva. In una scena si vede un caposquadra con una cartina geografica in mano nel bel mezzo del deserto delle rovine di Hué. Egli è completamente disorientato, ad onta del buon addestramento ricevuto.
Se lei crede di ravvisare in ciò un simbolo, esso potrebbe significare: nel caos non vi è più alcun orientamento.
Alla fine dell'addestramento una recluta particolarmente brutale, addestrata come una macchina da combattimento, uccide il sergente che lo aveva addestrato a sua volta a uccidere. E' una scena che ricorda la rivolta del computer Hal in 2001: Odissea nello Spazio. In ambedue i casi un robot si rivolta contro il suo padrone.
Non ho girato la scena certamente per questa ragione, ma esiste di sicuro un'analogia.
Ha scelto di girare Full Metal Jacket nei dintorni di Londra in prossimità di una fabbrica che produce gas. Perché non si è recato in Estremo Oriente?
In primo luogo per le rovine. L'architettura degli edifici intorno allo stabilimento del gas, era l'architettura "funzionale" degli anni trenta. Era esattamente uguale a quella dei quartieri industriali delle città vietnamite, come a Saigon o a Huè. L'ambientazione si prestava idealmente al soggetto del film. Un'ulteriore ragione era che si trattava di un quartiere cittadino molto esteso e quindi ci è stato dato il permesso di far saltare in aria l'intero complesso perché sarebbe stato comunque distrutto. L'offensiva del Tet è stata una fase della guerra che ha avuto luogo nelle città. Non avrebbe avuto senso dunque recarsi nelle Filippine, per girare il film nella giungla, e oltre a ciò l'architettura delle città filippine è influenzata dallo stile spagnolo. Era difficile per me immaginare che il governo vietnamita mi avrebbe permesso di far saltare in aria una loro città solo per girare un film. Il secondo miracolo fu quindi, dopo Lee Ermey, quello di aver trovato quella città. In ogni caso si tratta delle più belle rovine che mai ho avuto modo di vedere in un film.
Si potrebbero fare due piccole obiezioni. I suoi Marines non sudano perché il film è stato girato a Londra. E anche la luce ha un altro effetto che in Estremo Oriente.
In questo caso, lei si sbaglia. In primo luogo il tempo durante l'offensiva del Tet, che l'autore del libro Hasford e lo sceneggiatore Herr hanno vissuto in prima persona, era freddo e piovoso, il cielo era coperto. Quando abbiamo girato il film siamo arrivati al punto di smettere di girare allorché su Londra iniziava a splendore il sole. In secondo luogo per quanta concerne la luce, lei ha completamente torto. La luce è il prodotto degli angoli di incidenza del sole, che si tratti dell'Asia o dell'Inghilterra non ha importanza. E i colori della luce dipendono solo dalla copia del film. Lei ha queste riserve sul film perché sa che è stato girato a Londra.
I soldati nel suo film non hanno praticamente una vita privata. Lei non parla mai delle loro famiglie, delle loro amiche e tanto meno della loro vita civile.
Nel mio film descrivo le prime otto settimane dell'addestramento e durante questo tempo alle reclute è espressamente vietato di parlare fra di loro.
E durante la guerra...
...in guerra naturalmente possono parlare. Ma del libro di Hasford mi è piaciuto particolarmente il fatto che, diversamente da altri libri di guerra, non vi erano quelle scene scontate in cui i soldati raccontano storie toccanti sui loro genitori e le loro mogli.
Gli unici contatti che hanno luogo fra i soldati e la popolazione vietnamita sono trattative di prezzi con prostitute.
In Vietnam i soldati avevano fondamentalmente contatti solo con lenoni, prostitute e lustrascarpe. D'altra parte, come avrebbero potuto parlare con altre persone? Non capivano la lingua vietnamita e tanto meno i vietnamiti comprendevano l'inglese.
Lei mostra il fenomeno guerra secondo il punto di vista di un corrispondente che lavora per Stars and Stripes. Per lei la guerra del Vietnam significa soprattutto una guerra dei media, la battaglia condotta anche per la regolamentazione del linguaggio.
