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Il regista cinematografico come superstar: Stanley Kubrick
di Joseph Gelmis

Un regista è una specie di macchina di idee
e di gusti; un film è una serie di decisioni creative
e tecniche ed è compito del regista prendere
le decisioni giuste il più spesso possibile.

 

Il film più controverso del 1968 è stato 2001: Odissea nello Spazio di Stanley Kubrick. E' nato come un film di fantascienza da sei milioni di dollari ed è arrivato ad essere un film underground da dieci milioni e mezzo. Ha catalizzato l'opinione pubblica e dei critici. La maggior parte dei suoi ammiratori più giovani lo considera un capolavoro profetico. I suoi detrattori ne applaudono gli effetti speciali ma lo trovano confuso e pretenzioso nella storia.

Nonostante la svelta interpretazione data da Kubrick stesso, il finale di 2001 ha confuso qualche spettatore. Le scene finali nello "zoo" o nel paradiso alieno e la metamorfosi dell'astronauta in un bambino delle stelle restano per molti un'esperienza enigmatica, puramente emotiva e non verbale. La comprensione è diventata funzione delle emozioni piuttosto che delle facoltà di ragionamento.

Meno della metà del film contiene dialoghi. La tradizionale struttura drammatica è stata ridefinita. Il processo è diventato più importante della trama. La noia è il messaggio [in originale "Tedium was the message", parafrasi della celebre affermazione di McLuhan "Il medium è il messaggio", NdT]. Il film non racconta un viaggio spaziale, è un viaggio spaziale. "La verità di una cosa sta in come uno la sente, non in come uno la pensa", asserisce Kubrick. Kubrick attribuisce a Max Ophuls alcune delle sue fascinazioni per i fluidi movimenti di camera. La sua opera, con l'unica eccezione dell'ottimistica trasfigurazione di 2001, è permeata di nero scetticismo e fatalismo.

2001 è stato il primo esperimento di Kubrick sulla ridefinizione delle convenzioni di un dramma in tre atti. E' possibile che sia cominciato come qualcosa di completamente differente. Il libro basato sulla sceneggiatura originale di Arthur C. Clarke e Kubrick è infatti descrittivo, verbale, esplicito. Il film, nelle sue fasi iniziali, prevedeva una narrazione fuori campo. E' stata tagliata frammento dopo frammento e poi eliminata completamente, processo grazie al quale 2001 si è evoluto in un'esperienza non verbale.

Per il suo prossimo film, Napoleon, Kubrick dice di considerare il ritorno all'uso di un narratore e forse anche di grafici animati per illustrare e spiegare le tattiche delle battaglie e le campagne militari. L'interesse personale di Kubrick nell'estetica di una campagna ben organizzata deriva direttamente dai suoi giorni da giocatore di scacchi adolescente nel Greenwich Village.

Nato nel luglio del 1928 nel Bronx, Kubrick fu introdotto alla fotografia grazie all'hobby di suo padre, un medico. Si fece una certa reputazione tra i suoi compagni della Taft High School. Più tardi, la sua media voti di sessantotto non gli permise di competere per l'ingresso al college. Così, "per pura pietà", come ricorda, la rivista LOOK lo assunse come fotografo.

L'iniziale formazione di Kubrick nel cinema è stata con due documentari. A venticinque anni realizzò poi il suo primo lungometraggio, Fear and Desire, girato in 35mm per novemila dollari - più altri trentamila perché Kubrick non aveva idea di come si realizza una colonna sonora. Non guadagnò nulla dai sui primi quattro film. Non ha guadagnato un solo penny da Rapina a Mano Armata né da Orizzonti di Gloria, che alcuni degli estimatori della prima ora considerano ancora le sue opere migliori.

L'unico film che rinnega è Spartacus. Afferma che vi lavorò solo come impiegato. Ogni altro film che ha diretto lo rispecchia totalmente, entro i limiti prescritti degli standard esistenti nell'industria del cinema. Vorrebbe che Lolita fosse stato più erotico. L'intervallo di tempo che separa la progettazione e la distribuzione di un suo film ha raggiunto attualmente una media di tre anni. In parte, questo è il risultato del suo desiderio di occuparsi personalmente di ogni aspetto artistico ed economico.

Per concentrare tutto il controllo nelle sue mani, Kubrick produce e dirige i suoi film. Sceglie il soggetto, scrive, fa ricerche, dirige e si occupa del montaggio, e perfino guida la campagna pubblicitaria per i suoi film. Nonostante prenda i finanziamenti dagli studios, è rimasto un indipendente come quando racimolava i soldi da suo padre e dallo zio.

L'intervista che segue è il risultato di una serie di incontri che hanno avuto luogo nel 1968 a New York e a Londra e di una corrispondenza cartacea che è continuata per tutto il 1969. Kubrick vive vicino Londra. La sua terza moglie è Suzanne Christiane Harlan, l'attrice tedesca che appare brevemente nel finale di Orizzonti di Gloria.

FILMOGRAFIA
Day of the Fight (Il Giorno del Combattimento - Documentario: '50)
Flying Padre (Il Prete Volante - Documentario: '51)
Fear and Desire (Paura e Desiderio - '53)
Killer's Kiss (Il Bacio dell'Assasino - '55)
Rapina a Mano Armata ('56)
Orizzonti di Gloria ('57)
Spartacus ('60)
Lolita ('62)
Il Dr. Stranamore ('64)
2001: Odissea nello Spazio ('68)
Napoleon ('70)

Nota: Successivamente a questa intervista, Stanley Kubrick ha realizzato Arancia Meccanica ('72).

 

Per realizzare 2001 ci son voluti tre anni: sei mesi di preparazione, quattro mesi e mezzo di lavoro con gli attori, un anno e mezzo per filmare gli effetti speciali. Quanto tempo della sua vita le prenderà Napoleon?
Molto meno. Ci auguriamo di iniziare la vera e propria produzione per l'inverno del 1969 e le riprese all'esterno (battaglie, riprese in esterno, eccetera) dovrebbero essere finite entro due o tre mesi. Dopodiché, il lavoro in studio dovrebbe durare al massimo tre o quattro mesi.

Dove girerete gli esterni? In luoghi reali?
Non ho ancora preso una decisione definitiva, anche che se ci sono diverse possibilità promettenti. Purtroppo, sono rimasti pochissimi veri campi di battaglia napoleonici dove si possa ancora girare; i terreni sono stati inglobati da insediamenti industriali o dalle città e il patrimonio storico è stato acquisito da qualche ente di sovraintendenza culturale, oppure sono talmente circondati da edifici moderni che ci imbatteremmo in anacronismi di ogni genere, un po' come girare una carica di Ussari con una fabbrica della Fiat sullo sfondo. Al momento attuale, stiamo pensando ai posti migliori per girare e a dove può essere più facile procurarci le truppe per le scene di guerra. Intendiamo usare un massimo di quarantamila soldati di fanteria e diecimila soldati di cavalleria per le grandi battaglie, il che significa che dobbiamo trovare una nazione che sia disposta a noleggiarci le sue armate (potete immaginare l'enorme costo di cinquantamila comparse per un lungo periodo di tempo). Quando avremo trovato il luogo che possa ospitarci, dovremo comunque affrontare altri problemi logistici, per esempio, un campo di battaglia dovrebbe essere contiguo ad un paese o ad una città o a delle caserme dove le truppe che useremo si trovino già acquartierate. Diciamo che lavoreremo con quarantamila soldati: se li carichiamo in quaranta per camion, avremmo bisogno di mille camion per trasportarli tutti. Perciò, oltre a trovare il terreno adatto, questo dovrà essere raggiungibile a piedi dalle caserme.

A parte la produzione russa di Guerra e Pace, dove si dice abbiano usato sessantamila soldati dell'Armata Rossa, c'è mai stato un film dove hanno usato quarantamila soldati di qualche esercito?
Credo di no.

