Londra, New York, Hollywood
Lei continua a essere considerato un regista americano, anche se in effetti realizza i suoi film e vive in Inghilterra da molti anni. Le ragioni del suo trasferimento sono dunque del tutto personali o hanno anche a che vedere con il fatto che fare film in Gran Bretagna costa molto meno che negli Stati Uniti?
Se si fanno film in lingua inglese, tre sono i centri di produzione: Los Angeles, New York e Londra, e dato che girare e montare un film mi richiede molto tempo, devo necessariamente vivere in una di queste tre città, altrimenti non sarei mai a casa, sarei sempre fuori. New York è meno attrezzata di Londra in tal senso, Hollywood offre decisamente servizi migliori ma, dovendo scegliere tra Hollywood e Londra, preferisco la seconda: è una città decisamente più interessante e mi piace viverci. Anche New York mi piacerebbe, ma non è un posto pratico per fare film, se non per girare in esterni: se si fa un film in teatro di posa, come The Shining o 2001, New York non offre molte facilità per quanto concerne questi spazi o la costruzione di scenografie. Insomma, l'Inghilterra mi sembra il posto più adatto.
Crede che il fatto di vivere qui e di essere a contatto con una realtà e una produzione cinematografica diversa da quella da cui proviene abbiano in qualche modo influenzato la sua opera?
Non penso. Perché anche se si vive negli Stati Uniti... vivere a New York è del tutto diverso dal vivere ad Atlanta, a Dallas o a Minneapolis o nel resto del paese. Se vivi a New York si può al massimo dire che hai "un senso newyorkese della vita." Vivendo a Londra credo di aver conservato un senso americano del vivere, lo stesso che nutrirei vivendo a New York. Inoltre, qui mantengo senza dubbio un maggior contatto con la realtà che non abitando, per esempio, a Hollywood, che è il posto più irreale del mondo. Leggo tutti i giorni il New York Times e le riviste americane, vedo film americani: non credo insomma che vivere qui sia molto diverso dal vivere là. Di fatto, non ho la sensazione di non vivere in America. Non mi sento segregato né culturalmente svincolato. Non avverto mai un gap culturale, cosa che mi succederebbe se vivessi, per esempio, in Francia o in un altro paese. Vivo a Londra come se stessi in un quartiere di New York.
Giorni fa mi ha confessato che le è sempre piaciuto molto andare al cinema. Continua ad andarci con regolarità?
Cerco di vedere tutti i film che escono. Adesso ho un proiettore in casa, e mi risulta molto più facile. I film di cui riesco ad avere una copia me li vedo a casa, e quelli di cui non ho copia, vado a vedermeli al cinema. Comunque cerco di vedere tutto.
Vorrei domandarle delle sue preferenze. Che film?
Mi piacciono quelli belli [ride].
Nostalgia per Hollywood
E' d'accordo con gli europei che, dopo aver strenuamente difeso il cinema hollywoodiano degli anni Cinquanta e Sessanta, sostengono ora che è morto?
Beh, a dire il vero la maggior parte del film più divertenti e di maggior intrattenimento sono stati fatti a Hollywood; ma se si facesse una lista dei film più importanti della storia del cinema, quelli che le persone guarderanno più a lungo, non sono poi così sicuro che sarebbero dei film hollywoodiani. Ho i miei dubbi. Magari alcuni sì.
Le interessano, all'interno dell'attuale produzione hollywoodiana, i nuovi intenti espressivi di alcuni giovani registi, come Scorsese, Schrader, Coppola, Bogdanovich, De Palma?
Negli ultimi anni, il miglior film hollywoodiano, o meglio, statunitense, che ho visto è Girlfriends di Claudia Weill. Mi è sembrato uno dei pochissimi film americani che metterei sullo stesso piano delle opere più serie, intelligenti e sensibili (sia per copione che per regia) dei migliori registi europei. Sfortunatamente è un film che non ha avuto molto successo, benché se lo meritasse pienamente e lo considero un film magnifico che non fa alcuna concessione alla verità centrale della storia, al tema trattato. Davvero stupendo.
