Napoleon: recensione finale
Eccoci arrivati al commento e al giudizio conclusivo sullo Stanley Kubrick's Napoleon, l'enorme volume pubblicato dalla Taschen a fine 2009 in edizione limitata di 1000 esemplari numerati. Compito non facile, vuoi per la mole della pubblicazione (dieci libri), vuoi per la vastità dell'argomento (raccontare un progetto monstre a cui Kubrick ha pensato praticamente per tutta la vita senza mai abbandonarlo).
Queste premesse avrebbero potuto generare mille libri diversi e tocca oggi confrontarsi con l'unico libro che vedrà mai la luce, partorito dalla mente di Jan Harlan (produttore esecutivo degli ultimi film di Kubrick), Alison Castle (editor di cinema della Taschen, già autrice dello Stanley Kubrick Archives), e lo studio francese M/M (responsabili della veste estetica/organizzativa).
Tenterò di suddividere per argomento questa recensione finale, in modo da dare un giudizio il più possibile completo e limitare la parzialità che l'entusiasmo o la frustrazione possono causare.
Il materiale d'archivio
Era naturale gioire di fronte alla pubblicazione di un libro che attingesse agli archivi di Kubrick, cioè che rendesse pubblico il materiale di lavorazione, le ricerche, le idee, gli appunti del regista che testimoniano i suoi sforzi per mettere in moto la macchina produttiva e riuscire un giorno a portare nelle sale cinematografiche il suo Napoleon.
Un paio di visite al Kubrick Archive di Londra e la pubblicazione dei precedenti The Stanley Kubrick Archives della Taschen e il catalogo della mostra itinerante avevano reso evidente quanto splendida fosse l'opportunità di dare uno sguardo al laboratorio Kubrick. Non serve sottolineare ulteriormente la gioia di poter leggere, sfogliare e vedere quel che Kubrick stava preparando.
Il materiale è estremamente valido anche da un punto di vista pratico, perché permette di arricchire le (poche) informazioni di cui disponevamo sul progetto. Ad esempio, non avevo realizzato che il lavoro di Kubrick fosse iniziato già nel luglio 1967 e che alla seconda metà del 1968 il regista avesse prodotto una mole smisurata di appunti, bozze e studi, senza essersi preso nemmeno un attimo di respiro dopo il tour de force di 2001: Odissea nello Spazio.
Sono riuscito anche ad ampliare un po' la cronologia degli anni 1967-1974 grazie ai documenti inclusi nei dieci libri. Ad esempio, avevo sempre dato per scontato che Waterloo avesse compromesso il progetto per la MGM, invece era stata la United Artists a tirarsene fuori dopo il flop targato Bondarciuck-DeLaurentiis. Ugualmente, si scopre che la MGM aveva ricevuto solo il trattamento, mentre la sceneggiatura era stata inviata alla United Artists. Altra cosa divertente: il carteggio di Kubrick con lo storico Markham fa sembrare Arancia Meccanica un passatempo e un diversivo per distrarsi dall'intoppo con le due major – un film che mai avremmo definito un "Piano B".
L'accesso ai pensieri di Kubrick che questo libro consente è oggettivamente impagabile.
Selezione e organizzazione del materiale
Qui però finiscono i pregi e iniziano i difetti. Alison Castle, responsabile della selezione del materiale, non ha sufficiente competenza in materia per comprendere, tra le migliaia di documenti presenti nell'archivio, cosa sia utile a ricostruire il progetto e cosa sia marginale.
Per illustrare l'insipienza della sua selezione avevo portato come esempio la messa online dell'archivio iconografico accumulato da Kubrick: 17.000 fotografie che testimoniano solo la meticolosità del regista, non certo la direzione che il Napoleon doveva prendere. Anche solo mettere online le fotografie ai costumi sarebbe stata una scelta migliore, per non parlare di fotografare tutte le note a margine, tutti gli appunti, tutte le lettere di Kubrick: sono riprodotti solo pochissimi esemplari e qualche dozzina è stata trascritta nel libro Text. Incredibilmente, più il materiale è prezioso più la Castle lo ignora – e viceversa: un numero consistente di pagine vanno via per la riproduzione della corrispondenza relativa alla ferratura anti-gelo dei cavalli, argomento francamente inutile. Evidentemente le serviva un buon gancio per far abboccare il pubblico e in questo la Castle è maestra. Dovrebbe dirigere una rivista di gossip.