Sì. Una scena chiave del mio film è quella della conferenza di redazione dei corrispondenti di guerra in cui un ufficiale della stampa impartisce istruzioni ai suoi uomini. Dice che sostanzialmente esistono solo due tipi di storie da raccontare sul Vietnam. La prima è la storia in cui i duri combattenti spendono metà della loro paga per regalare ai vietnamiti spazzolini da denti e deodoranti, e nella seconda sono rappresentate battaglie in cui si uccidono più vietnamiti possibile, per fare un altro passo avanti verso la vittoria.
E oltre a ciò vi sono state censure sul linguaggio dei giornalisti.
La guerra del Vietnam è stata la prima guerra che negli Usa è stata condotta soprattutto come una campagna pubblicitaria. La manipolazione della verità attraverso i mezzi di comunicazione di massa e del governo fu uno degli obiettivi di questa campagna. Ciò ha condotto al fatto che l'opinione pubblica americana ha avuto un'immagine falsa e manipolata durante l'intera guerra. Questa campagna indusse i soldati a mentire di continuo e per tutto il corso della guerra il numero dei nemici uccisi venne esagerato. Venivano celebrate delle vittorie, quando queste vittorie erano impossibili. Ma per ironia della sorte la guerra venne persa anche sul piano dei media perché fin dall'inizio la guerra del Vietnam è stata una guerra di Public Relations, una guerra che anche i PR persero. L'offensiva del Tet fu in realtà una sconfitta per i Vietcong. Subirono grosse perdite e non raggiunsero i loro obiettivi perché la popolazione nelle città non si rivoltò come avrebbero sperato. I Vietcong pensavano che sarebbe bastato recarsi in quei luoghi e ci sarebbero state rivolte. Non successe nulla di tutto ciò. L'offensiva fu così un errore. Ma i Vietcong non avevano preso in considerazione lo shock che aveva subito l'opinione pubblica americana per la perdita subita in termini di capacità di lotta dal suo esercito. Dopo che per anni erano stati bombardati di false ed esagerate notizie di vittorie, gli americani a casa non si aspettavano un'offensiva del nemico. E così si verificò ironicamente che la disfatta dei Vietcong si trasformò in una loro vittoria psicologica. Nel film c'è un punto in cui si dice che il più famoso commentatore televisivo d'America, Walter Cronkite, ha sollecitato il Presidente per via televisiva a trattare finalmente una tregua. Quando il presidente Johnson udì queste parole capì che la guerra in fondo era perduta perché l'opinione pubblica americana non sarebbe stata disposta ad appoggiare ulteriormente la guerra.
Per questa ragione l'ufficiale addetto stampa è un uomo particolarmente attraente, elegante con occhi azzurri e maniere squisite.
Sì, sembra che sia uscito da uno spot pubblicitario, slanciato, attraente e sveglio. Tutto ciò che dice suona bene. Hasford mi ha mostrato uno slogan pubblicato da un giornale di soldati che sembra essere la quintessenza di tutti gli slogan che sono stati detti sulla guerra del Vietnam: "I Marines non amano essere disturbati quando consumano il loro Chow".
Con il suo film Full Metal Jacket intendeva esprimere un sentimento antiamericano?
No, in nessun modo. E' un film sulla tragedia vietnamita. E' chiaro che un film non può dare spiegazioni dettagliate sui motivi che hanno fatto della guerra in Vietnam una tragedia, dicendo perché il nostro impegno era sbagliato e perché noi, passo dopo passo, ci siamo imbrigliati in una matassa inestricabile. Credo che nel frattempo la maggior parte della gente sappia che gli USA fecero un errore quando si lasciarono coinvolgere in questo conflitto.
Lei ha descritto la componente schizofrenica della guerra facendo portare al protagonista del film, il corrispondente di guerra Joker, sul suo elmo la scritta "Nato per uccidere" e contemporaneamente alla sua giacca il simbolo del movimento pacifista. Più che di un dettaglio realistico si tratta di un simbolo, o sbaglio?
Si tratta di un simbolo che indica il dualismo. Il soldato Joker dice infatti al suo superiore che gli chiede che cosa voglia significare quel "bottone", che gli esseri umani sono divisi fra odio e diffidenza da una parte, amicizia e disponibilità dall'altra.
Ma lei crede veramente che un soldato scelto per andare in Vietnam abbia portato addosso un simbolo pacifista?