Come pensa di persuadere il governo di un altro paese a fornirle quarantamila soldati?
Si deve essere ottimisti in queste cose. Se il tutto si rivelerà impossibile non avremmo scelta che cercare di farcela con un numero inferiore di uomini, ma solo come ultima soluzione. Non vorrei dover simulare un numero maggiore di soldati con pochi uomini perché le battaglie di Napoleone si svolgevano in campo aperto, un ampio tableu in cui gli schieramenti si muovevano in modo quasi coreografico. Questo aspetto io lo voglio catturare nel film e per farlo è necessario ricreare tutti particolari delle battaglie con precisione millimetrica.

Quanti uomini ha usato nelle scene in trincea di Paths of Glory?
Questa è tutta un'altra faccenda. Abbiamo impiegato circa ottocento uomini tutti poliziotti tedeschi. A quel tempo, i poliziotti tedeschi facevano un periodo di addestramento di tre anni ed erano adatti ai nostri bisogni quanto qualsiasi soldato regolare. Giravamo negli studi Geiselgesteig a Monaco di Baviera e sia il campo di battaglia che il castello erano a trentacinque, quaranta minuti dagli studi.

Se non potete usare i veri teatri di guerra, come riprodurrà la topografia storica nei luoghi scelti per girare?
Ci sono svariati modi per farlo ed è molto importante per la precisione del film, poiché il teatro di guerra costituiva un fattore decisivo per le azioni e l'esito di una battaglia al tempo di Napoleone. Abbiamo studiato accuratamente tutti i campi di battaglia riprodotti nei quadri o nei disegni e ora siamo in grado di riprodurre con buona approssimazione la topografia. Da un punto di vista puramente formale, le guerre napoleoniche sono bellissime, dei giganteschi balletti di morte, e vale la pena fare ogni sforzo per spiegare allo spettatore lo schieramento e il movimento delle forze in campo. E non è poi così difficile come sembra a prima vista.

Cosa intende dire con "spiegare"? Usare un narratore, o delle mappe?
Talvolta si può usare una voce fuori campo, con le mappe e l'animazione e, più importante di tutto, con la ripresa fotografica delle vere e proprie battaglie. Diciamo che vogliamo spiegare che nella battaglia di Austerlitz le forze austro-russe tentarono prima di sbarrare a Napoleone la strada per Vienna e poi estesero la manovra in un doppio accerchiamento, e che poi Napoleone contrattaccò colpendo il centro delle forze austro-russe, tagliandole in due. Bene, non è difficile mostrare tutto questo con la fotografia, le mappe e la narrazione. Credo sia estremamente importante comunicare l'essenza di quelle battaglie allo spettatore, perché esse possiedono un tale splendore estetico che non occorre avere una mente militare per apprezzarlo. Nelle guerre napoleoniche è implicita un'estetica: sono quasi come un bellisimo pezzo musicale, o hanno la purezza di una formula matematica. E' questa loro qualità che voglio riprodurre, come anche la cruda realtà dei combattimenti. C'è una singolare discrepanza fra la bellezza visiva e strutturale delle battaglie della storia (di una storia abbastanza lontana nel passato) e le loro conseguenze sul piano umano. E' un po' come guardare da lontano due aquile reali volteggiare nel cielo: magari stanno sbranando una colomba, ma se sono abbastanza distanti la scena sarà bella lo stesso.

Perché ha deciso di fare un film su Napoleone?
Per rispondere a questa domanda avrei bisogno di tutto lo spazio di questa intervista. Per prima cosa Napoleone esercita un grosso fascino su di me. La sua vita è stata descritta come un poema epico d'azione. La sua vita sessuale era degna di un'opera di Arthur Schnitzler. Era uno di quei rari uomini capaci di modificare la storia e plasmare il corso del proprio tempo e di quello delle generazioni a venire. In un senso molto concreto, il nostro mondo è stato prodotto da Napoleone nello stesso modo in cui la mappa politica e geografica dell'Europa è il risultato della Seconda Guerra Mondiale. E, naturalmente, non sono mai stati realizzati film accurati su di lui. Inoltre, ritengo che tutti i problemi che un film su Napoleone dovrebbe affrontare sono stranamente attuali: le responsabilità e gli abusi del potere, le dinamiche della rivoluzione sociale, il rapporto dell'individuo con lo stato, la guerra, il militarismo, e così via. Insomma non sarebbe solo una polverosa mascherata storica, ma un film sui problemi essenziali del nostro tempo, oltre che di quello in cui visse Napoleone. Ma anche a parte questi aspetti della storia, semplicemente la drammaticità e la forza della vita di Napoleone rappresentano un soggetto straordinario per un film biografico. Anche dimenticando tutto il resto e prendendo solo il rapporto amoroso con Josephine, per esempio, saremmo di fronte ad una delle più grandi ossessioni d'amore di tutti i tempi.

Quanto lungo dev'essere un film biografico, secondo lei?
Naturalmente la storia da filmare è enorme, visto che non stiamo prendendo in considerazione solo un segmento della vita militare o personale di Napoleone, ma cerchiamo di includere tutti i principali eventi della sua vita. Non ho stabilito nessuna regola rigida per la durata del film: credo che se si deve fare un film veramente interessante non ha importanza quanto sia lungo, se si fa attenzione, naturalmente, a non arrivare al punto di far addormentare lo spettatore. Il film più lungo, capace di divertire generazioni di spettatori, è stato Via col Vento, che ci dimostra che se un film è sufficientemente interessante il pubblico starà a guardarlo anche per tre ore e quaranta. Ma ad ogni buon conto il film su Napoleone sarà probabilmente più breve.

Che ricerche ha condotto fino ad ora?
Il primo passo è stato quello di leggere tutto quello che avevo sottomano su Napoleone e di immergermi totalmente nella sua vita. Credo di aver divorato parecchie centinaia di libri sull'argomento, dalle cronache contemporanee fino alle biografie moderne. Ho saccheggiato tutti questi libri per ricavarne materiale utile, che ho suddiviso per varie categorie su ogni aspetto possibile della sua vita, dai suoi gusti culinari, alle condizioni atmosferiche del giorno di una certa battaglia, e mi sono creato un esaustivo indice tematico pieno di note di richiamo. Oltre alle letture personali, mi sono messo d'accordo per avere la consulenza del professor Felix Markham, cattedra di storia a Oxford, che ha passato gli ultimi trentacinque anni della sua vita a studiare Napoleone ed è considerato uno degli esperti mondiali più all'avanguardia sull'argomento. Il professor Markham è disponibile a rispondere a tutti i quesiti che mi vengano dalle letture fatte o da altro. Siamo anche in fase di creazione dei prototipi dei veicoli, delle armi e dei costumi dell'epoca, che poi saranno riprodotti in grande quantità. Li abbiamo copiati dai quadri e dalle descrizioni scritte dell'epoca e sono curati in ogni dettaglio. Ci sono già venti persone che lavorano a tempo pieno alle fasi preparatorie dei film.

Quali film su Napoleone è andato o rivedere?
Ho cercato di vedere tutti i film che sono stati fatti sull'argomento e devo dire che non mi hanno impressionato più di tanto. Di recente ho visto il film di Abel Gance, che nel corso degli anni s'è acquistato una certa reputazione fra i cinefili, e l'ho trovato veramente tremendo. Tecnicamente era all'avanguardia per i tempi e introdusse nuove tecniche filmiche piene d'inventiva, e difatti Eizenstein ammise che fu Gance a stimolargli per primo l'interesse per il montaggio. Ma per quel che riguarda il trattamento della storia e dei personaggi è un film molto rozzo.

E che ne pensa dei film russo Guerra e Pace?
Era un gradino sopra gli altri e possedeva alcune buone scene, ma non posso dire che mi abbia impressionato enormemente. C'è una scena che m'è piaciuta molto, quando lo Zar entra nella sala da ballo e tutti gli vanno dietro per vedere cosa fa e poi si tolgono rapidamente dai piedi quando ricompare fuori. Mi sembrava che questa scena riuscisse a catturare la realtà di una situazione del genere. Naturalmente, l'idea che Tolstoj ha di Napoleone è così lontana dalla realtà storica che davvero non posso biasimare il regista per il modo in cui l'ha ritratto. Era un film deludente, doppiamente deludente perché aveva tutte le carte in regola per essere altrimenti.

