Stanley Kubrick's Shining
Monografia dedicata al film horror di Stanley Kubrick, nella collana Falsopiano Light che già aveva ospitato il fondamentale saggio su Eyes Wide Shut. Questo lavoro, al contrario della perspicace analisi di Simone Ciaruffoli, è un ottimo esempio di "sovrainterpretazione" e tradisce fin troppo chiaramente la sua natura da tesi di laurea.
Marco Carosso esegue una puntigliosa analisi di Shining caricando il più minuscolo dettaglio di un valore che difficilmente appare giustificato. L'autore, impegnato per pagine e pagine a descrivere minuziosamente sequenze del film, finisce anche per dimenticare lo scopo che anima la sua ricerca: in più di un'occasione infatti ci si accorge che ciò che è annunciato da Carosso come la tesi da dimostrare viene presto abbandonato in favore di esasperanti elenchi di dettagli, calcoli della durata delle sequenze, numero di fotogrammi, movimenti di macchina ecc.
Più che ad un'analisi delle scelte registiche di Kubrick, l'autore sembra interessato ad utilizzare Shining per illustrare una serie di concetti appresi dai libri di critica cinematografica, limitando l'apporto originale e personale a un paio di intuizioni sulla geometria degli ambienti. La scrittura è poi estremamente faticosa, imbevuta di termini tecnici che lungi dall'aumentare la precisione espositiva contribuiscono solo all'oscurità del testo.
Questa foga sovra-interpretativa condotta a colpi di citazioni da manuali di cinema fa commettere all'autore anche qualche passo falso: descrivendo l'inserto dell'urlo di Danny a inizio film come un'inquadratura fuori contesto e piegando l'estraneità di tale immagine alla sua teoria, Carosso non si accorge che questo inserto è solo una premonizione del futuro del bambino, quando si troverà ad urlare in quel modo nel mobile della cucina alla fine del film. Inoltre, anche lui cade nell'abitudine di indicare l'ombra dell'elicottero visibile nella sequenza iniziale come portatrice di senso, quando ormai è appurato che si tratta di un normale imperfezione di montaggio (l'ombra non è visibile al cinema e l'assistente montatore Gordon Stainforth ha confermato che non era presente nel primo montaggio ed è comparsa a seguito di piccoli spostamenti dei tagli volti a migliorare il ritmo della sequenza).
In conclusione, Carosso tenta affannosamente di rintracciare attraverso una lettura completamente astratta del film, lontana anni luce anche dalla più attenta visione cinematografica, quello che qualunque spettatore capisce da solo, ossia che il film si basa su un meccanismo di spiazzamento e di disattesa delle aspettative, giocando su una messincena rigorosa messa costantemente in crisi dal regista.
Marco Carosso risponde
Gentile Filippo Ulivieri,
dopo aver letto la sua recensione del libro Stanley Kubrick's Shining, le scrivo una breve nota relativa ai presunti "passi falsi" imputati all'autore.
- riguardo alla "svista" inerente il valore premonitorio dell'inserto dell'urlo di Danny a inizio film, le segnalo che alla questione viene dedicata una specifica nota (nota 14 a p. 171 - il testo della nota è a p. 188). Aggiungo inoltre che questo valore premonitorio non può che venire inteso come tale dallo spettatore solo verso la conclusione della storia, caricando il piano di un valore deliberatamente ambiguo per la quasi totale durata del film.
- riguardo alla comparsa dell'ombra dell'elicottero (nota 16 a p. 83, il testo della nota è a p. 116) nella sequenza di apertura del film: su http://www.visual-memory.co.uk/faq/index.html (ove le dichiarazioni di Stainforth vengono riportate per esteso), la questione viene dibattuta in modo "aperto" e - necessariamente - ironico; sia per quanto riguarda la più o meno ricorrente visibilità dell'ombra in sala ("Mark Ervin noticed the shadow on The Shining's third showing at Mann's Chinese Theater May 23, 1980 and he has never failed to see it since"), che per le interpretazioni a cui può essere sottoposta. Lo stesso Stainforth dichiara in chiusura alle sue dichiarazioni: "IF the helicopter shadow was fleetingly visible, either Stanley did not notice it, or it was so trivial that it did not bother him" e, successivamente, "Incidentally (or not so incidentally!), Stanley was NOT at all bothered by the vague shadow of the rotors at the top of the frame." Alle sue (di Stainforth) dichiarazioni seguono, inoltre, alcune riflessioni (sempre attinenti la questione dell'ombra) degli autori della risposta alla FAQ, afferenti i potenziali rapporti tra le teorie Brechtiane ("alienation effect") e la messinscena kubrickiana (vengono citati come esempio Lolita e Full Metal Jacket) che - mantenendo un doveroso margine di incertezza nei confronti della questione - concludono in questi termini: "So it seems fair to say that a Brechtian sensibility is detectable in Kubrick's filmmaking, and furthermore not outrageous to suggest that, if he had seen the shadow, he might have left the it in. This is not to say he DELIBERATELY CONTRIVED the helicopter shadow to be there: just that he wasn't concerned enough about concealing the artifice in his art to reject such an amazing shot. I think the bottom line of this whole debate is that it says more about Kubrick fans than Kubrick himself. The myth about his absolute perfectionism is pervasive, but like every myth about Kubrick, it can't ever be the whole truth."