Per assurdo, sono più illuminanti le semplici testimonianze dei diversi personaggi coinvolti a vario titolo nel progetto che le loro biografie avevano raccolto negli anni passati: Jack Nicholson, Riccardo Aragno, Bob Gaffney, Anthony Burgess, ecc. Si impara di più sul Napoleon da loro che da questo librone.
Ancora peggio (se possibile), la Castle non è in grado di ordinare quel che ha selezionato né secondo un ordine di produzione cinematografica né seguendo un banale criterio cronologico (il rifugio di tutti i pavidi dell'organizzazione). Preferisce suddividere tematicamente – un libro alle foto delle location, un libro alle note scritte a mano, un libro alle lettere inviate ai collaboratori e così via – col risultato di sparpagliare tutto e impedire una vera comprensione del progetto.
Inoltre (ancora? Sì, ancora) lo sparpagliamento è anche difforme: perché alcune note di Kubrick e lettere ai collaboratori e dai collaboratori sono state trascritte e nascoste dentro il libro Text quando altre note e altre lettere, del tutto simili, sono state fotografate e messe dentro Notes e Correspondence? Ancora peggio quando la dislocazione fa perdere l'immediatezza della lavorazione sul film, come succede con una lettera di Kubrick a David Walker, designer dei costumi, per chiedergli di non disegnare le donne troppo grasse altrimenti non sarebbe riuscito a immaginarsi nessuna attrice dentro tali costumi: questa lettera si trova nella selezione di appunti trascritti dentro Text invece che nel libro con le foto ai costumi nonostante questo riporti comunque una serie di note scritte a mano da Kubrick. E anche: una bozza per il risparmio del budget sui costumi si trova nel libro Costumes nonostante faccia parte delle bozze del piano di produzione, tutte contenute in Production. Si potrebbe continuare.
Non ho capito se la Castle non abbia proprio pensato a come spiegare il progetto o se invece la sua idea di far chiarezza consista nei quattro o cinque ritagli di giornale che si trovano alla fine del libro Production e che testimoniano il passaggio del Napoleon dalla MGM alla United Artists. Per non parlare dell'altro madornale errore, quello di non considerare nulla post-1974 come se il Napoleon si fosse arenato lì quando invece Kubrick ha tentato più volte di proporlo alla Warner Bros. in varie forme, perfino come uno sceneggiato televisivo a puntate.
Insomma, lo Stanley Kubrick's Napoleon, lungi dall'essere "the greatest book ever made about the greatest movie never made" (quanta tracotanza) è uno sforzo sulla carta titanico ma in concreto sbrigativo e raffazzonato per indagare un progetto che resta dunque inconoscibile.
Quello che manca a questo libro è una guida consapevole – una regia se vogliamo: buttarci addosso 2000 pagine di roba non ci ha minimamente aiutato. Tanto valeva comprarsi un biglietto per Londra e passare una settimana al Kubrick Archive – costava pure meno.
Estetica
La scelta dei designer francesi (facciamo i nomi: Mathias Augustyniak) di suddividere il materiale in dieci libri diversi e rinchiuderli in un massiccio fac-simile del Napoléon di Raymond Guyot pubblicato a Parigi nel 1921 è la causa principe dei problemi di questo libro. Si tratta di un espediente a effetto, che rende l'operazione un ottimo prodotto acchiappa-media in grado di produrre (e l'abbiamo visto) articoli su articoli. E' la trasformazione del libro in gadget, che manda in tilt il meccanismo promozionale garantendo visibilità ma che al contempo ostacola la fruizione e soprattutto contraddice la missione e la ragion d'essere di ogni libro: essere letto, compreso, ponderato, utilizzato per ricerca, sfogliato per piacere, tenuto in mano. E' impossibile fare tutto ciò con questo Napoleon.