Riesce ad immaginarsi di girare un film con un solo cameraman, un fonico e mezza dozzina di persone?
Sì, certamente. In realtà, ogni storia che si svolge nei nostri tempi viene meglio se realizzata in questo modo. L'unica situazione in cui si ha bisogno di grandi quantità di denaro e di una troupe enorme è quando sono richiesti complessi effetti speciali, come in 2001, oppure grandi scene di battaglia o scene affollate, come nel film su Napoleone. Ma se si ha a che fare con una storia ambientata ai giorni nostri, allora la si può fare con un budget limitato e una troupe leggera.

Nel suo caso, Lolita era ambientato in America, ma lei l'ha girato in Inghilterra, in un teatro per le riprese. Non si poteva girare anche quel film in esterni, con giusto una manciata di persone?
Sì, certamente si sarebbe potuto girare in esterni, anche se ci sarebbe stato bisogno di più di una manciata di persone.

Farebbe così, se realizzasse quel film adesso?
L'avrei fatto allora, se il denaro per fare il film fosse stato disponibile in America. Ma è venuto fuori che i soli fondi che sono riuscito a ottenere per Lolita dovevano essere utilizzati in Inghilterra. Negli ultimi anni c'è stata una tale rivoluzione nel modo di considerare il sesso a Hollywood che oggi è facile dimenticare che, quando ho iniziato a interessarmi a Lolita, un sacco di gente pensava che quel film non si doveva fare, o che almeno non si doveva mostrare. Poi è andata a finire che non abbiamo avuto problemi, però c'è stata un bel po' di paura. E, filmando in Inghilterra, non avevamo altra scelta che affidarci alle riprese in studio.

Naturalmente Napoleon non potrà essere girato con una troupe ristretta e con una certa adattabilità negli esterni. Ma in un prevedibile futuro lei immagina di svincolarsi della struttura dello studio di posa per lavorare nuovamente in condizioni semplici?
Sì, se troverò una storia attuale che possa essere realizzata in questo modo e che mi piaccia abbastanza da indurmi a realizzarla. Certamente mi divertirei a girare principalmente in esterni. Se si possiede la storia giusta, è uno spreco di tempo e di energie ricreare in studio le condizioni disponibili all'esterno. Se si fanno i giusti preparativi, girare in esterni non è assolutamente difficile. La ripresa del suono, che una volta costituiva un problema, ora non lo è più, poiché con i microfoni con la protezione si ottiene un ottimo rapporto voce rumore. E in ogni caso il rumore di sottofondo aggiunge verosimiglianza alla scena. E' solo quando si fa un film d'epoca che si hanno difficoltà: per Napoleon, ad esempio, ci mancherebbe solo che un jet volasse nel bel mezzo della battaglia di Jena.

Il suo ultimo film parlava del XXI secolo; il prossimo del XIX. Ritiene che il fatto che le storie contemporanee o i temi della vita di questo secolo non la interessano abbia qualche significato?
Non è questione di interesse o di mancanza d'interesse, ma dello scopo fondamentale del film, che ritengo debba illuminare lo spettatore, mostrargli qualcosa che non può vedere altrimenti. Talvolta penso che questo si possa ottenere meglio stando lontani dall'ambiente che ci circonda più da vicino. Ciò è particolarmente vero quando si affronta un'esperienza principalmente visiva e si racconta una storia con gli occhi. La realtà non si trova solo nel proprio cortile, e infatti quello è spesso l'ultimo posto in cui trovarla. Un altro vantaggio che si ha nel trattare temi del futuro o del passato storico è che non si è accecati dalle idee che vi permette di esprimere, in un certo senso vi toglie i paraocchi dell'ambiente circostante e vi dona una prospettiva più profonda e oggettiva.

Nel suo ultimo film autenticamente contemporaneo, Lolita, i suoi sforzi di fare un film pieno di erotismo come nel romanzo sono rimasti frustrati; inoltre alcuni hanno obiettato che la ragazza era troppo vecchia per la parte della ninfetta.
A dire il vero aveva l'età giusta. Lolita ha dodici anni e mezzo nel romanzo; Sue Lyon ne aveva tredici. Credo che alcuni si fossero fatti l'idea di una bambina di nove anni. Per una caratteristica dei film, tuttavia, mi sento responsabile: a causa di tutte le pressioni esercitate a quel tempo sull'ufficio americano di censura, il Production Code Administration Office, e sulla Catholic Legion of Decency [lega cattolica per la salvaguardia della morale], credo di non aver dato pieno impatto drammatico al lato erotico della relazione di Humbert Humbert con Lolita. Poiché le ossessioni sessuali di Humbert erano nel film appena accennate, molti spettatori hanno tratto la frettolosa conclusione che Humbert fosse soltanto innamorato di Lolita. Mentre nel romanzo questo si scopre solo alla fine, quando lei non è più una nin¬fetta ma una casalinga di periferia, trasandata e incinta: è questo incontro, in cui Humbert si rende conto improvvisamente di amare Lolita, a costituire uno dei momenti più intensi della storia. Se potessi rifare il film, evidenzierei la componente erotica della loro relazione con lo stessa forza che Nabokov ha messo nel romanzo. Questo però è l'unico difetto principale per cui ritengo il film possa essere giustamente criticato.

A che punto ha deciso di strutturare il film in modo che sia Humbert a raccontare la vicenda all'uomo a cui sta per sparare?
Fin dall'inizio; ho discusso questo modo di affrontare il testo con Nabokov e a lui è piaciuto. Uno dei problemi fondamentali del libro e anche della versione modificata per il film è che l'interesse principale della narrazione si riduce a una domanda: "Riuscirà Humbert a portarsi a letto Lolita?" Nella seconda parte dei libro, appunto dopo che Humbert si è portato a letto Lolita, si scopre che, nonostante la scrittura brillante, l'interesse per la storia vien scemando. Nel film volevamo evitare questo problema e Nabokov ed io abbiamo convenuto che all'inizio Humbert dovesse sparare a Quilty senza dare spiegazioni, in modo che per tutto il resto dei film il pubblico si chieda che cosa Quilty stesse mai tramando. Ovviamente, iniziare con l'uccisione di Quilty significa sacrificare un gran finale, ma credo che sia servito ad un buon fine.

A partire da Lolita, lei ha realizzato tutti i suoi film all'estero. Perché?
Non è che il frutto delle circostanze. Come ho spiegato poc'anzi, è stato necessario realizzare Lolita in Inghilterra per ragioni finanziarie e per evitare problemi con la censura. Nel caso del Dr. Stranamore, Peter Sellers stava perfezionando le pratiche per il suo divorzio e non poteva lasciare l'Inghilterra per un lungo periodo di tempo, perciò è stato necessario filmarlo lì. Quando ho deciso di realizzare 2001, mi ero talmente abituato a lavorare in Inghilterra che sarebbe stato insensato rompere i legami e trasferire tutto in America. Per Napoleon faremo moltissime riprese sul continente e Londra è una comoda base operativa.

C'è qualche vantaggio specifico nel lavorare a Londra?
Dopo Hollywood, Londra è il luogo migliore per girare un film, merito delle competenze tecniche e delle strutture di altissimo livello che si trovano in Inghilterra. E questo non è un falso complimento.

Ha qualche riluttanza a lavorare a Hollywood dove i capi degli studi hanno il controllo finale di quel che fa il regista?
No, perché sono nella felice posizione di poter fare un film senza quel genere di controllo. Dieci anni fa sarebbe stata tutta un'altra storia, naturalmente.

Dunque non si considera un esule?
Per nulla.

Perché no? Lei ha vissuto in Inghilterra per sette anni e lì ha realizzato tre film, perfino quelli ambientati in America.
Sì, ma non c'è nulla di definitivo nel fatto che io lavori e viva in Inghilterra. Le circostanze hanno fatto sì che finora sia rimasto lì, ma è possibilissimo che in futuro io faccia un film in America. In ogni caso, viaggio da un continente all'altro parecchie volte all'anno.

Ha sempre viaggiato per nove. Lei ha il brevetto di pilota ma non vuole più volare. Perché?
Per codardia illuminata, se la vogliamo chiamare così. E' successo che nel corso degli anni ho scoperto che volare non mi piaceva per nulla e mi sono anche reso conto dei bassi margini di sicurezza che offre l'aviazione commerciale e che la pubblicità delle varie linee aeree non menziona mai. Perciò ho deciso che semmai avrei viaggiato per mare e affrontato i rischi degli iceberg.