Durante la guerra del Vietnam si verificò il fatto che le truppe persero progressivamente il senso della disciplina e della morale. Il simbolo pacifista esprime questo fenomeno. E sicuramente in questa fase vi sono stati soldati che hanno portato addosso un simbolo pacifista.
Da più di vent'anni lei vive in Inghilterra. Alla base di questa scelta dell'americano Kubrick c'è una ragione politica?
No.
Ma quando uscì nel 1963 il suo Dr. Stranamore si era ancora nel pieno della guerra fredda, e alcune critiche americane al suo film parlavano di un suo favore agli interessi dei sovietici, girando un film che "indeboliva la capacità di lotta dell'America."
Solo pochi critici hanno scritto cose simili. No, le ragioni per cui vivo in Inghilterra sono diverse. Ci sono in pratica solo tre luoghi al mondo in cui registi di lingua inglese possono veramente lavorare. Qui a Londra, a New York e a Los Angeles. Sul piano delle possibilità tecniche Londra è al secondo posto. Inoltre è la città più gradevole per viverci. Los Angeles è la migliore sul piano tecnico, ma non ci vivrei mai. New York viene dopo.
Cosa la infastidisce di Hollywood, di Los Angeles? Il clima? L'atmosfera?
Los Angeles in fondo non è altro che un'unica grande società cinematografica. Quindi non è mai possibile sottrarsi alla pressione costante della concorrenza, alle chiacchiere continue. Ti domandano sempre: "Allora come va il film? Non ha ancora finito? Sta ancora girando?" Solo per questa ragione preferisco starmene qui a Londra.
Ma le è costata molto la decisione di lasciare l'America?
Non si tratta per nulla di una decisione, ma è semplicemente accaduto. Venni a Londra nel 1962 per girare Lolita. Non avevo molti soldi e qui girare film in confronto all'America costava veramente poco. Più tardi, anche per Il Dr. Stranamore disponevo di pochi soldi, e allora tornai di nuovo qui.
Sua sorella le manda sempre dall'America delle videocassette con registrazione delle partite di football. Prova nostalgia?
No. Quando si girano dei film, la propria casa è là dove questi film vengono girati. Voglio dire che ovunque si fanno sempre le stesse cose. A Monaco di Baviera ho girato Orizzonti di Gloria. Non capivo nemmeno la lingua eppure non mi sono sentito estraneo e tanto meno ho provato nostalgia di casa.
I suoi film trattano di temi completamente diversi. Per quanto essi possano essere diversi l'uno dall'altro, potremmo dire che la guerra verso l'esterno ma anche verso l'interno - vale a dire l'aggressione e come essa si origina - sia il tema centrale del suo lavoro?
Io non vedo così i miei film. L'unica cosa che cerco sono delle buone storie.
Lei è considerato un perfezionista, cioè si è conquistato questa fama. E ciò non vale solo per la sua ricerca ostinata di storie perfette.
Si dice anche che lei sia arrivato a girare determinate scene fino a cento volte.
Questa fama in realtà mi viene attribuita arbitrariamente. La verità è che alcuni attori arrivano impreparati in scena, cioè non conoscono i loro testi, in ogni caso non in modo tale da poterli recitare senza che si noti lo sforzo. Ma quando ci si deve sforzare di pensare al testo, non è possibile recitare. A ciò si aggiunge che molti attori dopo le prove non vanno a casa alla sera ma fanno le ore piccole in giro. Fin dal primo giorno in cui si gira ci si accorge che non si riesce a combinare nulla di buono e si perde un'ora dopo l'altra. E allora si arriva a pensare che forse è meglio iniziare a girare e quindi inizio a girare la stessa scena, essendoci molte cose sbagliate, per molte e molte volte, nella speranza che qua e là ci sia qualcosa che vada per il verso giusto. Alla fine di un giorno simile forse ho girato veramente la stessa scena sessanta volte, per tirarne fuori i ritagli giusti. Però poi succede che l'attore alla sera va a casa, magari rilascia un'intervista e racconta come il signor Kubrick sia un regista fantastico che fa girare una scena fino cento volte. Ma quello che non dice è il perché una scena è stata ripetuta tante volte.
Ma non è una vergogna ripetere tante volte una scena.
Piuttosto una stupidità, sarebbe stupido se l'attore in questione fosse preparato veramente bene.
Ma è vero che lei è capace di aspettare per settimane intere il tramonto giusto?