Non sono poi riuscito a comprendere (e mi ci sono sforzato) perché i dieci libri siano tutti differenti per qualità della carta, rilegatura, copertina, font del testo. Vale anche per i libri di uguali dimensioni come Text e Production, il primo rilegato in brossura con copertina rigida di stoffa, il secondo a caldo con copertina morbida di cartoncino. A guardare tutti i dieci libri insieme pare di osservare un campionario di rilegature di una copisteria.
Parlando delle scelte di impaginazione, se ha un senso aver fatto fotografie anche al retro delle pagine dei raccoglitori ad anelli per dare l'impressione di sfogliare il vero materiale d'archivio, molto meno senso ha aver ripetuto questa pratica per i fogli dattiloscritti, sul cui retro non c'è scritto niente e che erano conservati sciolti: metà pagine sprecate per vedere cosa? Il pennarello di Kubrick che si legge in trasparenza al contrario?
Prezzo
OK l'edizione limitata, OK l'accesso al materiale, OK tutto quanto, e prescindiamo anche dalle valutazioni di gusto – che se non fossero troppo personali classificherebbero il libro come una tozza pacchianeria da buzzurri – ma 500 Euro erano e restano un prezzo di per sé esorbitante, e assurdo se contestualizzato: un libro made in China con tre libretti spillati come le dispense universitarie.
Conclusione
I meriti del libro derivano tutti dal materiale e quindi logica vuole che qualsiasi libro avesse attinto dal Kubrick Archive avrebbe avuto lo stesso merito. L'apporto della Castle e dei designer della M/M ha operato esclusivamente al ribasso.
Considerati i soldi che mi hanno fatto spendere, il numero di pagine non sfruttate, la disorganizzazione e soprattutto la cura, la passione e il tempo spesi strenuamente da Kubrick per forgiare il suo più grande film, qui sostanzialmente non valorizzati, avverto una netta sensazione di doloroso e incommensurabile spreco.
Le altre recensioni:
Impressioni iniziali: spacchettando i libri. Prima parte: i tre libri più piccoli. Seconda parte: sei saggi del libro Text. Terza parte: i dialoghi tra Kubrick e Markham. Quarta parte: corrispondenza, appunti e cronologia. Quinta parte: iconografia e piano di produzione. Sesta parte: il trattamento del 1968. Settima parte: lo script del 1969. Ottava parte: ultimi due saggi di Text.
Queste premesse avrebbero potuto generare mille libri diversi e tocca oggi confrontarsi con l'unico libro che vedrà mai la luce, partorito dalla mente di Jan Harlan (produttore esecutivo degli ultimi film di Kubrick), Alison Castle (editor di cinema della Taschen, già autrice dello Stanley Kubrick Archives), e lo studio francese M/M (responsabili della veste estetica/organizzativa).
Tenterò di suddividere per argomento questa recensione finale, in modo da dare un giudizio il più possibile completo e limitare la parzialità che l'entusiasmo o la frustrazione possono causare.
Il materiale d'archivio
Era naturale gioire di fronte alla pubblicazione di un libro che attingesse agli archivi di Kubrick, cioè che rendesse pubblico il materiale di lavorazione, le ricerche, le idee, gli appunti del regista che testimoniano i suoi sforzi per mettere in moto la macchina produttiva e riuscire un giorno a portare nelle sale cinematografiche il suo Napoleon.
Un paio di visite al Kubrick Archive di Londra e la pubblicazione dei precedenti The Stanley Kubrick Archives della Taschen e il catalogo della mostra itinerante avevano reso evidente quanto splendida fosse l'opportunità di dare uno sguardo al laboratorio Kubrick. Non serve sottolineare ulteriormente la gioia di poter leggere, sfogliare e vedere quel che Kubrick stava preparando.
