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L'intervista
di Jean-Marc Boineau

Come tutti sicuramente saprete, Stanley Kubrick non è una persona facile da avvicinare. Chiuso nella sua dimora di quaranta stanze, ha a sua disposizione tutto quello che è possibile avere (sala di proiezione ultramoderna, banchi di montaggio high-tech, archivi colossali, libri provenienti da tutto il mondo, fino alle penne ultimo modello), errando nella sua torre d'avorio come Jack Nicholson nell'Overlook Hotel e ricevendo solo i suoi collaboratori più fidati, dopo essersi assicurato della loro discrezione. Quando necessita di precise informazioni, dispone di numerosi telex e linee telefoniche. Lo si vede, il regista si comporta da stratega nella sua trincea.

Spinge alla perfezione il controllo delle differenti copie dei suoi film proiettati nel mondo intero e delle sale cinematografiche, schermi e poltrone inclusi. Inoltre, ha formato una squadra di informatori che funziona a pieno ritmo. Gli basta un cenno per sapere della minima anomalia concernente un suo film, tutto questo grazie al lavoro da certosini dei suoi ammiratori, fedeli e devoti.

All'uscita delle sue opere, lui supervisiona personalmente tutte le versioni in lingua straniera (all'inglese), si occupa attivamente della loro campagna di distribuzione e, allo stesso modo, della loro masterizzazione in formato video (sovente in Pan & Scan). Nulla sfugge a Kubrick, capitano assoluto della sua nave, che non ha, dopo vent'anni, nessuna nota spese da presentare alla sua casa di produzione (Warner), la quale passa il suo tempo a firmare assegni in bianco nell'attesa delle spiegazioni del maestro.

Non allontanandosi mai più di cinquanta chilometri dalla sua abitazione, Stanley Kubrick arriva sempre agli studi di produzione con mezz'ora di anticipo per "captare" l'atmosfera. Quando deve girare delle riprese all'estero, pianifica con molta cura, dopo avere raccolto parecchie informazioni, il piano di lavoro della seconda équipe. Per l'uscita mondiale di ognuno dei suoi film (almeno fino a Full Metal Jacket), ha scelto personalmente il critico di ogni paese che desiderava incontrare, il quale, dopo avere letto coscienziosamente le "missive" di Kubrick, era autorizzato a prendere l'aereo e a condividere i tramezzini e il the con Stanley Kubrick, nella più prossima periferia di Londra. A questo punto il regista si dimostra assolutamente disponibile, rispondendo con sollecitudine alle domande che gli vengono poste, dirigendo inoltre l'intervista allo scopo che non vengano dimenticate importanti domande nell'atmosfera familiare che si è instaurata. E' una delle ragioni per le quali è uno dei più grandi registi del nostro tempo.

Per smitizzare un po' il personaggio e per non tornare più sull'argomento, precisiamo che Kubrick guida una porche 928 S e che di quando in quando raggiunge la ragguardevole velocità di 160 chilometri orari sull'autostrada, che sta lavorando da qualche anno sul Dottor Stranamore per tentare di creare un negativo di qualità partendo da due pellicole positive, che vive e lavora a Londra perché non apprezza Hollywood e perché Londra offre delle condizioni di lavoro migliori rispetto a New York, che ha sovente barattato il suo compenso contro la possibilità di avere l'ultimo parere (final cut) sui suoi film, che sviluppa ogni ripresa effettuata per essere sicuro di avere la migliore tra tutte per il montaggio, che consulta il Virginia Kirkus Report (catalogo di tutti i libri pubblicate) per essere sicuro di avere le opere migliori. Come lui stesso afferma, "una persona non può leggere tutto". In compenso, vede tutti i film nei periodi durante i quali non gira alcun film.