Si potrebbe forse azzardare che i suoi gusti non coincidano esattamente con il cinema hollywoodiano.
Non direi tanto hollywoodiano. Ma è difficile fare un film che piaccia al grande pubblico e al contempo sappia esprimere quella verità e quella capacità di perceziane che si associa alla miglior letteratura. Di fatto, credo che sia abbastanza difficile riuscirci, senza inimicarsi il pubblico [grandi risate]. Fare un film negli Stati Uniti costa un sacco di soldi e quindi succede che la gente sia ossessionata dal piacere al grande pubblico. Si dovrebbe poter fare un film spettacolare che non suoni necessariamente falso: ma è difficile.
Lei conosce degli esempi?
E' difficile pensarne alcuni, e anche se uno scrivesse una lista dei dieci migliori film, non sarebbero certo i campioni d'incasso della storia del cinema. Dipende anche da quanto è costato fare un film. I guadagni sono davvero importanti solo in relazione ai costi. Se fare un film a Hollywood costa otto milioni di dollari, più un milione per le copie e un altro milione per la pubblicità, e si incassano un quindicina di milioni, si è in perdita. Se si fa un film in Europa per mezzo milione di dollari e se ne incassano sei, si diventa ricchi. Il guadagno va visto in relazione ai costi. Questo è il grande problema oggigiorno: il costo spropositato dei film. In America ormai è quasi impossibile fare un buon film (che richiede sempre tempo, un buon cast tecnico e dei buoni attori) che non costi anche enormemente. Credo che Claudia Weill abbia fatto questo suo film in modo amatoriale: lo ha girato per circa un anno, due o tre giorni la settimana. Questo le ha dato di certo un grande vantaggio, perché aveva tutto il tempo che volesse per pensare al film e per vedere cosa aveva girato. Ho pensato che il film le fosse riuscito estremamente bene.
Le è mai interessato il cosiddetto cinema underground, nella sua componente di maggior impegno politico (Kramer, De Antonio), o in quella newyorkese più d'avanguardia (Warhol, Mekas, Anger...)?
Francamente non ho mai visto nessun buon film underground. Uno dei problemi del cinema è che si richiede un certo grado di abilità tecnica affinché il prodotto non risulti grossolano. E la maggior parte del cinema underground che ho visto io era molto scadente. Però non chiamerei, per esempio, Girlfriends un film underground, piuttosto direi che era un film professionale a basso budget. Ad ogni modo non ho visto nessun film underground di cui ho pensato che fosse importante o particolarmente interessante. Alcuni di questi cineasti sono di un certo interesse nel senso che sono persone che fanno cose che non verrebbero in mente a nessun altro. Ma non mi paiono né stimolanti né importanti per la creazione di idee che possano essere successivamente riprese da altri.
Il tema spagnolo
Nei giorni scorsi è spesso saltato fuori nella nostra conversazione il tema del cinema spagnolo, della scarsa - e forse ingiustamente - notorietà che esso conosce all'estero. Gradirei che esprimesse in modo più compiuto la sua opinione sui pochi film spagnoli che ha avuto occasione di vedere, salvo, naturalmente, quelli di Bunuel.
Devo confessarle che la mia conoscenza è minima, e l'unico nome che sono in grado di citare con cognizione di causa è quello di Carlos Saura e anche, in virtù della sua unica, eccellente opera prima, quello di Victor Erice. Ebbene, dovrebbe menzionare nell'intervista il fatto che qui, sfortunatamente, non si hanno molte opportunità di vedere film spagnoli.
E' cosa arcinota.
