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7 Marzo
2001: Odissea nello Spazio "In 1968 it was beyond the time. Now,
its time has come." Nell'anno definitivo e
nell'anniversario della morte di Stanley Kubrick,
torna nelle sale italiane il capolavoro assoluto
della storia del cinema, per la prima volta nello
splendore della pellicola 70 mm, in una copia
restaurata dal British Institute. Un viaggio nel
futuro, ormai presente, ma anche un ritorno al
passato.
Dopo la presentazione in Gran
Bretagna e la proiezione al Festival di Berlino
come evento di chiusura, arriva anche in Italia,
distibuito dall'Istituto Luce (che, unico, si è
accaparrato i diritti dalla Warner,
ridistributrice del film ora che la MGM non esiste
più) il cult movie di Stanley Kubrick, "2001:
Odissea nello Spazio", pietra miliare della storia
del cinema, opera di fantascienza filosofica che
ha chiuso un genere e aperto immensi orizzonti
alla conoscenza.
L'occasione è di quelle
che stringono il cuore perché la riedizione arriva
proprio nell'anno fatidico e nel giorno (7 marzo)
in cui due anni fa moriva il geniale cineasta.
Ulteriore motivo di interesse (se mai ci fosse
bisogno di un altro stimolo per gustarsi al cinema
questa esperienza totale) è la ristampa pel
positivo eseguita direttamente dal negativo
originale del 1968: il film era stato girato in
due differenti formati e la versione che il
British Institute ha restaurato deriva dalla copia
in Supercinerama 65 mm, producendo quindi
fotogrammi larghi 70 mm di avvolgenti
immagini. Unica pecca (ma non certo del film)
è che in Italia l'unico proiettore che supporta la
pellicola 70 mm si trova al Multiplex Arcadia a
Melzo, nella periferia di Milano. In tutta la
penisola il film sarà quindi distribuito in una
versione riadattata in 35 mm, perdendo purtroppo
molto in definizione dei particolari.
I
kubrickiani troveranno naturale arrivare fino a
Melzo, ma anche per tutti gli altri è una meta da
raggiungere in ogni modo (quasi un dovere
morale) anche perché è prevista la
partecipazione di Jan Harlan, genero di
Kubrick e produttore di tutti i suoi ultimi film,
che presenterà il documentario inedito da lui
realizzato "Stanley Kubrick: a life in
pictures", dopo la premiere di Berlino, che
raccoglie le testimonianze di numerosi
collaboratori e amici del regista e mostra
immagini mai viste e private del genio (già si
favoleggia sulla sequenza di Stanley bambino che
suona il pianoforte con la sorella), per sfatare
la leggenda del regista-tiranno, paranoico e
intrattabile.
Il film è esattamente come
lo aveva inteso Kubrick: il British Institute ha
restaurato il negativo originale del 1968 e ha
ricavato nuove copie in 70 mm, riscoprendone tutti
i minuziosi particolari delle immagini che avevano
fatto vincere al film un Oscar agli effetti
speciali e che restano tutt'oggi di una perfezione
insuperata e assolutamente sbalorditiva se si
pensa che sono stati realizzati senza l'ausilio di
computer ma solo tramite effetti ottici. In più,
il film è introdotto (per lo meno all'Arcadia e
per lo meno all'anteprima del 7 marzo lo è stato)
da 2 minuti e 49 secondi del brano "Atmospheres"
di Gyorgy Ligeti su schermo nero e mantiene la
scritta "intermission" (intervallo, ma anche in
mezzo alla missione...) tra il primo e secondo
tempo, accompagnata dalla "Gayane Ballet Suite" di
Aram Khachaturian esattamente come veniva
ascoltata (su indicazione di Kubrick) dal pubblico
nelle sale nel 1968 (moltiplicazione del tempo
passato nello spazio e creatrice di parallelismi
tra il pubblico e gli astronauti, dato che questo
brano commentava anche le scene di vita
all'interno della Discovery).
