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01 gennaio 2010

Napoleon: recensione parte 7

La sceneggiatura del Napoleon prende un intero libro dei dieci incastonati nel libro-cassaforte in modo che sia riprodotta in fac-simile della copia personale di Kubrick conservata al Kubrick Archive di Londra.

Dal punto di vista del contenuto, si tratta dello script che era stato diffuso inspiegabilmente su Internet nel 2000 (e fatto togliere da ArchivioKubrick nientemeno che dallo studio legale di Kubrick, caso unico in Italia – punto d'onore sul mio medagliere). L'unica differenza che ho rilevato con la copia ribattuta e messa online è un cartello iniziale con cui Kubrick si premura di far presente ai finanziatori che il film non verrebbe fuori così lungo come potrebbero pensare sfogliando le pagine: "Due to the large type face used for this script, there is an average of 41 lines to the page instead of the standard 52 lines. For any production timing purpose, it should be noted that the present total of 186 pages would be 148 pages in normal script format." Mi fa sempre ridere vedere Kubrick che tratta i dirigenti delle major come bambini.

Lo script porta in copertina la data del 29 settembre 1969, ma la maggior parte delle pagine è datata 25 settembre. Contrariamente a quanto avevo sempre pensato, questa sceneggiatura non è stata consegnata alla MGM, che aveva chiuso il progetto nel gennaio 1969, ma alla United Artists, che aveva preso in carico la produzione qualche settimana dopo. A questa sceneggiatura Kubrick aveva comunque allegato le production notes scritte per la MGM nel novembre 1968 con l'analisi dei costi del progetto.

Rispetto al trattamento del 1968, questa sceneggiatura ha perso il folgorante inizio in favore di una partenza meno epica, con Napoleone che ascolta una favola cullato dalla madre Letizia, stringendo un orsacchiotto di peluche. Le scene successive che seguono Napoleone lungo l'infanzia e l'adolescenza nella scuola militare – un ragazzo solitario, preso in giro dai compagni – suonano un po' goffe, segno che Kubrick non aveva ancora risolto il problema della partenza del film, anche qui ridotta a una serie di frettolose cartoline.

Purtroppo la fretta prosegue anche in seguito: se il trattamento aveva il lusso di poter contare sul fraseggio per restituire sensazioni e ritmi, qui la logica della messinscena numerata e delle battute di dialogo obbliga Kubrick a un passo a tratti sbrigativo. Quasi tutta la passione che trapelava dalle pagine del trattamento sembra in effetti evaporata.

Inoltre, le scene che Kubrick ha inventato per drammatizzare i concetti annotati nel trattamento non sono sempre ben pensate e rischiano di sembrare metafore un po' grossolane, come l'episodio del vecchietto russo incartapecorito che non soccombe ai colpi di baionetta francese nel contesto di una Mosca ridotta a una città fantasma.

Considerando l'andamento dello script nel suo complesso si individuano ulteriori difetti. Nella prima parte il narratore funziona quasi sempre come mera descrizione di quello che la scena presenta: forse Kubrick stava inseguendo un effetto simile a quello ottenuto poi in Barry Lyndon con la voce narrante che anticipa, commenta e sottolinea solo quello che si vede in scena, causando un raffreddamento della storia?

Più avanti la voce narrante sembra perfino arrancare dietro al passo spedito degli eventi, quando tenta di fornire raccordi tra le varie scene. Ancor meno efficacemente, le tocca dar conto dei punti decisivi della trama, arrivando ad esempio a spiegare l'esito di una battaglia quando le scene ne descrivono solo l'inizio e le mappe animate illustrano la strategia che muove gli eserciti.