Sono venuto a contatto con il cinema di Saura in modo del tutto fortuito e in un certo senso curioso. Una sera che sono rientrato tardi ho acceso il televisore: davano un film spagnolo con sottotitoli, del quale non sapevo assolutamente nulla, e che era iniziato già da mezz'ora: mi era difficile seguirlo o capirlo ma, al tempo stesso, ho avuto l'immediata certezza che fosse l'opera di un grande regista. L'ho visto fino alla fine incollato al televisore e ho poi letto sul giornale che si trattava di Peppermint Frappè di Carlos Saura. Me ne sono immediatamente procurato una copia e ho rivisto il film, questa volta per intero: mi ha entusiasmato e da allora tutti i film di Saura che ho visto mi hanno confermato l'alto livello qualitativo del suo cinema. E' un regista di grande splendore, e mi stupisce in particolare l'uso meraviglioso che fa degli attori. Vorrei anche dire della buona impressione che mi ha fatto la piccola Ana Torrent nelle sue sue interpretazioni che ho avuto il piacere di apprezzare: nel film di Erice, El espiritu de la colmena e in Cria Cuervos di Saura. Mi azzardo a dire che con gli anni diventerà una creatura di rara bellezza, cosa già evidente nel film che ho appena menzionato; è una grande attrice. E accanto a questi due registi non posso non fare, ovviamente, il nome di Luis Bunuel, che ammiro profondamente da molti anni.
Ma lei crede che questi tre registi abbiano qualcosa in comune? Le faccio questa domanda, che può sembrarle gratuita, perché, quando di recente la BBC ha mandato in onda Cria Cuervos di Saura i giornali inglesi hanno spesso fatto riferimento al "film bunueliano" di Saura e hanno accumunato entrambi i nomi a quello di Erice.
Tutti i buoni film hanno qualcosa in comune. A parte questo, rintracciare affinità è appannaggio esclusivo dei critici e spesso se le inventano. Alcune ipotesi critiche sono più plausibili di altre... Tutti i grandi film si distinguono per il fatto di possedere qualcosa di unico e pertanto non possono essere messi in relazione ad altri; d'altro canto, un buon film deve normalmente essere ben scritto, ben interpretato, ben diretto e questo può forse dare la sensazione che i buoni film si somiglino. In verità, essi sono per molti versi differenti perché unici.
Il fascino della storia
Quasi tutti i suoi film sono tratti da romanzi. Le risulta più facile lavorare avendo come base la materia letteraria?
La cosa offre un vantaggio enorme: uno può leggersi una storia completa sin dall'inizio. Non ho mai scritto un copione originale, tanto che ultimamente vado teorizzando sull'effetto che questo può produrre. Però suppongo che se qualcuno ha un'idea che gli piace e che in seguito sviluppa, la sua prima impressione sull'interesse o meno della storia sia già svanita quando ha finito di scriverla. E allora, per tentare a questo punto di farne un film, uno deve avere fiducia in quel primo e già remoto interesse o istinto. Il vantaggio di una storia già scritta, presa da un libro, è che uno si ricorda quello che ha sentito la prima volta che l'ha letta. E questo è molto utile per le decisioni che si devono prendere quando si gira perché, anche con storie scritte da altri, dopo averci lavorato per un certo periodo, la storia ti diviene talmente familiare che non sai affatto che impressione farà il film a chi lo vede per la prima volta. Così, con i romanzi, ti resta almeno questa prima impressione della storia e le idee che avevi avuto all'inizio, che sono molto importanti.
Tuttavia, i romanzi da cui lei ha tratto i suoi film (Lolita di Nabokov, Barry Lyndon di Thackeray, The Shining di King, e così via) sono molto diversi tra di loro. Che cosa la attrae in un romanzo perché decida di trarne un film?
