Intervista con Milena Canonero
di Stefano Masi
Barry Lyndon non è soltanto
un film straordinario per il suo ritmo narrativo. Rappresenta anche uno dei risultati
più eclatanti di tutta la costumistica cinematografica. E' caratterizzato da un certo
gusto per i tableaux vivants e, tra tutti i suoi film, è quello
in cui appare più evidente l'influenza della pittura. A quali artisti
si è ispirata?
Ad alcuni pittori minori del Settecento, a Tristam Shandy per la parte
irlandese; a Gainsborough, Reynolds per la parte inglese; a pittori tedeschi
come Menzel per le scene a lume di candela.
In Barry
Lyndon il costume sembra assurgere improvvisamente al ruolo di protagonista.
Tutto tende ad esaltarlo, anche la recitazione degli attori, che si muovono
molto lentamente.
Il costume sottolinea una certa formalità che in quel momento
stava a cuore a Kubrick, il quale aveva scelto un certo tipo di musica
e, per accompagnarla, usava dei movimenti di macchina molto lenti.
Forse
questi movimenti di macchina tanto lenti servivano anche a dare allo spettatore
il tempo per ammirare bene i costumi, che erano di una ricchezza straordinaria.
No. Stanley Kubrick non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Quando
progetta un film ha già in mente uno stile fotografico e lo applica
con coerenza dalla prima all'ultima inquadratura. La fotografia per lui
è come una scrittura: è la calligrafia del cinema. Ad ogni
film inventa uno stile fotografico su misura per la storia che sta raccontando.
Arancia Meccanica era basato sull'uso degli obiettivi grandangolari.
La scrittura di Barry Lyndon, invece, è caratterizzata da
carrellate e zoomate lentissime. Ci sono volute ore ad ore per realizzarle,
perché dovevano essere fatte con una precisione estrema. Questa
scrittura kubrickiana di Barry Lyndon non accompagna tanto il costume,
quanto la maniera di vivere dei personaggi: è meno marcata nalla
prima parte del film, quella ambientata in Irlanda, sempre più
marcata man mano che il racconto va avanti e Barry cade sempre più
in una sorta di decadenza morale.
Man mano
che il racconto procede anche il costume dei personaggi si evolve: diventa
sempre più ricco, più fastoso.
Certamente. Il film si apre in un'Irlanda abbastanza modesta, dove
vive la famiglia di Barry, piccoli proprietari terrieri, relativamente
poveri e si conclude nella grandiosa casa della più ricca ereditiera
inglese di quell'epoca, Lady Lyndon. Inevitabilmente c'è una progressione
di fasto e ricchezza.
Com'è
nata l'immagine del personaggio di Lady Lyndon, affidato all'interpretazione
di Marisa Berenson?
E' nata da pittori minori del Settecento inglese. Del resto, quando
hai un'attrice come Marisa Berenson, che è una donna straordinariamente
bella e ha l'altezza giusta, puoi fare qualsiasi cosa con il costume.
Secondo me, non è molto difficile trasformare una Marisa Berenson
in un personaggio di un quadro della seconda metà del Settecento
inglese. Avendo lineamenti così puliti e forti, avendo l'altezza,
ripeto, le potevi mettere in testa le enormi parrucche dell'epoca e farle
quelle pettinature incredibili senza correre alcun rischio. Nel film Lady
Lyndon ha quattro parrucche diverse. Mi piace l'idea che i personaggi
femminili possano cambiare molto e rimanere sempre se stessi. E' un principio
che ho applicato in numerosi film. Comunque, nel caso della Marisa Berenson
di Barry Lyndon mi sembrava importante sottolineare il fatto che,
essendo una donna ricchissima, poteva permettersi di possedere tante parrucche:
se ben ricordo, ne aveva una bionda, una grigio-ferro cotonata ed una
rossastra. Inoltre, c'erano le acconciature che le facevo fare con suoi
capelli naturali, a volte impolverati e con l'aggiunta di pastiches. Doveva
essere una donna attenta al senso estetico, ma vuota come una bambola.
E doveva apparire anche infelice, perché in realtà non riusciva
a comunicare in alcun modo con il marito, personaggio negativo ed egoista.
Lady Lyndon viveva in un mondo rarefatto.
I costumi
di Barry Lyndon li ha firmati con Ulla-Britt Soderlund. Come vi
siete divise i compiti e le responsabilità del lavoro?