Il materiale è estremamente valido anche da un punto di vista pratico, perché permette di arricchire le (poche) informazioni di cui disponevamo sul progetto. Ad esempio, non avevo realizzato che il lavoro di Kubrick fosse iniziato già nel luglio 1967 e che alla seconda metà del 1968 il regista avesse prodotto una mole smisurata di appunti, bozze e studi, senza essersi preso nemmeno un attimo di respiro dopo il tour de force di 2001: Odissea nello Spazio.
Sono riuscito anche ad ampliare un po' la cronologia degli anni 1967-1974 grazie ai documenti inclusi nei dieci libri. Ad esempio, avevo sempre dato per scontato che Waterloo avesse compromesso il progetto per la MGM, invece era stata la United Artists a tirarsene fuori dopo il flop targato Bondarciuck-DeLaurentiis. Ugualmente, si scopre che la MGM aveva ricevuto solo il trattamento, mentre la sceneggiatura era stata inviata alla United Artists. Altra cosa divertente: il carteggio di Kubrick con lo storico Markham fa sembrare Arancia Meccanica un passatempo e un diversivo per distrarsi dall'intoppo con le due major – un film che mai avremmo definito un "Piano B".
L'accesso ai pensieri di Kubrick che questo libro consente è oggettivamente impagabile.
Selezione e organizzazione del materiale
Qui però finiscono i pregi e iniziano i difetti. Alison Castle, responsabile della selezione del materiale, non ha sufficiente competenza in materia per comprendere, tra le migliaia di documenti presenti nell'archivio, cosa sia utile a ricostruire il progetto e cosa sia marginale.
Per illustrare l'insipienza della sua selezione avevo portato come esempio la messa online dell'archivio iconografico accumulato da Kubrick: 17.000 fotografie che testimoniano solo la meticolosità del regista, non certo la direzione che il Napoleon doveva prendere. Anche solo mettere online le fotografie ai costumi sarebbe stata una scelta migliore, per non parlare di fotografare tutte le note a margine, tutti gli appunti, tutte le lettere di Kubrick: sono riprodotti solo pochissimi esemplari e qualche dozzina è stata trascritta nel libro Text. Incredibilmente, più il materiale è prezioso più la Castle lo ignora – e viceversa: un numero consistente di pagine vanno via per la riproduzione della corrispondenza relativa alla ferratura anti-gelo dei cavalli, argomento francamente inutile. Evidentemente le serviva un buon gancio per far abboccare il pubblico e in questo la Castle è maestra. Dovrebbe dirigere una rivista di gossip.
Per assurdo, sono più illuminanti le semplici testimonianze dei diversi personaggi coinvolti a vario titolo nel progetto che le loro biografie avevano raccolto negli anni passati: Jack Nicholson, Riccardo Aragno, Bob Gaffney, Anthony Burgess, ecc. Si impara di più sul Napoleon da loro che da questo librone.
Ancora peggio (se possibile), la Castle non è in grado di ordinare quel che ha selezionato né secondo un ordine di produzione cinematografica né seguendo un banale criterio cronologico (il rifugio di tutti i pavidi dell'organizzazione). Preferisce suddividere tematicamente – un libro alle foto delle location, un libro alle note scritte a mano, un libro alle lettere inviate ai collaboratori e così via – col risultato di sparpagliare tutto e impedire una vera comprensione del progetto.
Inoltre (ancora? Sì, ancora) lo sparpagliamento è anche difforme: perché alcune note di Kubrick e lettere ai collaboratori e dai collaboratori sono state trascritte e nascoste dentro il libro Text quando altre note e altre lettere, del tutto simili, sono state fotografate e messe dentro Notes e Correspondence? Ancora peggio quando la dislocazione fa perdere l'immediatezza della lavorazione sul film, come succede con una lettera di Kubrick a David Walker, designer dei costumi, per chiedergli di non disegnare le donne troppo grasse altrimenti non sarebbe riuscito a immaginarsi nessuna attrice dentro tali costumi: questa lettera si trova nella selezione di appunti trascritti dentro Text invece che nel libro con le foto ai costumi nonostante questo riporti comunque una serie di note scritte a mano da Kubrick. E anche: una bozza per il risparmio del budget sui costumi si trova nel libro Costumes nonostante faccia parte delle bozze del piano di produzione, tutte contenute in Production. Si potrebbe continuare.