Anzitutto, una certa indefinibile risposta personale alla storia. Suona un po' semplicistico, ma ha a che vedere con il fatto che a uno semplicemente la storia piace. Poi sorge la domanda: la storia conserva il suo fascino? E se continui a pensarci per un paio di settimane, seguita ad affascinarti? Se la storia supera queste prove, si può farne un film? Con la maggior parte del romanzi, se sono dei buoni romanzi, non è possibile. E' qualcosa insito in ogni buon romanzo: sia che si tratti della portata della storia o del fatto che i migliori romanzi tendono a preoccuparsi molto della vita interiore dei loro personaggi piuttosto che delle azioni esterne. Ne risulta che c'è sempre il rischio di semplificare troppo quando si cerca di cristallizzare gli elementi delle tematiche o dei personaggi. E allora, va bene, alcuni romanzi probabilmente non potranno mai essere la base per buoni film. Ma diciamo che lei abbia deciso che sia possibile trarre un film da un dato romanzo; le domande successive saranno: ha delle qualità cinematografiche? Sarà interessante da guardare? Contiene delle belle parti per gli attori? Ci sarà qualcun altro interessato al romanzo quando avrai finito di girarlo? Queste sono le domande che ho in testa. Ma soprattutto, direi che serve una specie di eccitazione personale rispetto al romanzo; il fatto che semplicemente ti innamori della storia.
Che cosa in particolare l'ha attratta del romanzo di Stephen King, The Shining?
Il libro mi è stato sottoposto da un executive della Warner Brothers ed era la prima volta che mi capitava di leggere fino alla fine un romanzo già destinato all'adattamento cinematografico. Con la maggior parte delle cose che leggo mi viene l'impressione che dopo un certo numero di pagine farei meglio a mettere giù il libro e smettere di perdere tempo. Con Shining la lettura mi ha assorbito e la trama, le idee e la struttura mi sono parse molto più ricche di immaginazione di quanto non siano abitualmente i romanzi del terrore; pensai che poteva venirne fuori un film magnifico.
Conosceva i precedenti libri di King?
No. Avevo visto Carrie, il film di Brian De Palma tratto dal romanzo omonimo. Direi che la forza di King sta nella sua capacità di costruire trame; non mi sembra che gli importi molto della forma, dà l'impressione di uno che scrive un romanzo, lo rilegge, lo ripulisce e poi lo manda all'editore. Mi sembra uno scrittore assai più interessato all'invenzione di una trama, cosa in cui eccelle.
Ma lei stava pensando di fare un film dell'orrore prima che le mandassero il libro di King?
No. Quando finisco un film, non ho mai in mente che film farò poi; non so come sarà il film seguente. L'unica considerazione che faccio è che non mi piacerebbe fare un film simile a un altro che ho già fatto. A parte questo, non ho idee preconcette su come dovrebbe essere il mio prossimo film. Mi piacerebbe averle. Mi risparmierebbe un sacco di tempo.
D'accordo ma... e il fascino del genere? Lei ha operato all'interno delle convenzioni di generi specifici (la science-fiction, il film bellico, il peplum, e così via). Si è di nuovo sentito attratto da un genere?
Credo che l'unica legge valida per questo genere sia che non si debba cercare di spiegare o trovare spiegazioni chiare per quello che succede, e che l'obiettivo fondamentale sia di produrre nel pubblico una sensazione di mistero. La sensazione di mistero è l'unica che si vive con maggior intensità nell'arte che nella vita: questo apre prospettive assai interessanti nel genere. Ho letto un saggio di quel grande maestro che è H.P. Lovecraft in cui si dice che non si dovrebbe mai spiegare quello che succede, a patto che quello che succede stimoli l'immaginazione della gente, il suo senso del mistero, le sue ansie e le sue paure e, ovviamente, non contenga evidenti contraddizioni interne. Potremmo metterla così: si tratta di lavorare sull'immaginazione (idee, sorprese ecc.) e di esplorare quest'area di sensazioni. Credo anche che la genialità di una storia come quella di The Shining sia apprezzata appieno dagli spettatori: si domandano, a mano a mano che il film procede, che cosa succederà poi, e credo dia una gran soddisfazione arrivare allo svelamento senza aver già capito prima cosa sarebbe successo e al contempo senza essersi sentiti presi in giro o truffati.
Chi è Diane Johnson, la coautrice della sceneggiatura?