Assolutamente sciocchezze.
La considerano un misantropo, è vero?
No.
Ma lei nei suoi film non sembra avere un grande concetto dell'uomo, che ha ben poco di buono e tanto meno agisce in maniera consolante, almeno il suo sguardo analitico e spassionato sembra indicarlo.
Joseph Conrad ha detto una volta: "L'uomo, benché sia debole, spesso è anche un pazzo." Penso che sia una osservazione esatta. E se si cerca di dimostrare ciò nei propri film non si è per questo misantropi ma osservatori attenti.
Potremmo dire che la sua visione dell'uomo sia simile a quella di Jonathan Swift?
Piuttosto di Joseph Conrad.
Ma la sua satira ricorda molto quella di Swift.
Non in una misura tanto estrema.
Lei è considerato anche un eremita.
Poiché rilascio molto raramente delle interviste, queste finiscono negli archivi e, per mancanza di nuovo materiale, vengono citate e ripetute di continuo: così si alimentano le leggende più strane, che vengono continuamente riciclate.
Ma certe leggende sono anche lusinghiere e si deve poter pur vivere con esse.
A dire la verità, tutte queste cose non mi provocano molti grattacapi. Ma leggo continuamente, per esempio, che in macchina per paura porto con me un elmetto da football, e che vieto al mio chauffeur di andare più veloce di cinquanta chilometri all'ora. La verità è che non ho uno chauffeur e che guido una Porsche 928 S. Ho anche avuto modo di leggere che ho un tale terrore degli insetti che ho fatto installare nel mio giardino un elicottero contro le zanzare. Naturalmente, pure sciocchezze.
Poi c'è la leggenda di Kubrick controllore onnipotente con mille computers.
Si, questa è la storiella dello scienziato pazzo. Siedo li, circondato da computers e da macchine di ogni tipo e controllo tutta la terra. Dr. Mabuse numero due.
E se a Friburgo, per esempio, durante la proiezione di Arancia Meccanica il sipario si chiude qualche minuto prima che abbiano finito di scorrere i titoli di coda, si dice che lei in piena notte si precipiti al telefono e mobiliti il distributore.
Sarebbe bello. Ma io non vengo informato. La verità è che quando ho iniziato a far controllare le dotazioni tecniche dei cinema e a fare le pulci ai proprietari delle sale, tutto ciò passava per estrema eccentricità. Nel frattempo, questa è ormai diventata la prassi ordinaria. George Lucas, per esempio, ha fondato una società, la quale non fa altro che controllare le attrezzature dei cinema, prima di affidar loro i suoi film. Perché quasi tutti i cinema sono terribilmente decadenti. I proprietari di cinema, di consuetudine, non spendono un centesimo per tenere in ordine le loro attrezzature.
E come può lei controllare i cinema?
Non li controllo assolutamente. Posso solo visionare i dieci principali cinema, far controllare la luminosità dello schermo, verificare se l'obiettivo è nitido e gli altoparlanti in ordine. In molti cinema c'è almeno un altoparlante che crepita, oppure non funziona proprio. Gli spettatori sono sorprendentemente apatici. Conosco un cinema, dove le bobine di un film erano state scambiate e la sequenza era 1, 2, 3, 3, 5, 6. Alla fine si sono lamentati solo sei spettatori: avevano visto la stessa bobina due volte e un'altra non l'avevano vista affatto. Il colmo, avevano visto venti minuti di scene ripetute! Gli spettatori sono incredibilmente disposti ad ogni sopportazione.
Dipende forse dal fatto che tanta gente tuttora pensa che in fondo si tratta solo di cinema? Mentre lei considera il film come una forma d'arte.
C'è un sacco di gente che prende il cinema molto sul serio. Altra gente lo vede come solo una fra le tante possibilità di ripararsi dalla pioggia.
I genitori hanno i loro figli preferiti, che amano per i loro pregi ma anche per i loro difetti. Qual è tra i film girati quello che preferisce?
Sempre quello che ho appena girato.
E qual è il suo film più personale?
Potrei citarne diversi: 2001: Odissea nello Spazio, Arancia Meccanica, Il Dr. Stranamore. Penso che questi siano i miei film migliori, non fosse per il fatto che le loro storie si prestavano meglio a essere girate, che non Barry Lyndon.
