Il regista francese (nato a Parigi nel 1930, ma di origine svizzera) Jean-Luc Godard, è uno dei tanti cineasti formatisi attraverso la critica cinematografica negli anni Cinquanta alla scuola dei Cahiers du Cinéma fondati da André Bazin.

Quasi tutti i critici dei Cahiers sono infatti passati alla regia (Truffaut, Tavernier, Rohmer, Rivette, Chabrol e altri) acquistando fama internazionale nell'ambito del movimento chiamato Nouvelle Vague. Ma nessuno come Godard ha calpestato la tradizione, ha messo in scena audaci e beffarde provocazioni, ha in altre parole rinnovato il linguaggio cinematografico, dandogli una sintassi del tutto nuova.

Fin dal suo primo lungometraggio, Fino all'Ultimo Respiro (1959), è parso evidente che questo "ragazzaccio" di 29 anni non si limitava ad auspicare, dalle pagine dei Cahiers, un profondo rinnovamento del cinema classico (chiamato sarcasticamente "cinema di papà"), ma aveva anche le idee ben chiare su come riuscirci.

Dare un giudizio sulla carriera registica di Godard è quanto mai difficile, essendo praticamente ogni pellicola un esperimento (spesso disastroso), ma la sua iniziale attività di critico dell'opera altrui, se rivista a posteriori, è rivelatrice dei fermenti "rivoluzionari" che già si agitavano in lui.

Nei riguardi del Kubrick acerbo ed incerto dei suoi primi film, il critico Godard non è stato tenero, nemmeno tenendo conto della giovane età dell'americano (Godard era anche più giovane, di oltre due anni!), ed è arrivato perfino a consigliargli di lasciare il cinema e tornare alla fotografia. Ma, dopo aver visto - e molto apprezzato - Lolita, Godard ha così corretto il tiro: "Kubrick non deve abbandonare il cinema, a condizione di filmare personaggi che esistono e non idee, che esistono soltanto nei cassetti dei vecchi sceneggiatori che credono che il cinema sia la settima arte."