E' una scrittrice di romanzi molto brava, ha pubblicato cinque o sei libri. Mi ero interessato ad uno dei suoi libri e ho cominciato a parlarne con lei e poi sono venuto a sapere che era anche un'insegnante alla Berkeley University in California, dove teneva un corso sul romanzo gotico. Ho pensato che sarebbe stato interessante lavorare alla sceneggiatura con lei, cosa che infatti si è avverata. Shining è la sua prima sceneggiatura.
Nel film ci sono parecchi cambiamenti rispetto al libro. Molti personaggi sono stati in un certo qual modo semplificati, il lato soprannaturale e quello che io definirei "pseudopsicologico" sono stati in pratica eliminati e la componente di terrore ridotta. Ha cercato di scostarsi dalle convenzioni basilari del genere, anche se il film continua a essere, per molti, un puro film del terrore?
Non sono d'accordo sul fatto di aver diminuito gil elementi di terrore rispetto al libro. In effetti, a parte le scene in cui il bambino vede i muri schizzati di sangue e quando sente quel rumore sinistro mentre gioca sui canali di scolo ghiacciati, credo che ci sia più orrore nel film che nel romanzo. Anche alcuni spettatori la pensano così. Nel libro, per esempio, non muore nessuno.
Ma lei ha eliminato la presenza di gigantesche figure animali che tolgono la vita, corrono, saltano e minacciano...
Sì: ma è tutto. Effettivamente, nel romanzo le figure animali che si stagliano sulle siepi del giardino tentano di imprigionare Halloran, il cuoco di colore, quando questi arriva all'hotel, alla fine del film, ma questo episodio è l'unico ad essere sparito rispetto al libro.
Lei ha dato maggior risalto alle relazioni tra i personaggi; il senso di isolamento e di alienazione nell'hotel, la frustrazione creativa del protagonista quando è alle prese con la stesura del suo libro... tutto questo nell'originale non c'è e io personalmente ritengo che il film ne esca arricchito.
Sicuramente King intendeva inserire nel romanzo il maggior numero di indizi e di caratteri pseudopsicologici, ma l'essenza dei personaggi del libro è rimasta intatta nel film, Jack soprattutto. Forse l'unico cambiamento riguarda il personaggio di Wendy, la moglie, che risulta ora più credibile come madre e moglie. Direi che le dinamiche psicologiche della storia non sono cambiate granché dal romanzo. Quando lei afferma che i personaggi sono stati semplificati, beh, ovviamente risultano più chiari, meno raffazzonati, ecco sì meno raffazzonati suona meglio che dire semplificati.
Quando ho detto semplificati volevo dire esattamente questo: chiarificati. Per quanto riguarda il personaggio di Jack, per esempio, sono spariti dal film tutti quegli ingombranti riferimenti alla sua famiglia, e questo è stato un bene. Non credo che il pubblico sentirà la mancanza di tutte quelle "pesanti" e imbarazzanti pagine che King dedica al problema dell'alcolismo del padre di Jack o della madre di Wendy.
Questo è proprio il caso in cui si mettono troppi indizi psicologici per cercare di spiegare il perché Jack sia nel mondo in cui è, cosa che non è poi così importante.
Giusto. Leggendo il romanzo, ho avvertito in modo costante che King stava cercando di spiegare perché erano successe tutte quelle cose orribili, un metodo che credo sia sbagliato, perché la forza principale della storia risiede nella sua ambiguità. Allo stesso tempo, basandomi soprattutto sul finale di Shining, direi che gli ammicchi a Poe presenti nel libro, in particolare quelli alla maschera della morte rossa, lasciano il passo nel suo film a una presenza dell'universo di Borges, con le sue filigrane sulla costante di un tempo immaginario e la sua capacità di rendere romanzesco il reale.