Lei ha avuto un'idea splendida, quella di un laboratorio dove creare
i costumi per il film, idea che è subito piaciuta molto a Kubrick.
Ulla si è occupata soprattutto del lavoro organizzativo per questo
laboratorio. In precedenza aveva già messo in piedi alcuni laboratori
e aveva una certa esperienza in questo campo... Per Barry Lyndon
avevamo circa quaranta persone che lavoravano per noi. Dapprima, durante
la pre-produzione, il laboratorio era sistemato alla periferia di Londra,
a Elstree, non lontano dalla casa di Kubrick. Poi, quando siamo andati
a girare in Irlanda, lo abbiamo trasferito lì. Ed infine, quando
siamo ritornati in lnghilterra, lo abbiamo un po' ridimensionato: sono
rimaste solo poche persone, guidate dal nostro capo-tagliatore che proveniva
dal Glymbourgh Opera e che era davvero favoloso.
Quindi
per Barry Lyndon non vi siete rivolti alle sartorie che abitualmente
preparano i costumi per i film?
Abbiamo fatto tutto da noi, meno cinque costumi maschili presi alla
Safas. Abbiamo realizzato tutti i costumi per conto nostro, anche le uniformi,
anche le ghette, anche i cappelli... Fu una cosa abbastanza insolita e
lo era ancor più a metà anni Settanta, quando girammo Barry
Lyndon. All'epoca Danilo Donati era l'unico a mettere in piedi laboratori
di sartoria. E lo faceva per i film di Fellini. Ma in Gran Bretagna, prima
di noi, nessuno aveva mai allestito un laboratorio per un film. Nessuno
aveva mai fatto un film in costume senza rivolgersi alle case di costume.
L'idea era partita da Ulla che, avendo lavorato in teatro in Danimarca
e in altri paesi in cui non c'erano case di costume, era ormai abituata
a mettere in piedi piccoli atelier per ogni suo film.
E non
avete pensato che da qualche parte, in una delle tante case di costume
europee, potessero esserci abiti di repertorio adatti al vostro film,
magari soltanto per le figure di secondo piano o per le comparse?
Prima di cominciare il film sono andata in giro per le case di costume
di tutta Europa, ma non ho trovato praticamente nulla che mi piacesse:
era roba molto teatrale, molto pesante, operistica direi, che non andava
bene per il nostro Barry Lyndon. Io avevo in mente di far rivivere
la linea del Settecento. Soltanto alla Safas ho trovato alcuni meravigliosi
vestiti da uomo, probabilmente creati da Piero Tosi.
Ma come
avete fatto a realizzare tute le uniformi necessarie per il film?
Per le uniformi creavamo un prototipo dl costume e poi affidavamo
ad una piccola industria manifatturiera il compito di realizzarne la quantità
che ci serviva per il film, anche centinaia e centinaia di pezzi.
Alla
fine delle riprese vi siete ritrovati fra le mani un quantitativo impressionante
di straordinari costumi del Settecento. Che fine hanno fatto questi abiti
preziosi?
Molti li abbiamo dati alle case di costume, alcuni sono stati ceduti
ad un museo, altri sono andati dispersi. Io stessa ne conservo alcuni.
Lei sa
che Piero Tosi è un grande ammiratore di Barry Lyndon e
ne parla sempre con grande rispetto?
Mi fa molto piacere che a Piero sia piaciuto Barry Lyndon,
specialmente perche in un primo tempo Stanley Kubrick aveva offerto il
film proprio a lui. Ma Piero aveva rifiutato perche non gli piaceva l'idea
di stare tanto tempo lontano da casa.
Un'ultima
cosa su Barry Lyndon. In quel film Kubrick ha usato tecniche di
ripresa particolarissime. Sono passate alla storia le scene illuminate
con la sola luce delle candele, filmate con speciali obiettivi. Questa
tecnologia ha influenzato anche il lavoro sul costume?
Niente di particolare. Ma, nelle scene a lume di candela, ho dovuto
eliminare il bianco-bianco che rischiava di diventare troppo luminoso:
sparava, come si dice. Kubrick usava un obiettivo estrmamente luminoso,
un obiettivo speciale fornito dalla Nasa, che vedeva più dell'occhio
umano e che solo lui ha usato. Talvolta anche in esterni bisagnava stare
attenti al bianco e ai colori piu chiari, perché il tipo di fotografia
usato da Stanley Kubrick era molto particolare.
Costumisti e scenografi del cinema italiano, Lanterna Magica, L'Aquila, 1990