Michel Ciment ha straordinariamente illustrato il personaggio nell'opera che gli ha dedicato. Noi ci permettiamo di citarne un estratto: "Ogni critico, credo, che ha voluto analizzare l'opera di Stanley Kubrick, ha percepito i limiti del proprio discorso. Parlare di cinema (cioè esporre ai lettori in termini concettuali, con parole, una serie di associazioni di immagini animate) è di per sé una sfida. Il problema si accentua di fronte a dei film che il loro autore ha definito un'esperienza non verbale. E il rifiuto sovente manifestato da Kubrick di commentare le sue opere, viene dal desiderio di preservare una frangia di mistero e di indeterminazione. Quest'opera esige e sfida nello stesso tempo l'analisi."

Si reagisce a una storia un po' come
quando ci si innamora di qualcuno.
Stanley Kubrick

Lei ha realizzato nella sua carriera dodici film; quasi tutti di genere differente. E' un caso o una scelta deliberata?
In realtà, non mi sono mai preoccupato del genere di film che iniziavo a realizzare. Mi importa solo il soggetto. Si tratta piuttosto di attrazione per una storia e di sapere se è realizzabile da un punto di vista cinematografico. Leggo libri di ogni genere e, se mi capitasse di essere attratto in più occasioni dallo stesso genere, continuerei lo stesso a farci film.

Lei è quello che può essere definito un perfezionista. Ogni volta la realizzazione di un film le richiede più tempo. Può esporci le ragioni di questo fatto?
E' difficile scegliere un soggetto. Per Shining ho dovuto leggere due anni, fino a quando Julian Senior mi ha parlato di Stephen King. Se trovo un buon libro che però non è visualizzabile, preferisco allora un opera più semplice sulla quale posso trasporre le mie idee (ad esempio, la scena del labirinto che rimpiazza quella dell'albergo in fiamme alla fine di Shining). Una volta che trovo la storia, ed è già un vero miracolo, devo solo adattarla, con un co-sceneggiatore oppure con il suo stesso autore. Tutto ciò richiede tempo, ma una volta che sono sul set, il film è completamente pianificato, il che mi evita di avere disavventure e di sorpassare il budget.

Perché non ha mai scritto delle sceneggiature originali?
Il vantaggio che ho nel non scrivere mai dei soggetti originali, fossi poi in grado di farlo, è che posso leggere le cose per la prima volta. E questa scoperta, per definizione, si può verificare solo una volta. E' là che tutto inizia. Poi viene il lavoro di decodifica, avente lo scopo di sviluppare dall'opera originale una struttura che le sia fedele, che non ne riduca né le idee né le emozioni. E tutto questo rispettando i limiti di tempo che sono propri di un film. Il più a lungo possibile, si cerca di conservare in noi l'emozione che ci ha fatto innamorare del film. Si giudica la scena chiedendosi: reagisco sempre a quello che vedo? Il processo è allo stesso tempo analitico ed emotivo. Ci si sforza di trovare un equilibrio tra l'analisi e il calcolo da una parte e le emozioni dall'altra.

Per Full Metal Jacket, la difficoltà sembra essere stata maggiore che per gli altri film. Sette lunghi anni.
Per Full Metal Jacket il problema è stato un po' differente. I buoni soggetti sono sempre più difficili da trovare e quando ho trovato Nato per uccidere di Gustav Hasford, ho subito voluto incontrarlo. Era reticente nei confronti di un adattamento del suo romanzo e fu necessario convincerlo che le sue idee e le sue opinioni sarebbero state rispettate, che lo scopo non era di servirsi del suo libro come di una tela che facesse da sfondo a un melodramma, o per una semplice denuncia della guerra del Vietnam. Abbiamo anche dovuto interrompere le riprese per quattro mesi, in seguito al terribile incidente d'auto del quale è stato vittima Lee Ermey, senza il quale non potevamo fare niente. Abbiamo iniziato le riprese nell'agosto 1985 per perfezionarle nel settembre 1986. Il racconto era denso a tal punto che il montaggio poi ha richiesto molto tempo; non dovevamo superare le due ore di durata del film se non volevamo perdere l'attenzione dello spettatore, senza contare gli imperativi di ordine commerciale che ci spingevano ad accorciare il film.