Certamente il finale del film, gli ultimi trenta minuti, costituiscono una variazione radicale rispetto al libro, dove il climax, se non ricordo male, si limita al confronto tra padre e figlio, con il bambino che gli dice: "No, tu non sei mio padre". Il padre va nel locale delle caldaie e l'hotel esplode: è fatta. In effetti, il compito più impegnativo che Diane Johnson e io ci siamo posti è stato proprio il cambio di finale, e lo spostamento di enfasi drammatica in accordo a quanto appena delineato. Riguardo a elementi come la figura del padre di Jack e a tutto il contorno familiare, nel film abbiamo introdotto alcuni indizi; per esempio, quando Wendy racconta alla dottoressa come Jack abbia lussato il braccio al bambino, è ovvio che sta cercando di sminuire l'accaduto, anche se noi ci rendiamo perfettamente conto che in realtà è successo qualcosa di orrendo. O quando il direttore dell'hotel chiede a Jack, alla fine del loro colloquio: "Crede che l'hotel piacerà a sua moglie e a suo figlio?" Jack gli dà un'occhiata che apparentemente significa "Che domanda inutile", sorride e quindi risponde: "Ne saranno affascinati". Credo che ci siano numerosi e sottili insinuazioni di questo genere, che cercano di dare allo spettatore, anche se a livello inconscio, la stessa evidenza che King tenta così laboriosamente di conferire al suo romanzo. Inoltre, credo che King fosse un po' preoccupato di ottenere delle credenziali letterarie per il suo romanzo; tutte le citazioni a Poe e le cose alla "Morte Rossa" vanno bene, ma non sembrano così necessarie. Sembrava un po' troppo preso dal rendere evidente a tutti che l'horror era un genere di letteratura meritevole di attenzione.
Come lavora di solito con gli attori? Le piace usare le loro improvvisazioni sul set?
Sì. Trovo che al momento della prima prova con gli attori, ogni scena sembra sempre avere qualcosa di differente dal previsto, non importa quanto attentamente l'avevi scritta. Ti rendi conto che ci sono idee interessanti a cui non avevi mai pensato, o che le idee che credevi essere interessanti in realtà non lo sono affatto. O che il peso delle varie idee è sbilanciato: qualcosa è troppo ovvio o al contario non abbastanza chiaro. Per questi motivi mi succede molto spesso di riscrivere le scene dopo le prove. Mi pare che in questo modo si possa ottenere il meglio sia dall'abilità degli attori che anche, forse, dalle loro debolezze. Se c'è qualcosa che gli attori non stanno facendo o se risulta chiaro che non possono proprio fare (devo precisare che questo non è vero per Shining perchè gli attori sono fantastici), ti vengono in mente idee e possibilità del tutto nuove. Mi sorprende sempre leggere che alcuni registi danno delle indicazioni di massima per una scena e poi trovano che funzioni subito. Potrebbe essere un difetto delle mie sceneggiature, ma mi pare che non importa quanto buona possa mai sembrare una scena sulla carta, dal primo minuto in cui sei sul set, con gli attori, ti rendi dolorosamente conto che non stai ottenendo il massimo possibile se continui ad attenerti strettamente a quanto hai scritto. Ho anche capito che pensare alle inquadrature, o preoccuparsi di come girare una certa scena prima di averla effettivamente provata e riprovata fino al punto in cui accade qualcosa di veramente interessante che valga la pena di catturare su pellicola, ti impedisce di frequente di arrivare ai risultati più profondi possibili ottenibili con quella scena.
Lei cerca sempre di avere un controllo totale su ogni passo della realizzazione di un film. Mi incuriosiscono uno o due aspetti di questo suo meticoloso controllo. Il primo riguarda le scelte scenografiche dei suoi film, e di Shining in particolare. Si interessa direttamente di questo aspetto?