Un'operazione che non ha nulla a che fare
con le logiche di mercato (o ad essere leggermente
maliziosi, che nasconde alla perfezione i desideri
di profitti grazie alla particolare
combinazione astrale dell'anno in corso) ma
che diventa veramente filologica, un recupero e
una resurrezione dell'opera originale: l'audio ad
esempio è stato ripulito (e nelle scene dello
spazio si è davvero immersi nel vuoto anche
sonoro) ma non trasformato in digitale o
rimasterizzato; sono state invece mantenute le sei
piste magnetiche, con un suono stereofonico tutto
frontale, che spazia da destra a sinistra e che
deve aver fatto urlare di stupore gli spettatori
degli anni '60 per la novità dell'effetto.
Quindi, un viaggio nel futuro,
ormai presente, che è anche un ritorno al
passato e che (ri)porta la mente e i sensi
nei dintorni di Giove e oltre l'infinito.
Del valore artistico, filosofico e
cinematografico dell'opera non ne parlerò
assolutamente (soprattutto per questioni di
spazio) mentre meritano alcune considerazioni gli
aspetti puramente tecnici di questa copia
restaurata: la grandezza della pellicola consente
di osservare particolari infinitesimali (i peli
delle scimmie, gli steli della rara erba della
savana, le viti sulle astronavi, le istruzioni
della "Zero Gravity Toilet" ecc) e mostra quanto
abile sia stato Kubrick a confezionare un'opera di
perfezione assoluta con metodi (si può dire, anche
se aveva a disposizione un budget ragguardevole)
artigianali.
Allo stesso tempo, questa
pulizia e precisione delle immagini svela i
trucchi usati per simulare l'assenza di gravità
(come il vetro rotante a cui è stata incollata la
penna fluttuante del dottor Floyd, reso visibile
da alcuni granelli di polvere posatisi su di esso
e finiti quindi per ruotare innaturalmente nella
stessa direzione della penna, o anche da un paio
di riflessi della hostess in arrivo) o le persone
in movimento all'interno delle astronavi visibili
dalle finestre di quest'ultime (che oscillano e
rivelano di non essere altro che frammenti di
fotogrammi segmentati e incollati nelle cornici
delle finestre). Queste imperfezioni, rese
visibili dalla perfezione della copia, non
sminuiscono certo il valore del film (anche quello
più bassamente tecnico e ingegneristico) ma, anzi,
ce lo rendono più simpatico e meno freddo di come
alcuni lo hanno sempre visto, costringendoci poi
anche a tributare a Kubrick una notevole capacità
di ingegno creativo nel risolvere problemi, oltre
che una (ormai consueta) smisurata arte, nel senso
più vasto del termine.
Per quanto riguarda
l'audio, le sei piste stereo consentono di
posizionare esattamente ogni emissione sonora in
corrispondenza dell'immagine (che ne sarebbe la
sorgente); la cosa più affascinante è che ad ogni
stacco di montaggio e cambio di inquadratura la
posizione del suono si sposta seguendo i movimenti
delle sorgenti (e succede anche con le voci dei
personaggi, che invece in tutti i film restano
sempre centrali, non curanti dei percorsi che gli
attori compiono) posizionando prepotentemente lo
spettatore all'interno della scena filmata. Non
era per nulla casuale la tag-line originale "The
ultimate trip".
Un nuovo trailer presenta
il film, sostanzialmente un montaggio di alcune
delle più belle immagini al ritmo di "Also sprach
Zarathustra" di Richard Strauss, preceduto dalla
suggestiva frase "Nel 1968 aveva precorso i tempi.
Ora, il suo tempo è arrivato." Ed è di nuovo tempo
(presente, passato, futuro) di seguire
l'evoluzione umana stimolata dall'intelligenza
aliena, dagli stenti delle scimmie erbivore alle
glorie dell'intelletto umano (sempre sotto il
segno della violenza e della sopraffazione), di
prendere parte alla missione verso Giove e
assistere agli omicidi di HAL, fino a rinascere in
feti astrali, in un percorso di allontanamento e
ritorno alla Terra, una perfetta odissea come ci
hanno insegnato Omero e i miti greci.
E la
nuova locandina ci dice che Non ci sono stati
altri viaggi. Definitivo.
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