Nella sua professione, il fatto di non volare non costituisce un problema?
Sarebbe un problema se dovessi saltabeccare tutto il tempo da un luogo all'altro, come fa molta gente. Ma quando lavoro su un film sono ancorato ad una specifica area geografica per lunghi periodi e viaggio molto poco. Quando viaggio, trovo che la nave e il treno vadano meglio e siano più rilassanti.

Dr. Stranamore era un film basato soprattutto sulla parola, mentre 2001 è sembrato essere del tutto diverso dai film che lei aveva girato prima.
Mi pare di sì. Dr. Stranamore è un film che deve buona parte della sua forza d'impatto ai dialoghi, ai modi espressivi e agli eufemismi adottati. Il risultato è che il film va in gran parte perduto nelle versioni straniere, con i sottotitoli o doppiate. 2001, invece, è sostanzialmente un'esperienza visiva e non verbale. Evita di tradurre in parole i concetti dell'intelletto e giunge all'inconscio dello spettatore in un modo essenzialmente poetico e filosofico. Il film diventa così un'esperienza soggettiva che colpisce gli strati profondi della coscienza, come fa la musica, o la pittura. Infatti, il cinema opera su un piano più affine a quello della musica e della pittura che a quello della parola scritta e i film offrono l'opportunità di presentare concetti e astrazioni complessi senza fare il solito affidamento alla parola. Credo che 2001 riesca, come la musica, a mettere in cortocircuito i rigidi e superficiali blocchi culturali, che incatenano la coscienza a zone dell'esperienza troppo limitate, e ad aprirsi un varco direttamente nell'ambito della comprensione emotiva. In due ore e quaranta minuti di film ci sono solo quaranta minuti di dialogo. Credo che una delle cose che il film riesce a fare è stimolare la riflessione sul destino dell'uomo e sul suo ruolo nell'universo anche nelle coscienze di persone che nel corso della loro vita non avrebbero mai preso in considerazione questi problemi. Anche qui c'è un parallelo con la musica: un camionista dell'Alabama, che su qualsiasi altra cosa avrebbe un punto di vista estremamente limitato, è capace di ascoltare, apprezzare e capire un disco dei Beatles allo stesso modo di un intellettuale di Cambridge, perché il loro inconscio è molto più simile di quanto non siano le loro intelligenze. Ciò che li lega è una reazione emotiva inconscia e credo che un film che riesca a comunicare a questo livello possa avere un impatto a più ampio raggio di qualsiasi forma di comunicazione verbale. Il problema con i film è che fin dall'avvento del sonoro l'industria cinematografica è stata storicamente conservatrice e orientata verso il linguaggio verbale. Il modello di base è sempre stato il dramma in tre atti. Troppe persone con più di trent'anni sono ancora legate più alla parola che all'immagine. Per esempio, in una scena di 2001 al dottor Floyd qualcuno chiede dove sia diretto ed egli risponde "Verso Ciavius". Si tratta di un cratere lunare. Poi ci sono più di quindici fotogrammi in cui si vede l'astronave di Floyd avvicinarsi alla Luna e infine sbarcare sul pianeta. Un critico disse di essere perplesso perché credeva che la destinazione di Floyd fosse un pianeta di nome Clavius. I giovani, invece, che sono più legati all'immagine a causa del nuovo ambiente televisivo in cui vivono, non hanno avuto quel problema: tutti i ragazzini sapevano che Floyd era andato sulla Luna. Se gli si chiedeva come facevano a saperlo, ti rispondevano: "Perché l'abbiamo visto". Dunque c'è il problema che alcune persone ascoltano e basta, non fanno assolutamente attenzione con i loro occhi. Ma il cinema non è il teatro e finché non avremo imparato questa lezione elementare ho paura che resteremo incatenati al passato, lasciandoci sfuggire alcune delle più grandi potenzialità dei mezzo filmico.

Lei ha mirato deliberatamente all'ambiguità piuttosto che alla chiarezza dei significato delle scene o delle immagini?
No, non ho dovuto cercare a tutti i costi l'ambiguità, era l'ambiguità ad essere inevitabile. Credo che in un film come 2001, dove ogni spettatore pone le sue emozioni e le sue sensazioni in rapporto con la materia narrata, un certo grado di ambiguità sia prezioso, perché gli permette di completare da sé l'esperienza visiva. In ogni caso, quando si ha a che fare con un ambito non verbale, l'ambiguità è inevitabile. Ma si tratta dell'ambiguità di ogni arte, di un bel brano musicale o di un dipinto: non c'è certo bisogno che il compositore o il pittore "spieghino" le loro opere con delle istruzioni scritte. "Spiegarle"' non farebbe altro che fornire un superficiale valore "culturale" che non ha alcun significato tranne che per i critici e gli insegnanti che devono guadagnarsi da vivere. Le reazioni all'arte sono sempre diverse perché sono sempre profondamente personali.

Le scene finali dei film sono sembrate più metaforiche che realistiche. Vuole discuterne, oppure crede che farlo vorrebbe dire fornire quelle "indicazioni di percorso" che lei evita di dure?
No, non mi spiace discuterne al livello più basso, cioè a livello di una esposizione semplice e lineare della trama. Si inizia con un oggetto lasciato sulla Terra quattro milioni di anni fa da alcuni esploratori extraterrestri, che a quel tempo notarono il comportamento delle scimmie antropomorfe e decisero di influenzare il corso della loro evoluzione. Poi c'è un secondo oggetto sepolto nella superficie lunare e programmato per dare l'avviso dei primi incerti passi dell'uomo nell'universo, una specie di allarme cosmico. Infine, c'è un terzo oggetto messo in orbita attorno a Giove, in attesa dei momento in cui l'uomo raggiungerà i confini esterni dei suo sistema solare. Quando infine l'astronauta sopravvissuto, Bowman, raggiunge Giove, l'oggetto lo inghiotte in un campo di forze o in un varco stellare che lo precipita in un viaggio nello spazio interiore ed esterno e infine lo trasporta in un altra parte della galassia, dove viene sistemato in uno zoo umano, che somiglia approssimativamente ad un ambiente d'ospedale terrestre, ricavato a partire dai sogni e dai pensieri dello stesso astronauta. In una condizione senza tempo la sua vita passa dalla maturità alla senescenza fino alla morte. Egli rinasce come essere superiore, un bambino astrale, un angelo, un superuomo, se vogliamo, e ritorna verso la Terra pronto per il successivo balzo in avanti nello sviluppo evolutivo dell'uomo. Questo è quanto accade al livello più elementare dei film. Dal momento che l'incontro con l'intelligenza interstellare avanzata sarebbe incomprensibile all'interno dell'attuale sistema di riferimento terrestre, le reazioni ad un tale incontro conterrebbero elementi filosofici e metafisici che non hanno niente a che fare con la trama nuda e cruda.

Quali sono questi elementi?
Sono aspetti che preferisco non discutere, perché sono estremamente soggettivi e variano da spettatore a spettatore. In questo senso il film diventa qualsiasi cosa lo spettatore vi veda dentro. Se il film riesce a suscitare le emozioni e a penetrare nell'inconscio dello spettatore, se stimola, per quanto confusamente, le sue aspirazioni e i suoi impulsi mitici e religiosi, allora è riuscito nel suo intento.