Beh, sì. Per esempio in questo film, lo scenografo Roy Walker ha passato un mese in America a fotografare hotel, appartamenti, cose che potevano essere usate come riferimento. Dobbiamo aver fotografato centinaia di posti. Poi, a partire dalle fotografie che ci piacevano, i grafici hanno prodotto dei disegni mantenendo le dimensioni esattamente identiche alle foto e preservando ogni particolare che era nelle fotografie. Non hanno realizzato qualcosa di simile, ma hanno creato progetti identici alle foto. Quando le foto sono state scattate, Roy era lì inquadrato con un righello, in modo da poter ottenere le dimensioni corrette di tutto, cosa che è molto importante. Si prenda ad esempio l'appartamento in cui la famiglia vive all'inizio del film, con stanze molto piccole e corridoi stretti e quella strana finestra nella cameretta del bambino, alta circa un metro e mezzo. Beh, in primo luogo è sciocco progettare da zero qualcosa che tutti conoscono perché lo vedono continuamente nelle loro vite e di cui possono subito dire se non sembra del tutto giusto. Era importante mantenere questa accuratezza in quegli appartamenti e anche nel loro appartamento all'interno dell'hotel, che è così brutto, con quella sua specie di mancanza di design che si ha quando le cose vengono costruite senza gli architetti. Questi ambienti dovevano essere copiati accuratamente. La stessa cosa vale per le sale più grandi, che sono bellissime e c'era bisogno di preservare quello che gli architetti avevano realizzato. Di sicuro, invece di avere uno scenografo che tenti di progettare un hotel a questo scopo, cosa che credo sia quasi impossibile da fare senza che il tutto assomigli a un set teatrale o ad un allestimento da opera lirica, era necessario avere qualcosa di vero. Credo anche che per far sì che le persone credano alla storia sia molto importante ambientarla in un posto che sembri totalmente reale, e illuminarlo come se si trattasse di un documentario, con luce naturale che arriva da concrete fonti di luce, piuttosto che avere quella luce drammatica, ma finta, che si vede di solito nei film horror. E' simile allo stile in cui scrivono Kafka o Borges, semplice, non barocco, uno stile che tratta il fantastico in modo ordinario e comune. Per quanto riguarda i set, penso sia molto importante che siano molto reali, e ben poco interessanti architettonicamente, in modo da avere più strutture e più angoli attorno cui girare. Ma devono sempre sembrare reali. Ogni dettaglio di questi set deriva da fotografie di luoghi reali che abbiamo accuratamente copiato. L'esterno dell'hotel è basato su un albergo realmente esistente in Colorado, ma gli interni sono basati su vari posti differenti, per esempio i bagni rossi sono una copia di alcune toilet disegnate da Frank Lloyd Wright che lo scenografo ha trovato in un hotel a Phoenix, in Arizona. Sono esattamente uguali, colore e tutto il resto. Perchè affannarsi a disegnare un bagno quando non solo hai già un bagno con le proporzioni corrette ma si dà il caso che quel bagno sia anche interessante? Se devi costruire dei set, è di un'importanza cruciale lasciare spazio alle possibilità di emulare la luce naturale. Per esempio, tutti i candelieri che abbiamo costruito dovevano avere un collegamento speciale alla rete elettrica, perché ciascuna di quelle lampadine ha la potenza di 1000 watt, collegata a basso voltaggio, in modo da essere bella luminosa, ma con una luce calda. Se l'ha notato, il colore e tutto quanto nell'hotel è caldo - beh, questo effetto si ottiene facendo andare lampadine da 1000 watt a basso voltaggio. La luce diurna che arriva dalle finestre è stata simulata con un pannello lungo 30 metri e alto 9, giusto? E c'erano circa 750 lampadine da 1000 watt dietro quel pannello in modo che la soffice luce che arrivava dalle finestre fosse come la luce diurna; era veramente come un cielo artificiale. In questo modo, durante il giorno l'abiente sembra reale. Considerazioni come questa devono essere tenute presenti molto presto in fase di lavorazione perché influenzano la costruzione dei set; la luce deve essere integrata molto presto nel design dei set.
Sta già pensando ad un nuovo progetto?
No, aspetto con impazienza che mi venga un'idea.
An interview with Stanley Kubrick, di Vicente Molina Foix
El Pais - Artes, 20 Dicembre 1980
Questa versione combina le parti pubblicate su Stanley Kubrick, La Biennale di Venezia, Mondadori, 1997, con una traduzione della trascrizione originale dell'intervista pubblicata in The Stanley Kubrick Archives, Taschen, 2005.
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