Ora, indipendentemente dagli accadimenti che hanno preceduto il montaggio definitivo stabilito da Kubrick (che sono convinto non avesse prestabilito la comparsa dell'ombra, tanto quanto credo che difficilmente possa averla ignorata, nel momento in cui incidentalmente si è presentata), per quanto riguarda il testo della mia nota, ho rilevato due qualità intrinseche alla presenza dell'ombra stessa (l'implicito rimando a un'entità narrante e la sua natura extradiegetica) sottolineando una coincidenza significativa, ovvero che la sua comparsa convergesse con l'avvento - nella stessa inquadratura - di un seconda entità extradiegetica: i titoli di testa (con tutta la complessità semantica di cui essi, a mio parere, sono portatori). Tutto questo in un brano del libro dedicato ai titoli di testa e non certo incentrato sull'inflazionata questione dell'elicottero.
Come credo emerga chiaramente, desidero limitarmi ai fatti, senza permettermi alcun commento o considerazione in merito alle questioni da lei indotte in relazione ai "passi falsi" a me imputati o alla natura "astratta" da lei attribuita alla mia lettura (la mia intenzione non è certo quella di far cambiare parere al recensore riguardo al libro). Ci tengo a sottolineare - se non dovesse risultare evidente - che non sono mosso da alcuna velleità polemica, ma da un semplice principio di esatta o corretta informazione. Non mi permetterei di contestare qualsiasi libera critica negativa dovesse venire al mio saggio, che ritengo debba, in questi casi, difendersi da sé.
Approfitto inoltre dell'occasione per confermare il mio apprezzamento verso ArchivioKubrick per il suo evidente potenziale - soprattutto nell'ambito della ricerca su Kubrick.
Un cordiale saluto,
Marco Carosso
Marco Carosso esegue una puntigliosa analisi di Shining caricando il più minuscolo dettaglio di un valore che difficilmente appare giustificato. L'autore, impegnato per pagine e pagine a descrivere minuziosamente sequenze del film, finisce anche per dimenticare lo scopo che anima la sua ricerca: in più di un'occasione infatti ci si accorge che ciò che è annunciato da Carosso come la tesi da dimostrare viene presto abbandonato in favore di esasperanti elenchi di dettagli, calcoli della durata delle sequenze, numero di fotogrammi, movimenti di macchina ecc.
Più che ad un'analisi delle scelte registiche di Kubrick, l'autore sembra interessato ad utilizzare Shining per illustrare una serie di concetti appresi dai libri di critica cinematografica, limitando l'apporto originale e personale a un paio di intuizioni sulla geometria degli ambienti. La scrittura è poi estremamente faticosa, imbevuta di termini tecnici che lungi dall'aumentare la precisione espositiva contribuiscono solo all'oscurità del testo.
Questa foga sovra-interpretativa condotta a colpi di citazioni da manuali di cinema fa commettere all'autore anche qualche passo falso: descrivendo l'inserto dell'urlo di Danny a inizio film come un'inquadratura fuori contesto e piegando l'estraneità di tale immagine alla sua teoria, Carosso non si accorge che questo inserto è solo una premonizione del futuro del bambino, quando si troverà ad urlare in quel modo nel mobile della cucina alla fine del film. Inoltre, anche lui cade nell'abitudine di indicare l'ombra dell'elicottero visibile nella sequenza iniziale come portatrice di senso, quando ormai è appurato che si tratta di un normale imperfezione di montaggio (l'ombra non è visibile al cinema e l'assistente montatore Gordon Stainforth ha confermato che non era presente nel primo montaggio ed è comparsa a seguito di piccoli spostamenti dei tagli volti a migliorare il ritmo della sequenza).