A posteriori, non pensava al confronto con gli altri grandi film che sono stati fatti sul Vietnam, tipo Platoon o Apocalypse Now?
Il mio scopo non è mai stato quello di fare un manifesto sulla guerra del Vietnam. Volevo solo raccontare una storia e rappresentare la mia visione di questa tragedia. I film che lei ha citato, malgrado il loro valore, non sono il risultato di un genere cinematografico, ma visioni personali dei loro autori. Platoon è un film ben girato, magnificamente recitato, ma gli mancano dei contenuti validi. Per quanto riguarda Apocalypse Now, penso che Coppola sia rimasto impegolato nella sua storia, esattamente perché non ne aveva una. Allora si è dovuto impegnare per rendere ogni scena più spettacolare della precedente, fino all'ultima, dove Brando tenta di dare una dimensione metafisica all'insieme. Tutto questo funzionava e i risultati erano molto forti. Bisogna sapere che ci sono degli aspetti di questa guerra che nessuno ha trattato, specialmente quello della "presa di coscienza" di questi uomini che, finalmente, si lamentano del fatto che portano il fardello della guerra come una piaga che non si cicatrizza mai. Senza contare che l'offensiva del Tet, che io presento nel film, è il solo combattimento organizzato che hanno effettuato i marines. Il resto del tempo, lo trascorrevano in imboscate che si verificavano in piena giungla. Se si dovessero scegliere solo dei soggetti non trattati da altri, non si farebbe mai un film. Fortunatamente, molte storie sono differenti a causa della sensibilità dei loro autori. Non avrei mai fatto Shining, se avessi dovuto tenere conto di tutti gli adattamenti realizzati ai romanzi di Stephen King.

Cosa pensa della violenza?
Anche se esiste una certa dose d'ipocrisia attorno alla questione, tutti sono affascinati dalla violenza. Dopo tutto, l'uomo è l'assassino più reiterante del pianeta. Il nostro interesse per la violenza riflette in parte il fatto che, sul piano dell'incoscienza, siamo molto simili ai nostri antenati primitivi.

Alcuni considerano Shining il suo film più autobiografico. E' d'accordo con questa definizione?
Solo in parte. Perché se è vero che il personaggio di Jack, interpretato da Jack Nicholson, mi assomiglia sotto certi aspetti e che alcuni dei miei fantasmi si intravedono nel film, è anche vero che tutto è attenuato da aspetti caricaturali. Se si ragiona in questa direzione, c'è molto di me in ognuno dei miei film.

Il personaggio di Jack si muove in un labirinto più mentale che materiale, si chiude nella propria follia ed è l'unico a vedere ciò che lo circonda, un po' come il regista è il solo a vedere il risultato del suo film. Gira in tondo scrivendo sempre la stessa frase sui suoi fogli. La similitudine ci pare più che evidente. Non è lo stesso per lei?
Sicuramente vista in questo modo la similitudine è reale. Fare un film è come isolarsi, non vedere più quello che ci circonda. Tutto questo vi prende, vi circonda, vi possiede, vi reclama ed è difficile fuggire. Ad un certo punto ci si domanda se non si sta diventando pazzi, comandati da forze invisibili. Fare un film impone una totale abnegazione, una completa disponibilità, e questa è la ragione che mi spinge ad isolarmi dal mondo esterno. Dal momento in cui si diventa impermeabili al mondo esterno, non si percepisce più la realtà e ci si lancia verso quell'universo indefinibile che è la creatività. In questo senso sì, sono molto simile a Jack.

Lei ha un contratto per altri tre film con la Warner. Per quale ragione?
In effetti vado molto d'accordo con i dirigenti della Warner. Mi lasciano interamente il campo libero, non sono molto pignoli relativamente ai miei budget e mi lasciano il controllo totale sulle mie produzioni. Inoltre, squadra che vince non si cambia, considerando che Shining e Full Metal Jacket sono stati due grandi successi. Penso che siano i miei più grandi successi come incassi iniziali. Barry Lyndon, che all'inizio era andato male, in seguito si è ampiamente rifatto.