Non ho capito se la Castle non abbia proprio pensato a come spiegare il progetto o se invece la sua idea di far chiarezza consista nei quattro o cinque ritagli di giornale che si trovano alla fine del libro Production e che testimoniano il passaggio del Napoleon dalla MGM alla United Artists. Per non parlare dell'altro madornale errore, quello di non considerare nulla post-1974 come se il Napoleon si fosse arenato lì quando invece Kubrick ha tentato più volte di proporlo alla Warner Bros. in varie forme, perfino come uno sceneggiato televisivo a puntate.
Insomma, lo Stanley Kubrick's Napoleon, lungi dall'essere "the greatest book ever made about the greatest movie never made" (quanta tracotanza) è uno sforzo sulla carta titanico ma in concreto sbrigativo e raffazzonato per indagare un progetto che resta dunque inconoscibile.
Quello che manca a questo libro è una guida consapevole – una regia se vogliamo: buttarci addosso 2000 pagine di roba non ci ha minimamente aiutato. Tanto valeva comprarsi un biglietto per Londra e passare una settimana al Kubrick Archive – costava pure meno.
Estetica
La scelta dei designer francesi (facciamo i nomi: Mathias Augustyniak) di suddividere il materiale in dieci libri diversi e rinchiuderli in un massiccio fac-simile del Napoléon di Raymond Guyot pubblicato a Parigi nel 1921 è la causa principe dei problemi di questo libro. Si tratta di un espediente a effetto, che rende l'operazione un ottimo prodotto acchiappa-media in grado di produrre (e l'abbiamo visto) articoli su articoli. E' la trasformazione del libro in gadget, che manda in tilt il meccanismo promozionale garantendo visibilità ma che al contempo ostacola la fruizione e soprattutto contraddice la missione e la ragion d'essere di ogni libro: essere letto, compreso, ponderato, utilizzato per ricerca, sfogliato per piacere, tenuto in mano. E' impossibile fare tutto ciò con questo Napoleon.
Non sono poi riuscito a comprendere (e mi ci sono sforzato) perché i dieci libri siano tutti differenti per qualità della carta, rilegatura, copertina, font del testo. Vale anche per i libri di uguali dimensioni come Text e Production, il primo rilegato in brossura con copertina rigida di stoffa, il secondo a caldo con copertina morbida di cartoncino. A guardare tutti i dieci libri insieme pare di osservare un campionario di rilegature di una copisteria.
Parlando delle scelte di impaginazione, se ha un senso aver fatto fotografie anche al retro delle pagine dei raccoglitori ad anelli per dare l'impressione di sfogliare il vero materiale d'archivio, molto meno senso ha aver ripetuto questa pratica per i fogli dattiloscritti, sul cui retro non c'è scritto niente e che erano conservati sciolti: metà pagine sprecate per vedere cosa? Il pennarello di Kubrick che si legge in trasparenza al contrario?
Prezzo
OK l'edizione limitata, OK l'accesso al materiale, OK tutto quanto, e prescindiamo anche dalle valutazioni di gusto – che se non fossero troppo personali classificherebbero il libro come una tozza pacchianeria da buzzurri – ma 500 Euro erano e restano un prezzo di per sé esorbitante, e assurdo se contestualizzato: un libro made in China con tre libretti spillati come le dispense universitarie.
Conclusione
I meriti del libro derivano tutti dal materiale e quindi logica vuole che qualsiasi libro avesse attinto dal Kubrick Archive avrebbe avuto lo stesso merito. L'apporto della Castle e dei designer della M/M ha operato esclusivamente al ribasso.
Considerati i soldi che mi hanno fatto spendere, il numero di pagine non sfruttate, la disorganizzazione e soprattutto la cura, la passione e il tempo spesi strenuamente da Kubrick per forgiare il suo più grande film, qui sostanzialmente non valorizzati, avverto una netta sensazione di doloroso e incommensurabile spreco.
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