In conclusione, Carosso tenta affannosamente di rintracciare attraverso una lettura completamente astratta del film, lontana anni luce anche dalla più attenta visione cinematografica, quello che qualunque spettatore capisce da solo, ossia che il film si basa su un meccanismo di spiazzamento e di disattesa delle aspettative, giocando su una messincena rigorosa messa costantemente in crisi dal regista.
Gentile Filippo Ulivieri,
dopo aver letto la sua recensione del libro Stanley Kubrick's Shining, le scrivo una breve nota relativa ai presunti "passi falsi" imputati all'autore.
- riguardo alla "svista" inerente il valore premonitorio dell'inserto dell'urlo di Danny a inizio film, le segnalo che alla questione viene dedicata una specifica nota (nota 14 a p. 171 - il testo della nota è a p. 188). Aggiungo inoltre che questo valore premonitorio non può che venire inteso come tale dallo spettatore solo verso la conclusione della storia, caricando il piano di un valore deliberatamente ambiguo per la quasi totale durata del film.
- riguardo alla comparsa dell'ombra dell'elicottero (nota 16 a p. 83, il testo della nota è a p. 116) nella sequenza di apertura del film: su http://www.visual-memory.co.uk/faq/index.html (ove le dichiarazioni di Stainforth vengono riportate per esteso), la questione viene dibattuta in modo "aperto" e - necessariamente - ironico; sia per quanto riguarda la più o meno ricorrente visibilità dell'ombra in sala ("Mark Ervin noticed the shadow on The Shining's third showing at Mann's Chinese Theater May 23, 1980 and he has never failed to see it since"), che per le interpretazioni a cui può essere sottoposta. Lo stesso Stainforth dichiara in chiusura alle sue dichiarazioni: "IF the helicopter shadow was fleetingly visible, either Stanley did not notice it, or it was so trivial that it did not bother him" e, successivamente, "Incidentally (or not so incidentally!), Stanley was NOT at all bothered by the vague shadow of the rotors at the top of the frame." Alle sue (di Stainforth) dichiarazioni seguono, inoltre, alcune riflessioni (sempre attinenti la questione dell'ombra) degli autori della risposta alla FAQ, afferenti i potenziali rapporti tra le teorie Brechtiane ("alienation effect") e la messinscena kubrickiana (vengono citati come esempio Lolita e Full Metal Jacket) che - mantenendo un doveroso margine di incertezza nei confronti della questione - concludono in questi termini: "So it seems fair to say that a Brechtian sensibility is detectable in Kubrick's filmmaking, and furthermore not outrageous to suggest that, if he had seen the shadow, he might have left the it in. This is not to say he DELIBERATELY CONTRIVED the helicopter shadow to be there: just that he wasn't concerned enough about concealing the artifice in his art to reject such an amazing shot. I think the bottom line of this whole debate is that it says more about Kubrick fans than Kubrick himself. The myth about his absolute perfectionism is pervasive, but like every myth about Kubrick, it can't ever be the whole truth."
Ora, indipendentemente dagli accadimenti che hanno preceduto il montaggio definitivo stabilito da Kubrick (che sono convinto non avesse prestabilito la comparsa dell'ombra, tanto quanto credo che difficilmente possa averla ignorata, nel momento in cui incidentalmente si è presentata), per quanto riguarda il testo della mia nota, ho rilevato due qualità intrinseche alla presenza dell'ombra stessa (l'implicito rimando a un'entità narrante e la sua natura extradiegetica) sottolineando una coincidenza significativa, ovvero che la sua comparsa convergesse con l'avvento - nella stessa inquadratura - di un seconda entità extradiegetica: i titoli di testa (con tutta la complessità semantica di cui essi, a mio parere, sono portatori). Tutto questo in un brano del libro dedicato ai titoli di testa e non certo incentrato sull'inflazionata questione dell'elicottero.
Come credo emerga chiaramente, desidero limitarmi ai fatti, senza permettermi alcun commento o considerazione in merito alle questioni da lei indotte in relazione ai "passi falsi" a me imputati o alla natura "astratta" da lei attribuita alla mia lettura (la mia intenzione non è certo quella di far cambiare parere al recensore riguardo al libro). Ci tengo a sottolineare - se non dovesse risultare evidente - che non sono mosso da alcuna velleità polemica, ma da un semplice principio di esatta o corretta informazione. Non mi permetterei di contestare qualsiasi libera critica negativa dovesse venire al mio saggio, che ritengo debba, in questi casi, difendersi da sé.
Approfitto inoltre dell'occasione per confermare il mio apprezzamento verso ArchivioKubrick per il suo evidente potenziale - soprattutto nell'ambito della ricerca su Kubrick.
Un cordiale saluto,
Marco Carosso
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