Perché 2001 appare un film tanto ottimista e religioso? Che è successo al duro, disilluso e cinico regista di Rapina a Mano Armata, Spartacus, Orizzonti di Gloria e Lolita, all'umorista cupo e sardonico di Dr. Stranamore?
Il concetto di Dio sta al cuore di 2001. E' inevitabile che sia così, una volta che si crede che l'universo pullula di forme superiori di vita intelligente. Pensiamoci su un momento: ci sono cento miliardi di stelle nella galassia e cento miliardi di galassie nell'universo visibile; ogni stella è un sole, proprio come il nostro, probabilmente circondato da pianeti. L'evoluzione della vita, è opinione generale, diventa un'inevitabile conseguenza in una data quantità di tempo e su un pianeta con un’orbita stabile, né troppo caldo né troppo freddo. Prima giunge l'evoluzione chimica, una riorganizzazione della materia di base, poi quella biologica. Pensiamo al tipo di vita che può essersi sviluppato nel corso dei millenni su quei pianeti e anche ai passi da gigante, relativamente parlando, che l'uomo ha fatto sulla Terra nei seimila anni della sua civiltà, quella di cui abbiamo testimonianza, un lasso di tempo che è più piccolo di un granello di sabbia nella clessidra dell'universo. Al tempo in cui i lontani progenitori dell'evoluzione umana stavano appena uscendo dal brodo primordiale, da qualche parte dell'universo devono esserci state civiltà che mandavano le loro astronavi a esplorare le zone più lontane dei cosmo per catturare tutti i segreti della natura. Queste intelligenze cosmiche, avendo sviluppato la propria conoscenza nel corso dei millenni, devono essere tanto lontane dall'uomo quanto noi lo siamo dalle formiche. Potrebbero stare fra loro in costante contatto telepatico, da una parte all'altra dell'universo, e potrebbero aver ottenuto il dominio assoluto della materia per riuscire così a spostarsi con la telecinesi su distanze di miliardi di anni luce; nel loro massimo sviluppo potrebbero essersi totalmente sbarazzati di ogni involucro corporeo ed esistere in ogni luogo dell'universo sotto forma di coscienze immateriali e immortali. Quando si inizia a discutere di queste possibilità, ci si rende conto che le implicazioni religiose dei discorso sono inevitabili, perché gli attributi fondamentali di tali intelligenze extraterrestri sono gli stessi che noi assegniamo a Dio. Quello con cui abbiamo a che fare qui, infatti, è la definizione scientifica di Dio. Se mai questi esseri fatti di pura intelligenza intervenissero nelle faccende umane, noi potremmo comprenderli solo nei termini di una divinità o di un portento magico, tanto i loro poteri sarebbero lontani dalla nostra possibilità di comprensione razionale. Una formica senziente come considererebbe il piede che distrugge il suo formicaio? Come l'azione di un altro essere a lei superiore nella scala evolutiva? Oppure come l'intervento terribile di una divinità?

2001 parla del primo contatto degli uomini con una civiltà extraterrestre, ma noi non vediamo mai un vero e proprio alieno, anche se attraverso i monoliti lei ha comunicato il contatto con gli extraterrestri.
Fin dall'inizio del lavoro sul film abbiamo discusso sui metodi per produrre l'immagine fotografica di una creatura extraterrestre che potesse essere sbalorditiva quanto lo sarebbe stata quella stessa creatura. E' stato presto chiaro che non ci si poteva immaginare l'inimmaginabile: tutto quel che si può fare è cercare di rappresentare l'inimmaginabile in una forma artistica che trasmetta qualcuna delle sue caratteristiche. Ecco perché abbiamo deciso per il monolito nero, che in sé è ovviamente una specie di archetipo junghiano e anche un esempio carino di "arte minimale".

Nella fantascienza la vita aliena viene sempre mostrata come una creatura delle tenebre, come un mostro di gomma. Questo non è un problema?
Sì, e questo è il motivo per cui ci siamo tenuti alla larga dalla rappresentazione di entità biologiche oltre al fatto che degli esseri veramente progrediti probabilmente si saranno liberati della crisalide della forma biologica nel corso della loro evoluzione. E' impossibile concepire un'entità biologica che non somigli o a qualcosa di troppo umanoide o al tradizionale mostro dagli occhi di insetto della fantascienza popolare.

I costumi delle scimmie antropomorfe erano molto impressionanti.
Abbiamo impiegato un anno intero a cercare di capire come le teste delle scimmie potessero apparire convincenti e non solo nei termini di un convenzionale lavoro di trucco. Infine abbiamo costruito, usando un materiale plastico leggero e flessibile, l'intera struttura del cranio, su cui abbiamo fissato l'equivalente meccanico dei muscoli facciali che ritraevano le labbra in un modo dei tutto naturale ogni volta che si apriva la bocca. Anche la bocca ci ha dato un bel po' da fare: aveva denti e lingua artificiali, che gli attori dovevano muovere per mezzo di piccoli cavicchi, in modo da sollevare le labbra e digrignare realisticamente. Alcune maschere avevano all'interno dei meccanismi con cui si potevano muovere i muscoli artificiali delle guance e sotto gli occhi. Tutti gli attori usati per impersonare le scimmie erano uomini (a parte i due piccoli di scimpanzè), e la maggior parte danzatori o mimi. Questo li ha aiutati a muoversi meglio della maggior parte delle scimmie degli altri film.

La bambina a cui Floyd telefono dal satellite orbitale è una delle sue figlie?
Sì, è la mia figlia più piccola, Vivian. Allora aveva sei anni. Non abbiamo messo il suo nome sul cartellone pubblicitario dei film, spero non vorrà far discussioni con me quando sarà più grande.

Perché Martin Balsam, che ha prestato la suo voce a HAL, il computer, è stato doppiato dall'attore canadese Douglas Rain?
Beh, avevamo qualche problema a decidere esattamente che voce HAL dovesse avere e Marty aveva un timbro troppo americano colloquiale, mentre Rain aveva un leggero accento della zona dei New Jersey New York, che ci sembrava giusto per la parte.

Alcuni critici hanno trovato che la voce suadente di HAL avesse il tono di un omosessuale. Era una cosa prevista?
No. Credo che per qualcuno vedere questo tipo di cose dappertutto sia diventato una specie di gioco di società. HAL è solo un computer e basta.

Perché il computer è più emotivo degli umani?
Questo è un punto che sembra aver affascinato alcuni fra i critici avversi al film, che hanno ritenuto l'interesse maggiore per il computer che per gli uomini un aspetto negativo di questa parte dei film. Naturalmente è vero che il computer è il personaggio centrale di questa parte della storia. Se HAL fosse stato un essere umano sarebbe stato chiaro a tutti che aveva la parte più importante ed era il personaggio più interessante: è il computer che prende tutte le decisioni e tutti i problemi dipendono da lui e da lui sono causati. Qualche critico pare aver capito che, siccome siamo riusciti a far sì che una voce, una telecamera e una lucetta sembrino vive quanto un vero e proprio personaggio, questo voleva dire che i personaggi degli astronauti dovevano per forza essere mal riusciti dal punto di vista drammatico. Io credo invece che Keir Dullea e Gary lockwood, gli astronauti, reagiscano realisticamente e nel modo appropriato alle circostanze in cui si trovano. Una delle cose che volevamo comunicare in questa parte dei film è la realtà di un mondo popolato, come lo sarà il nostro, da entità meccaniche dotate di un intelligenza pari o addirittura superiore a quella dell'uomo e che possiedono una personalità con le stesse potenzialità emotive degli esseri umani. Volevamo che la gente pensasse a che cosa può voler dire condividere il mondo con creature dei genere. Nel caso specifico di HAL, il computer è vittima di una forte crisi emotiva perché non riesce ad accettare l'evidenza della sua fallibilità. L'idea di un computer nevrotico non è inusuale: gli studiosi più avanzati di computeristica ritengono che, una volta ottenuto un computer più intelligente dell'uomo e capace di trarre apprendimento dall'esperienza, sia inevitabile che esso sviluppi una gamma equivalente di reazioni emotive, come la paura, l'odio, l'invidia, ecc. Una macchina così potrebbe diventare tanto incomprensibile quanto lo è un essere umano e, naturalmente, potrebbe avere un crollo di nervi come nel film capita ad HAL.