Lei è conosciuto per la sua ricerca della perfezione, la sua grande conoscenza di tutti gli aspetti della produzione di un film. Da dove le arriva questa conoscenza?
Penso che sia molto importante la mia formazione di fotografo, in quanto è impossibile essere un buon regista senza essere esperto di fotografia. E' impensabile mettere in scena delle immagini senza sapere come saranno filmate. Un buon regista deve avere tutto nella sua testa, i colori, il decor, l'inquadratura, deve conoscere tutte le tecniche utilizzate. Nessuno meglio di lui può avere una visione definitiva di questa o quella scena del suo film. In un certo senso è il tuttofare della produzione. Tutto questo non impedisce che la collaborazione con gli altri specialisti sia indispensabile per la buona riuscita del film. Negli anni cinquanta i registi sapevano fare tutto e non erano obbligati a delegare i loro poteri. Per quanto riguarda la nuova generazione, si assiste ad un certo lassismo, anche se questo stato di cose può rivelarsi positivo per chi investe soldi nella produzione di film senza essere competente.

E' stato detto che lei è un moralista pessimista. Cosa ne pensa?
Questa definizione mi sembra abbastanza giusta anche se è contraddittoria. E' vero che i miei film finiscono piuttosto male, come Barry Lyndon, Il Dottor Stranamore, Spartacus o Lolita, ma ogni volta gli eroi non portano il bene come una bandiera, si tratta di eroi piuttosto ambigui, quindi se io privilegio il male non è perché mi assomiglia, ma piuttosto perché è più evidente e complesso del bene. La morale è dare una contropartita ai crimini più infimi, ma questa morale è anche controbilanciata da un'altra, a sua volta più pessimista, che mi assomiglia. In Arancia Meccanica, Alex ridiventa malvagio malgrado il trattamento che ha dovuto subire, lui stesso è malvagio. Direi che è un giusto ritorno all'ordine di cose prestabilito, l'uomo ritorna all'uomo. Durante Spartacus, l'istigatore della rivolta muore sulla croce, come Cristo, ma impone una sorta di vittoria nel dubbio che semina dietro di lui, nella paura irreversibile che lascia. La bomba di Stranamore esplode su un aria musicale, un po' per dimostrare che gli individui sono quello che sono e non vi è altra alternativa che la derisione. I protagonisti di Lolita si impegnano per salvare le loro vite, l'intrusione di Sue Lyon rappresenta la libido, questo demone che Billy Wilder ha rappresentato in Quando la moglie è in vacanza con humour sarcastico, humour che consente delle divagazioni. E' significativo constatare come si possa far passare una moltitudine di concetti attraverso la derisione. La comicità è il più sicuro mezzo attraverso il quale criticare, anche se non il più efficace. In Rapina a mano armata, i gangster muoiono a causa della stessa cancrena che essi stessi hanno seminato. Quando la polizia arriva, il lavoro è già stato compiuto dalla furia distruttrice degli uomini. La morale non è più: "Hai ucciso, devi morire", ma piuttosto: "Hai ucciso non puoi più vivere". E' sicuro che io sono un moralista, sicuro che sono pessimista, ma moralismo e pessimismo sono due concetti che si accordano pur essendo divergenti. Forse la vocazione dell'artista è di mettere in confusione se stesso e gli altri.

Adesso che ha concluso il lavoro su Full Metal Jacket, sarà necessario aspettare il 1995 per vedere il suo tredicesimo film?
Non lo so. Non ci si libera molto facilmente di una ossessione. Ho già realizzato dodici film, è molto tempo che faccio gara con me stesso.

