Il critico francese completa il suo percorso di analisi dei film di Kubrick con questo volume, pubblicato nel 2005 in Francia e da poco tradotto in Italia dalla Lindau.
Il titolo suggerisce l'impostazione critica del saggio: Chion ripercorre tutti i film del regista per rintracciare l'interesse di Kubrick a
tratteggiare "l'essere umano né più né meno", nella sua interezza, coi suoi limiti e i suoi pregi, le sue debolezze e i suoi fallimenti. Un'impostazione senza dubbio corretta, che mette in luce l'approccio molto teorico e cerebrale del cinema di Kubrick, e che risulta anche sufficientemente diversa da altre monografie kubrickiane.
Chion dimostra una
innegabile conoscenza del cinema di Stanley Kubrick e del cinema tout court, cosa che gli permette di analizzare ogni film ponendolo nel giusto contesto cinematografico mondiale e del corpus d'opere di Kubrick, in modo da mostrarne le peculiarità, l'importanza e il carattere distintivo. Ugualmente, si ritrovano in ogni capitolo connessioni del film in esame con altre opere di Kubrick, per illustrare temi comuni e ossessioni del regista, il tutto senza eccessive forzature da critico intellettuale (tranne nell'ultima parte del capitolo su
Eyes Wide Shut in cui, a mio avviso, Chion si lascia prendere un po' la mano con la teoria del figlio maschio preannunciato fin da
2001).
Nonostante queste buone premesse, il libro soffre di due difetti. Il primo è di ordine metodologico: il saggio è purtroppo solo un
enorme discorso puramente interpretativo. Chion racconta i film, spiega i temi sollevati dal regista, illustra "la filosofia" - per così dire - di Kubrick, senza mostrare come tali idee vengano veicolate filmicamente, se non in rari casi. La maggior parte dei film viene analizzata senza alcun riferimento alla messinscena, alle scelte di montaggio, di inquadratura, alla recitazione richiesta agli attori, insomma senza attenzione alla forma cinematografica. L'effetto negativo è duplice: come regola generale, omettendo riferimenti concreti a ciò che il film è e a
come è si rischia di arrivare a dire qualunque cosa, cioè in sostanza ad applicare all'opera le proprie idee senza "ascoltarla" veramente, o peggio di sovrainterpretare; in secondo luogo, questa mancanza è particolarmente pesante per un regista come Kubrick, che ha sempre dimostrato un costante entusiasmo per la forma, per i modi specificamente cinematografici di raccontare storie.
Fa eccezione il solo capitolo su
Eyes Wide Shut, il migliore del libro, che si preoccupa di illustrare in dettaglio le scelte di decoupage realizzate dal regista: pagine puntuali, precise e ricche di riflessioni che ne stimolano altre da parte del lettore. Ma è anche vero che questo capitolo è solo un aggiornamento della monografia pubblicata dal British Film Institute nel 2002.
Il secondo difetto è, per così dire, formale: arrivati alla fine del testo ci si accorge che l'autore ha trascurato il tema dell'umano da cui l'analisi era partita. Dopo aver illustrato l'interesse da umanista di Kubrick presente già in
Fear & Desire e averlo rintracciato anche nelle opere seguenti, una volta che la filmografia kubrickiana diventa più matura, da
Lolita in poi, Chion
perde di vista la tesi del suo libro e si limita a parlare sopra i vari film. Non basta un paragrafetto finale per riprendere questo filo (che voleva essere) rosso, ormai perduto da centinaia di pagine.
Non gioca a favore dell'uniformità neanche aver integrato nell'opera il precedente suo saggio su
2001: la parte dedicata a questo film è infatti la riproposizione integrale del volume
Un'Odissea del Cinema, pubblicato nel 2000 sempre dalla Lindau. Questo capitolo eredita dunque una struttura differente, perdendosi per di più in racconti sui fatti di produzione e sul contesto socio-culturale degli anni '60, temi superflui all'interno di questo libro. Privo anche delle piacevoli connessioni con le altre opere che punteggiavano gli altri capitoli, questa parte non si integra con il resto e stona notevolmente nell'insieme.
Il libro avrebbe guadagnato molto con un serio lavoro di editing: anche il capitolo su
Eyes Wide Shut appare, pur aggiornato rispetto alla monografia del 2002, privo di coesione perché contiene un lungo paragrafo sul mestiere del critico, monito che risulta decisamente fuori luogo dopo oltre 500 pagine. Si ha l'impressione che
Chion si sia limitato a prendere due suoi libri e ad aggiungerci altri capitoli, col pretesto di una cornice unitaria.
Non aiuta neppure un certo tono paternalistico dell'autore che finisce per infastidire il lettore, in particolare quando cerca di spiegare pedantemente come si dovrebbe guardare un film o, molto peggio, quando finge di dialogare con Kubrick dando suggerimenti di montaggio per
Shining, un film per cui l'autore non nasconde la sua scarsa considerazione, al pari di
Arancia Meccanica.
[Per soddisfare la curiosità: il difetto imputato a
Shining è una certa sovrabbondanza di elementi e l'aver fallito come opera horror capace di spaventare, mentre l'accusa per
Arancia Meccanica è quella di essere un film ormai ampiamente datato nel decor, nell'uso pop del colore e nei giochetti tipicamente anni '70 quali il ralenti, l'accelerazione, ecc. Critiche legittime s'intende: personalmente la penso diversamente ma è utile leggere anche opinioni opposte.]
Il merito più grande di Chion è aver posto l'accento sul
carattere "de-fusionale" dei film di Kubrick, ossia sulle scelte di messinscena che tradiscono la somma delle parti di cui è composto il film: le musiche, la recitazione, le inquadrature, il sonoro e ogni altro elemento della grammatica cinematografica viene aggiunto da Kubrick per accumulo, senza una fusione completa e perfetta. Lo spettatore è sempre cosciente del meccanismo registico grazie a questa sorta di scarti tra i vari ingredienti, che ne valorizzano l'importanza e aiutano la visione critica. Per questa idea però sarebbe stato sufficiente un saggio breve e la pesantezza (anche fisica) del volume non ha una effettiva controparte di soddisfazione per il lettore.
A margine della recensione, non riesco a trattenermi dal far notare la
veste grafica imbarazzante: d'altra parte un libro è anche un oggetto e come tale subisce l'applicazione dei criteri di piacevolezza estetica. La Lindau ha prodotto un volume inutilmente pesante, tozzo, con una copertina graficamente sciatta. L'impaginazione uniforme e piatta non aiuta la comprensione del testo rendendo i paragrafi confusi: leggere 600 pagine tutte uguali non è una passeggiata. Inoltre i fotogrammi stampati alla fine di ogni capitolo sono, causa collocazione, pressoché inutili perchè mai richiamati dal testo e lontani da esso: meglio sarebbe stato disseminarli tra le varie pagine (come era ad esempio nella monografia su
EWS del BFI). Come non bastasse, le riproduzioni sono di pessima qualità (colore troppo saturo, "squadrettature" digitali), in formato non sempre corretto e in alcuni casi con incongrui sottotitoli francesi.
Etichette: Recensioni