Dal momento che 2001 è un'esperienza visiva, cos'è successo quando il suo collaboratore, Arthur C. Clarke, ha trasformato senza mezzi termini la sceneggiutura dei film in un romanzo?
Il romanzo è un'esperienza di tipo completamente diverso. Ci sono molte differenze fra il libro e il film. Il romanzo, ad esempio, cerca di spiegare alcune cose molto più esplicitamente dei film, il che è inevitabile con un mezzo verbale come il libro. Il romanzo è venuto fuori dopo che, proprio all'inizio, avevamo scritto un'esposizione del soggetto dei film di 130 pagine. Questa versione è stata poi modificata nella fase di sceneggiatura e la stessa sceneggiatura è stata a sua volta cambiata durante la realizzazione dei film. Ma Arthur ha preso tutto il materiale originario più una copia dei primi provini giornalieri e ha scritto il romanzo. Il risultato è che libro e film presentano delle differenze. Per prenderne una in particolare, nel romanzo il monolito nero, che le scimmie antropomorfe, incuriosite, scoprono tre milioni di anni or sono, fa esplicitamente alcune cose che nel film non fa. Nel film il monolito sembra semplicemente avere un effetto stimolante sulle scimmie che le mette in condizione di scoprire l'utilità di un osso come attrezzo e come arma. Nel romanzo, invece, il monolito diventa lattiginoso e luminescente e si dice che si tratta di un test e di uno strumento usato dalle intelligenze superiori per stabilire se valga lo pena aiutare le scimmie e insegnar loro qualcosa.

Questo c'era nello sceneggiatura originale? E se c'era, a che punto è stato eliminato dai film?
Sì, c'era nel soggetto di partenza. Alla fine, però, ho deciso che ritrarre il monolito in un modo così palese significava correre il rischio di farlo sembrare niente più che uno strumento didattico audiovisivo molto sofisticato. In un testo scritto si può far passare sottobanco una cosa tanto letterale, ma credo che siamo riusciti a creare un effetto molto più potente e molto più magico rappresentando il monolito così come abbiamo fatto nel film.

Crede che il romanzo, che è così esplicito, riduca in qualche misura la qualità misteriosa dei film?
Credo che dia la possibilità di vedere il tentativo di esprimere gli stessi concetti fondamentali e la stessa storia con due mezzi diversi, il libro e il film. In entrambi i casi, naturalmente, l'esecuzione deve adattarsi alle necessità proprie dei mezzo espressivo. Credo che le divergenze fra le due opere siano interessanti: anzi, per Clarke è stata una situazione inedita quella di scrivere un'opera basata su frammenti e visioni parziali di un film che non aveva ancora visto nella sua completezza. Infatti nessuno ha visto il film nella sua forma definitiva fino a otto giorni prima dell'anteprima per la stampa, nell'aprile del 1968; la prima volta che io ho visto il film completo di colonna sonora è stato a una settimana dalla prima proiezione. Ho finito di girare la parte in cui appaiono gli attori nel giugno dei 1966 e da allora al marzo dei 1968 ho passato gran parte del tempo a lavorare sulle 205 scene con gli effetti speciali. L'uitima ripresa è stata montata in negativo negli studi di Hollywood della Metro Goldwyn Mayer solo alcuni giorni prima che il film fosse pronto per la prima. Non era affatto nelle nostre intenzioni che fino all'ultimo il film non fosse mai proiettato. Semplicemente non era finito.

Perché ha eliminato alcune scene dopo le prime proiezioni?
Cerco sempre di guardare un film finito come se non l'avessi mai visto prima. Di solito ho settimane di tempo per passarmi il film, da solo o con alcuni spettatori. Solo così si può giudicare se è troppo lungo o troppo breve. Con tutti i miei film precedenti ho fatto proprio così: dopo una proiezione di Dr. Stranamore ho tagliato una scena in cui i Russi e gli Americani si mettono a combattersi a suon di torte in faccia nella sala di guerra. Ho deciso che si trattava di una scena farsesca non in tono con lo stile satirico del resto dei film. Perciò non c'è niente di inedito nei tagli che ho apportato a 2001, tranne che li ho fatti all'ultimo minuto.

Dr. Stranamore si basa su un libro serio, Red Alert. A che punto ha deciso di trasformarlo una commedia?
Ho iniziato a lavorare alla sceneggiatura con tutte le intenzioni di far un film serio dedicato al problema della guerra nucleare accidentale. Mentre cercavo di immaginarmi come sarebbero putute andare le cose nella realtà, mi venivano sempre delle idee che dovevo scartare perché troppo comiche. Continuavo a ripetermi, "non posso far questo, la gente riderebbe". Ma dopo un mese, o giù di lì, ho cominciato a rendermi conto che tutte le idee che scartavo erano le più vere. Dopo tutto, che cosa c'è di più assurdo proprio dell'idea di due megapotenze che spazzano via il mondo a causa di un incidente, alimentato da differenze di opinione politica che a persone distanti da noi un centinaio di anni sembrerebbero tanto insensate quanto lo sono per noi i conflitti religiosi dei Medioevo? Così mi è venuto in mente che stavo affrontando il progetto in modo sbagliato: l'unico modo di raccontare la storia era quello di una commedia nera o, meglio, una commedia incubo in cui le cose di cui si ride di più stanno proprio al cuore degli atti paradossali che rendono possibile una guerra atomica. Gran parte dell'umorismo di Dr. Stranamore nasce dalla rappresentazione del comportamento quotidiano dell'uomo in una situazione da incubo, come quando il premier russo in linea diretta coi Pentagono si dimentica il numero telefonico del suo quartier generale e suggerisce al Presidente americano di chiederlo all'ufficio informazioni di Omsk, oppure quando l'ufficiale americano è riluttante a dare all'ufficiale britannico il permesso di scassinare un distributore automatico della Coca Cola per procurarsi le monetine con cui telefonare al Presidente e comunicargli la crisi alla base dei comando strategico aereo, perché condizionato dal principio dell'intoccabilità della proprietà privata.

Quando lei legge un libro, come Red Alert, che le interessa tradurre in un film, pensa immediatamente che questo o quel personaggio debbano essere interpretati da questo o quell'attore?
Di solito no. Prima cerco di definire il personaggio nella sua interezza, così come apparirà nel film, e poi penso all'attore giusto per il ruolo. Quando devo scegliere gli attori per una parte mi siedo con la lista degli attori che conosco. Una volta che la lista s'è assottigliata ad un certo numero di possibilità, il problema successivo diventa chi è disponibile in quel momento, e come l'attore scelto per una parte potrebbe condizionare le persone scelte per gli altri ruoli.

Come riesce ad ottenere una buona recitazione dagli attori?
Il compito di un regista è sapere quale espressione emotiva vuole che un personaggio comunichi nella scena in cui compare o nella sua battuta, e usare il suo gusto e il suo giudizio per aiutare l'attore a fornire la migliore interpretazione possibile. Conoscendo la personalità di un attore e valutandone i suoi punti forti e quelli deboli, un regista lo può aiutare a superare questo o quel problema e a mettere in pratica le sue potenzialità. Ma credo che questo aspetto della regia sia in genere troppo enfatizzato. Il gusto e l'immaginazione del regista giocano un ruolo più decisivo nella realizzazione di un film. Il film ha senso? E' credibile? E' interessante? Sono queste le domande a cui si deve rispondere centinaia di volte al giorno. E' raro che una cattiva interpretazione derivi dal fatto che l'attore sistematicamente non ha seguito le istruzioni dei regista. Di fatto è proprio il contrario. Dopo tutto, il regista è l'unico pubblico a disposizione dell'attore per tutti i mesi che ci si mette a girare un film, e un attore dovrebbe avere un'enorme autostima e un assoluto disprezzo per il regista per ignorare costantemente i suoi desideri. Credo che le interpretazioni peggiori dipendano dagli errori reciproci di regista e attore.

Alcuni registi non permettono ai loro attori di vedere i giornalieri. Lei glielo permette?
Sì. Ho conosciuto pochissimi attori tanto insicuri o autodistruttivi da essere turbati o da aver compromessa la propria autostima dalla visione dei giornalieri. A dire il vero, la maggior parte degli attori trae beneficio dalla visione dei giornalieri e dall'esame critico della propria interpretazione. In ogni caso, un attore professionista che abbia problemi con i propri provini semplicemente non verrà a vederli, specialmente con i miei film, dal momento che li proiettiamo all'ora di pranzo e, a meno che un attore non sia veramente interessato, difficilmente accorcerà la pausa pranzo a mezz'ora.