E Lolita? Lolita è un film meno riuscito forse perché il tema della ninfetta durante i pruriginosi anni cinquanta in effetti non era realizzabile?
Sì, probabilmente. In più c'è da aggiungere che non era possibile far nulla con il libro di Nabokov che non deludesse. Il libro di Nabokov è scritto così straordinariamente.
...e trae la sua straordinarietà dalla lingua.
Esclusivamente dalla lingua. Se si esclude il lato linguistico, resta certamente ancora una buona storia. Se Lolita fosse stata scritta da uno autore meno bravo forse il film sarebbe stato migliore. Ma Nabokov era uno scrittore così straordinario che non è stato saggio tradurre in film i suoi romanzi.
Esiste quindi il pericolo di una capacità di racconto eccessivamente buona. Lo stesso è valso per Shining?
Nel caso di Shining credo che il film sia molto migliore del romanzo. Stephen King, l'autore, crede naturalmente che il romanzo sia molto meglio del film.
Oltre a una buona storia cosa c'è di importante in un film?
Il montaggio. E' l'unico procedimento in cui il cinema non prende nulla in prestito da altre forme artistiche. Si può dire che scrivere una sceneggiatura sia un appoggiarsi alla letteratura, la prova davanti alla camera sia un "prestito" dal teatro, e girare il film sia un utilizzo dalla fotografia. Ma il montaggio è l'operazione più caratteristica in un film e non vi è in esso alcun riferimento a altre forme artistiche.
Un film allora si decide sul tavolo del montaggio?
Sì. E anche con la prima prova. Credo che la prima prova di una scena sia ugualmente decisiva. Si deve riuscire a rendere qualcosa percettibile, qualcosa che giustifichi il film. Sono molte le cose che vi si concentrano: come è scritta una scena, se gli attori sono bravi e la validità di un'idea che si vuole materializzare attraverso una scena. Se si riesce a mettere insieme qualcosa di decisivo allora girare è una cosa che in confronto è abbastanza facile. La prima prova significa: riscrivere la storia.
Film come Arancia Meccanica contengono elementi che sembrano derivati direttamente dal cinema muto. Lei ritiene il cinema muto più originale del cinema sonoro.
Sì, il cinema muto raccontava le sue storie in maniera completamente diversa dal teatro o dalla letteratura. Per esempio loro disponevano di uno statement semplice che poi si limitavano a tradurre in immagini. E non avevano bisogno di scene "arrotondate" per raccontare qualcosa. Credo che quando si passò al sonoro il film venne inchiodato alle convenzioni determinate dal teatro. Credo che i film dovrebbero essere in grado di raccontare le storie con più economia del teatro. Il teatro realistico riesce a rappresentare grandi attimi con una forza impareggiabilmente grande, ma lo fa in un modo estremamente lento e pesante. I film sonori sono spesso vincolati alla tradizione realistica del teatro. Per questo credo che il cinema oggi debba imparare dal film muto, dalla pubblicità televisiva o dai cartoni animati: cioè che esiste una via per raccontare una storia secondo le esigenze del film, diversa dai mezzi del teatro realistico. Il problema è: chi ci scrive simili storie?
Di tutti i suoi film, Barry Lyndon in America è stato quello che ha avuto meno successo, mentre in Germania ha avuto un grande successo.
Anche in Francia e in Italia.
Perché un film simile, che si potrebbe fraintendere come di stile narrativo tradizionale solo se si chiudessero gli occhi, in America non ha avuto successo?
Non lo so. Ma mi ricordo di un articolo del critico Vincent Canby del New York Times a cui il film era piaciuto, e perciò cercava il perché non avesse avuto successo. E citava la lettera di un proprietario di una sala cinematografica al suo distributore, che diceva: "La prego non mi mandi più dei film in cui il protagonista scrive con una penna d'oca."
Signor Kubrick, la ringraziamo per questa conversazione.
Sind Sie Ein Misanthrop, Mr Kubrick? Gesprach Mit Dem Full Metal Jacket Regisseur, di Hellmuth Karasek
Der Spiegel, 1987
Traduzione in estratti dal tedesco in Riza Scienze, Novembre 1987
Revisione e integrazione parti mancanti di Edwige Spechtenhauser con Piero Fiorili per ArchivioKubrick
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