Ultima domanda, ci può spiegare il senso della famosa fine di 2001: Odissea nello Spazio?
Non so. E' un film a sé nella mia carriera, quello al quale tengo maggiormente. David Bowman, dopo aver combattuto senza tregua contro la tecnologia (HAL, il computer), parte alla scoperta della verità, non quella sua personale ma la verità universale. Evolvendosi verso un universo difficilmente immaginabile, i suoi occhi gli descrivono quello che nessuna parola può descrivere, come se facesse all'inverso il viaggio verso il centro della terra. A quale scopo, se lui è l'eletto, quello che ha sacrificato tutto, quello che ormai detiene il potere? Schiacciato dal terribile viaggio al quale si è sottoposto, la sua pupilla che riflette la visione umana dell'universo si ritrae, registra per la posterità, perché troppo grande è la divinità fatta uomo. Quando Bowman tocca il fondo, il cartesianesimo che lo illumina non è nient'altro che l'immaginario che deborda e lui è preso d'assalto da tali visioni che ha bisogno di una rappresentazione, di un punto di riferimento. La sua vita è finita prima ancora che iniziasse il suo viaggio. La sua incoscienza opera per l'incoscienza collettiva. Lui penetra Dio come Dio ha penetrato gli uomini, lui partorisce un nuovo se stesso, una nuova fede che gli uomini si sforzeranno di decifrare. Essi hanno il tempo, sono eterni e poco a poco formeranno questo pensiero unitario, ingrandendolo oltre che rafforzandolo, giudicandolo oltre che avvicinandosi. 2001: Odissea nello Spazio è un "trip", una visione il più possibile ottimista dell'umanità, il mio film più aperto, e sono molto felice che ognuno possa adattarlo alla propria mentalità. La Terra è un assemblaggio e l'universo anche. Il giorno in cui il pensiero umano sarà conforme non esisterà più il cinema.

POST SCRIPTUM
Ci è sembrato interessante aggiungere la risposta che Kubrick aveva dato alla stessa domanda in Newsday del giugno 1968, dopo l'uscita di 2001.

E' là che voi entrate in quella che può essere definita la zona fertile dell'ambiguità, in quanto c'è una spiegazione molto semplice e molto letterale al livello più elementare della storia. Un oggetto è stato lasciato sulla Terra da degli esploratori extra-terrestri circa cinque milioni di anni or sono. Un altro oggetto è stato piazzato sulla Luna per testimoniare per primo della capacità umana di viaggiare nel cosmo. Un altro è stato lasciato intorno all'orbita di Giove con funzioni di segnale. Quando arriva su Giove, l'astronauta Bowman è gettato in un campo di forza che lo porta in una dimensione spazio-temporale situata in un altro angolo della galassia. Lui deve essere "parcheggiato" nell'equivalente di uno zoo umano allo scopo di essere studiato. La sua vita passa istantaneamente in un periodo di tempo che a lui sembra molto breve. Viene alterato il concetto stesso di "tempo" durante il quale la sua vita trascorre. Muore e rinasce sotto una forma di vita superiore. Torna sulla terra come angelo o come superuomo, trasfigurato. Al livello più semplice del film, questo è ciò che accade. Ma il fatto che non si utilizzi alcun nome e che l'avvenimento abbia delle risonanze lontane è positivo. In altri termini il film abbraccia tutto quello che si può collegare a questo soggetto. Non ritengo opportuno di dovermi spiegare oltre questo livello. E' ovvio, ogni impressione che voi proviate verso 2001 è valida nella misura in cui non contiene contraddizioni. Se sortisce un effetto sulle vostre emozioni, sul vostro subcosciente, sulle vostre aspirazioni mistiche, allora è riuscito nello scopo. Una volta che avete avviate le vostre meditazioni, una volta che avete ammesso che l'universo è probabilmente pieno di civilizzazioni evolute, perché ci sono cento miliardi di galassie nell'universo visibile, alcuni di questi concetti si situano ad un livello che l'intelletto umano non può concepire. Questi esseri hanno senza dubbio dei poteri inconcepibili. Potrebbero essere in comunicazione telepatica attraverso l'intero universo e avere la capacità di influenzare gli avvenimenti in maniera divina. Potrebbero infine rappresentare una sorta di coscienza collettiva immortale che viaggia attraverso l'universo. Quando iniziate ad interessarvi a questo tipo di argomenti, le implicazioni religiose sono inevitabili, in quanto queste caratteristiche sono quelle che in genere vengono attribuite a Dio. Ecco quindi, una definizione di Dio perfettamente scientifica.

L'Entrevue, di Jean-Marc Boineau
Le petit livre de Stanley Kubrick, SpartOrange, 1994
Traduzione dal francese per ArchivioKubrick di Rufus McCoy

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