Il primo giorno delle riprese sul set come fa a stabilire il rapporto con gli attori, o a intimorirli o a fare quel che lei meglio ritiene, per mantenerli nella stessa concentrazione mentale per i tre mesi della lavorazione?
Certamente non li intimorisco. Per stabilire un buon rapporto di lavoro credo che tutto quello che l'attore deve sapere è che il regista rispetta il suo talento al punto di volerlo nel suo film. Naturalmente ne è consapevole solo se è il regista ad assumere l'attore e non è stato imposto dallo studio o dalla produzione.

Fa delle prove?
C'è un limite a quel che si può fare nelle prove. Certamente sono molto utili, ma ritengo che non si possa provare efficacemente se non si dispone del set vero e proprio in cui lavorare. Purtroppo i set non sono praticamente mai pronti fino all'ultimo minuto prima di iniziare a girare e questo naturalmente riduce il tempo per le prove. Alcuni attori hanno bisogno di provare più di altri, naturalmente. Gli attori sono fondamentalmente strumenti per suscitare emozioni e alcuni sono già sulla giusta lunghezza d'onda e pronti a girare mentre altri raggiungono degli acuti fantastici in una ripresa e poi non li ripetono più, indipendentemente dai loro sforzi. In Dr. Stranamore, per esempio, George Scott riusciva a fare una scena dopo l'altra sempre bene, mentre Peter Sellers era straordinariamente bravo in una ripresa e poi non più.

A che punto sa quale ripresa userà?
In alcuni casi una ripresa è così chiaramente migliore che si capisce subito. Ma specialmente quando si riprendono scene dialogate bisogna guardarle parecchie volte, selezionare porzioni di diverse riprese e farne il miglior uso possibile. La gran parte del tempo del lavoro di montaggio è preso da questo continuo analizzare le riprese, prendere appunti e decidere con estrema fatica quali segmenti si vogliono usare; questo comporta una quantità di tempo e di sforzo dieci volte maggiore che nella fase del montaggio vero e proprio, che è un processo molto rapido. Le scene di pura azione visiva presentano naturalmente molti meno problemi; sono in genere le scene di dialogo, di cui si hanno parecchie lunghe riprese, fatte da ogni angolazione sui diversi attori, che sono le più lunghe e laboriose da montare.

Di quanta parte del montaggio lei è direttamente responsabile e quanto invece è svolto da un direttore del montaggio di sua fiducia?
Nessuna parte di un film viene montata senza di me. Sono al montaggio ogni istante e per tutti gli scopi pratici monto il film da me stesso; sono io che segno ogni inquadratura, che seleziono ogni segmento e faccio fare ogni cosa esattamente come voglio io. Scrivere, riprendere e montare sono le cose che devo fare quando realizzo un film.

Dove ha imparato le tecniche del montaggio? Lei ha iniziato come fotografo.
Sì, ma quando ho lasciato LOOK nel 1950, dove ho lavorato come fotografo per cinque anni, subito dopo aver finito le scuole superiori, mi è venuta la mania dei film e ho realizzato due documentari, Day of the Fight, sul campione di pugilato Walter Cartier, e The Flying Padre, una sciocchezza su un prete del Sud ovest che raggiungeva i suoi sperduti parrocchiani con un piccolo velivolo. Ho eseguito personalmente tutte le fasi lavorative di quei due film e anche dei due miei primi lungometraggi, Fear and Desire e Killer's Kiss. Ero cameraman, regista, direttore del montaggio, assistente al montaggio, fonico; dite qualsiasi cosa, la facevo io. E' stata un'esperienza impagabile, perché ero obbligato a fare tutto da solo e così mi sono conquistato una solida e ampia padronanza di tutti gli aspetti tecnici della lavorazione di un film.

Quanti anni aveva quando ha deciso di fare film?
Avevo circa ventun anni. Lavoravo per LOOK da quando ne avevo diciassette ed ero sempre stato interessato ai film, anche se non mi era mai venuto in mente di farne uno io stesso, fino al giorno in cui ne discussi con un mio ex compagno di scuola, Alex Singer, che voleva anche lui fare il regista (e in seguito lo è diventato) e aveva un suo progetto per una versione cinematografica dell'Iliade. Alex, a quei tempo, lavorava come fattorino per il notiziario cinematografico "The March of Time" e mi raccontò che per realizzare un documentario di un rullo avevano speso quarantamila dollari. Con un po' di calcoli capii che potevo fare un documentario di un rullo con millecinquecento dollari. Questo mi diede la sicurezza finanziaria per realizzare Day of the Fight. Ero alquanto ottimista per quei che riguardava le spese: il film mi costò tremilanovecento dollari. Lo vendetti alla RKO Pathé per quattromila dollari e realizzai cento dollari. Mi dissero che era il massimo che avessero mai pagato per un cortometraggio. Poi scoprii che "The March of Time" stava fallendo. Feci ancora un cortometraggio per la RKO, The Flying Padre, con cui a malapena pareggiai le spese. A questo punto lasciai formalmente LOOK per lavorare a tempo pieno nei film. Riuscii a mettere assieme diecimila dollari e filmai il mio primo lungometraggio, Fear and Desire.

Come fu l'esperienza di realizzare il primo lungometraggio?
Fear and Desire lo girai nei monti San Gabriel, non lontano da Los Angeles. Ero operatore alla macchina da presa, regista e praticamente tutto il resto. La "troupe" consisteva di tre operai messicani che trasportavano l'equipaggiamento. Il film venne filmato in 35 mm, senza colonna sonora, e fu poi doppiato in post sincronizzazione. Nella post sincronizzazione feci un grave errore: il costo delle riprese fu di novemila dollari ma siccome non sapevo come fare con la post sincronizzazione questa mi costò altri trentamila dollari. C'erano altre cose che avevo fatto con leggerezza e spendendo molto perché non avevo abbastanza esperienza per sapere come affrontare i problemi, compresi quelli economici. Fear and Desire fu proiettato nei circuiti d'essai e alcune recensioni furono soprendentemente positive, ma non è un film che io ricordi con orgoglio, se non per averlo finito.

Dopo che Fear and Desire non riuscì a coprire le spese e ripagare gli investitori, come riuscì a procurarsi il denaro per realizzare il suo film successivo, Killer's Kiss?
Fear and Desire venne finanziato soprattutto da amici e parenti, a cui poi ho restituito il denaro, non occorre dirlo. Diverse persone mi diedero il sostegno finanziario per Killer's Kiss, che andò in perdita per metà del suo budget di quarantamila dollari. Successivamente ripagai anche questi sponsor. Dopo Killer's Kiss incontrai Jim Harris, che voleva diventare produttore cinematografico, e insieme formammo una compagnia di produzione. Il primo film prodotto fu Rapina a Mano Armata, basato sul romanzo di Lionel White, The Clean Break. Questa volta potevamo permetterci dei buoni attori, come Sterling Hayden, e una troupe professionista. Il budget era più ampio che per i film precedenti (320.000 dollari) ma sempre molto basso per una produzione hollywoodiana. Il film successivo fu Orizzonti di Gloria che nessuno a Hollywood voleva assolutamente fare, anche se i costi erano bassi. Finalmente Kirk Douglas lesse la sceneggiatura, che gli piacque, e accettò di entrare nel cast. A quel punto la United Artists fu disposta a realizzarlo.

Come è riuscito a ottenere da Douglas quella grande interpretazione?
Un regista non può tirar fuori da un attore niente che l'attore non abbia già. Non si può metter su una scuola di recitazione nel bel mezzo delle riprese di un film. Kirk è un buon attore.

Che cosa ha fatto dopo Orizzonti di Gloria?
Ho scritto due sceneggiature che nessuno voleva. Dopo un anno le mie finanze cominciavano a traballare. Non avevo ricevuto alcuna paga per Rapina a Mano Armata o per Orizzonti di Gloria ma avevo lavorato per un salario a pagamento differito al cento per cento e siccome nessuno dei due film realizzò alcun profitto io non ci guadagnai nulla. Mi sono mantenuto grazie ad un prestito ricevuto dal mio partner, Jim Harris. Poi ho passato sei mesi a lavorare sulla sceneggiatura di un western con Marlon Brando e Calder Willingham, I Due Volti della Vendetta. Il rapporto con Brando si è interrotto, ma amichevolmente, alcune settimane prima che Brando stesso iniziasse a dirigere il film. Al momento di lasciare questo progetto avevo già trascorso due anni senza far nulla. A questo punto sono stato assoldato per fare la regia di Spartacus, con Kirk Douglas. E stato l'unico film su cui non ho potuto esercitare un controllo totale: sebbene ne fossi il regista, la mia era solo una delle molte voci a cui Kirk dava ascolto. Il film non mi soddisfa, possiede tutto fuorché una buona storia.