Le uniche scene veramente buone sono quelle relative alla Campagna di Russia: iniziando con l'intelligente confronto tra lo Zar Alessandro e l'ambasciatore Coulaincourt per proseguire con i dialoghi tra lo Zar stesso e il suo Generale Kutusov e concludere con la descrizione della Grande Armée prigioniera delle steppe, in questa lunga macro-sequenza gli eventi sono tratteggiati con attenzione e i dialoghi risultano psicologicamente soddisfacenti. Ma è un unicum, e lo script torna subito a enumerare scene brevissime, che paiono ancora di raccordo invece che di sostanza. Riecco il narratore che si affretta a spiegare cosa succede.

Anche a voler considerare la "teoria delle non-submersible units" che aveva fatto faville in 2001: Odissea nello Spazio (creare una storia da quattro o cinque momenti decisivi, lasciando allo spettatore il compito di collegarli), questa sceneggiatura ha il difetto di voler presentare troppi eventi in poco tempo, riducendo ciascuno di essi a un rapidissimo flash. Non siamo di fronte a qualche "unità non affondabile" ma a troppi micro-elementi che galleggiano uno addosso all'altro.

A lungo andare, si ha la sempre più netta impressione che quel che si vedrebbe sullo schermo se si volesse girare questa sceneggiatura sarebbe solo un estratto di quel che servirebbe per ottenere un buon film. Se Jan Harlan riuscirà veramente a realizzare questo script mi auguro che il regista di turno, sia egli Steven Spielberg, Ridley Scott o Ang Lee, abbia quel tanto di giudizio che serve per evitare uno scempio – ossia tirarsene fuori o rifare tutto da capo. Ecco un caso in cui non invocherei affatto la fedeltà a Kubrick. Invoco piuttosto la rinuncia o, più realisticamente, la diserzione.

Per chiudere con toni meno foschi, tra le connessioni simpatiche che nascono leggendo la sceneggiatura ci sono l'incontro tra Josephine e Napoleone al tavolo da gioco, ripreso e replicato in Barry Lyndon, una descrizione dell'orgia con una certa somiglianza con Eyes Wide Shut e soprattutto un discorso dell'Imperatore ai suoi commensali in cui si ritrovano, quasi parola per parola, le idee che Kubrick esprimerà di lì a due anni durante le interviste per Arancia Meccanica:
The revolution failed because the foundation of its political philosophy was in error. Its central dogma was the transference of original sin from man to society. It had the rosy vision that by nature man is good, and that he is only corrupted by an incorrectly organized society. Destroy the offending social institutions, tinker with the machine a bit, and you have Utopia – presto! – natural man back in all his goodness. It's a very attractive idea but it simply isn't true. They had the whole thing backwards. Society is corrupt because man is corrupt – because he is weak, selfish, hypocritical and greedy. And he is not made this way by society, he is born this way – you can see it even in the youngest children. It's no good trying to build a better society on false assumptions – authority's main job is to keep man from being at his worst and, thus, make life tolerable, for the greater number of people.
Ecco per esempio cosa aveva detto Kubrick a Bernard Wienraub del New York Times: "Una delle fallacità più pericolose che ha influenzato molti ragionamenti politici e filosofici è che l'uomo sia essenzialmente buono e che sia la società a renderlo cattivo. Rousseau ha trasferito il peccato originale dall'uomo alla società e questa visione ha contribuito in modo rilevante a quella che io ritengo sia una premessa incorretta su cui basare una filosofia politica e morale." Sorprendente, no?

Concludo con una recensione della sceneggiatura da parte del Guardian, del tutto condivisibile.

Draft excluder: Napoleon - the greatest movie never made?, Phil Hoad, The Guardian, 09.12.2009

Le altre recensioni:
  • Impressioni iniziali: spacchettando i libri.
  • Prima parte: i tre libri più piccoli.
  • Seconda parte: sei saggi del libro Text.
  • Terza parte: i dialoghi tra Kubrick e Markham.
  • Quarta parte: corrispondenza, appunti e cronologia.
  • Quinta parte: iconografia e piano di produzione.
  • Sesta parte: il trattamento del 1968.
  • Ottava parte: ultimi due saggi di Text.
  • Conclusione: recensione finale sull'intero libro.



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