Qual è secondo lei il ruolo dei regista?
Un regista è una specie di macchina di idee e di gusti; un film è una serie di decisioni creative e tecniche ed è compito dei regista prendere le decisioni giuste il più spesso possibile. Il set di un film è il peggiore ambiente per un lavoro creativo mai pensato dall'uomo, un ambiente rumoroso, fisico, dove è difficile concentrarsi: e lo si deve fare dalle otto e mezza alle sei e mezza, per cinque giorni alla settimana. Non è un ambiente dove un artista vorrebbe lavorare. L'unico vantaggio sta nel fatto che si deve lavorare, non si può procrastinare.

Com'è che ha imparato a fare film, visto che non aveva alcuna esperienza?
Beh, l'esperienza di fotografo mi è stata molto utile. Per i due documentari usavo una piccola cinepresa a mano che si chiamava Eyemo, una macchina a caricamento diurno molto semplice da manovrare. La prima volta che ho usato una cinepresa Mitchell è stato per Fear and Desire: sono andato alla Camera Equipment Company, un agenzia di noleggio di attrezzature da ripesa al numero 1600 di Broadway, e il proprietario, Bert Zucker, ha passato una domenica mattina a spiegarmi come caricarla e manovrarla. Questo è stato tutto il mio apprendistato formale nell'uso della cinepresa.

Vuol dire che quando iniziò tutto quel che fece fu entrare tranquillamente in un noleggio di attrezzature da ripresa e farsi dare un corso rapido su come usarle?
Bert Zucker, che in seguito morì in un incidente aereo, era un giovanotto di trent'anni ed era molto comprensivo. Comunque, è stata una cosa accorta da parte loro, io pagavo per quell'attrezzatura. A quel tempo ho anche imparato come fare il montaggio. Una volta che mi insegnarono come si usa la moviola e il sincronizzatore e come si fa una giunta, non ebbi alcun problema. I fondamenti tecnici del fare cinema non sono difficili.

Che tipo di film andava a vedere a quel tempo?
Di solito volevo vedere praticamente qualsiasi cosa. Infatti, erano i film brutti che mi incoraggiavano a iniziare a farli io stesso. Continuavo a vedere film orrendi e a dirmi: "Non ne so niente di come si fanno film, ma non potrò mai far niente di peggio di questo."

Lei possedeva le competenze tecniche e l'iniziativa, ma cosa le fece ritenere di poter ottenere una buona interpretazione da un attore?
Beh, all'inizio non ottenni delle performance particolarmente buone, né in Fear and Desire né in Killer's Kiss. Erano entrambi film dilettanteschi. Ma imparai molto nel farli, furono un'esperienza che mi aiutò molto nei film successivi. Il modo migliore per imparare è mettersi a fare e poche persone riescono ad avere l'opportunità per tentarci. Anche i libri di Stanislavskij mi hanno aiutato molto, come pure un libro eccellente su di lui, Stanislavskj Directs, che contiene un sacco di materiale che illustra il modo in cui lavorava con gli attori. Tra questi libri e le dolorose lezioni che ho imparato dai miei stessi errori, ho accumulato l'esperienza necessaria per iniziare a fare un buon lavoro.

Ho letto anche testi di teoria?
A quel tempo ho letto i libri di Eizenstein, che anche adesso non riesco veramente a capire. Il libro più interessante sull'estetica dei film che abbia mai letto è stato Film Technique di Vsevolod Pudovkin [trad. it. La Settima Arte, ndT], che spiega come il montaggio è l'aspetto dell'arte cinematografica assolutamente unico, che la distingue dalle altre forme d'arte. L'abilità nel mostrare in un breve momento una semplice azione, come un uomo che taglia il grano, da tutta una serie di angolazioni, l'essere capaci di vedere quest'azione in un modo particolare, possibile solo attraverso un film, beh, di queste cose parla il libro di Pudovkin. Sono cose ovvie, ma certamente troppo importanti per non smettere mai di sottolinearle. Pudovkin fa molti chiari esempi di come un buon montaggio dia forza ad una scena. Raccomando il suo libro a chiunque sia interessato alla tecnica cinematografica.

I libri di Eizenstein non le hanno fatto una buono impressione. Che ne pensa dei suoi film?
Beh, ho opinioni contrastanti. Il più grande risultato ottenuto da Eizenstein sta nella bella composizione visiva delle inquadrature e del montaggio. Ma per quel che riguarda il contenuto, i suoi film sono inconsistenti, gli attori legnosi e melodrammatici. Talvolta ho il sospetto che lo stile di recitazione di Eizenstein derivi dal suo desiderio di tenere gli attori inquadrati all'interno delle sue composizioni più a lungo possibile: si muovono molto lentamente, come fossero sott'acqua. E' interessante notare che molto del suo lavoro Eizenstein lo ha compiuto in concorrenza con Stanislavskij. A dire il vero, chiunque sia interessato alla tecnica filmica comparata dovrebbe studiare i diversi approcci di Chaplin e Eizenstein: Eizenstein è tutto forma senza contenuto, mentre Chaplin è tutto contenuto senza forma. Naturalmente, lo stile di un regista è in parte il risultato del modo in cui riesce a imporre la propria personalità sulle condizioni, solo in parte controllabili, di questa o quella giornata: la sensibilità o il talento degli attori, il realismo della scena, i problemi di tempo, e persino le condizioni meteorologiche.

Hanno riportato alcune sue affermazioni secondo le quali lei era affascinato dai film di Max Ophuls, quando ha iniziato a fare il regista.
Sì, Ophuls ha fatto delle cose splendide. Ho ammirato in modo particolare il modo fluido di usare la macchina da presa. Allora vedevo moltissimi film al Museum of Modern Art di New York e nelle sale cinematografiche. Ho imparato molto più guardando i film che leggendo testi voluminosi di estetica filmica.

Se avesse diciannove anni e dovesse cominciare daccapo, andrebbe a una scuola di cinema?
La migliore educazione per imparare a fare i film è farne uno. Consiglierei ogni regista alle prime armi di cercare di fare un film da solo. Un cortometraggio di tre minuti gli insegnerebbe un sacco di cose. Ora so che tutto quello che facevo all'inizio era, in piccolo, uguale a quel che faccio ora come produttore e regista. Ci sono un sacco di aspetti poco creativi nel realizzare un film che si devono superare e facendo un film, anche il più semplice, si sperimentano tutti: l'aspetto finanziario, organizzativo, fiscale, eccetera. E' raro avere un contesto pulito, artistico quando si fa un film. Riuscire ad accettare questo è essenziale per un regista. E' importante sottolineare che chiunque intenda fare seriamente un film dovrebbe procurarsi più denaro che può e mettersi subito a farlo, cosa che non è più così difficile come un tempo. Quando mi sono messo a fare il cinema da indipendente, nei primi anni Cinquanta, ho ricevuto un bel po' di pubblicità perché ero una specie di fenomeno in un'industria dominata da una manciata di enormi case di produzione. Erano tutti meravigliati per il fatto che in assoluto si potesse fare un film indipendente. Ma chiunque ne sappia un po' di cineprese e registratori, che abbia un po' di ambizione e, si spera, di talento, può farli. E' solo questione di prendere carta e penna e pianificare il lavoro. Siamo davvero alle soglie di un'era rivoluzionaria nel cinema.

The film director as superstar: Stanley Kubrick, di Joseph Gelmis
Doubleday and Company: Garden City, New York, 1970
Traduzione dell'intervista come nel volume Kubrick, La Biennale di Venezia/Giorgio Mondadori Editore
Traduzione dell'introduzione per ArchivioKubrick

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